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Varese provincia hi-tech

La provincia di Varese vanta produzioni altamente tecnologiche, il 7% dell'intescambio innovativo in regione Lombardia arriva da qui e anche nei settori più tradizionali si studiano e sperimentano continue innovazioni, perché come hanno detto alcuni imprenditori riuniti nel Forum sull'innovazione svolto l'anno scorso in preparazione all'Assemblea Generale dell'Unione Industriali, l'innovazione è una forma mentis.


Immaginare, inventare, implementare: sono queste le ipotetiche tre "i" che si potrebbero mettere tutte in fila per dire come nelle imprese la prima macchina a muoversi, per andare avanti, è quella dell'innovazione.
E a Varese i capitani d'impresa lo sanno: così almeno emerge dal rapporto innovazione curato dalla Camera di Commercio di Milano che ha passato ai raggi x le aziende del sistema Italia mettendo l'accento sul campo delle tecnologie, della spesa in ricerca e sviluppo e dei brevetti.
Il risultato? In Italia sono il 2,4% del tessuto produttivo (pari a 124.623) le imprese ad alto contenuto tecnologico e in 18 mesi (tra il 2005 e il 2006) sono cresciute del 6,7%. Varese, nella classifica nazionale, si piazza in quattordicesima posizione, con 1.887 aziende per oltre 16mila addetti, che rientrano nella categoria high tech e che pesano per ben il 3% sul totale delle imprese attive sul territorio (e sono l'1,5% del totale nazionale ed il 6,8% di quelle regionali) con una variazione annua che è stata del 7,2%. La crescita di chi mira alla tecnologia, insomma, è più veloce nel Varesotto rispetto a quanto accade a livello nazionale. Non solo, ma Varese vanta anche le sue "eccellenze" in materia che sono rappresentate, ad esempio, dal peso delle 14 imprese dell'aerospazio e dal volume delle esportazioni high tech sul totale dei traffici lombardi. I prodotti altamente tecnologici made in Varese che - nel solo primo semestre del 2006 - hanno passato la frontiera hanno raggiunto un valore di quasi 655milioni di euro.
Una cifra seconda in Lombardia solamente a quella della metropoli milanese e capace di rappresentare una fetta pari al 7% di tutto l'interscambio innovativo regionale.



Da notare che la classificazione è stata molto rigorosa, ammettendo nel conteggio i settori che più classicamente sono considerati innovativi.
Nell'elenco ci sono la fabbricazione di prodotti farmaceutici di base, la fabbricazione e istallazione di apparecchi e impianti per telecomunicazioni, la costruzione, riparazione e manutenzione di aeromobili e veicoli spaziali, la produzione e manutenzione di robot industriali, ma anche la fabbricazione di apparecchi medicali, di apparecchi di precisione ed orologi. La lista delle eccellenze continua su questa lunghezza d'onda e indubbiamente mette in rilievo quella che è la punta di un iceberg in fatto di innovazione da parte delle imprese.
Ma se è vero che questi sono i settori in cui il contenuto tecnologico impone l'innovazione come "pane quotidiano", è anche vero che ci sono altri settori nei quali vale questa stessa regola.
Un esempio? Si pensi all'innovazione quasi a ciclo continuo per le imprese del tessile, abbigliamento e calzature, dove il ritmo è quello delle due collezioni moda da presentare ogni anno di fronte ad un mercato molto esigente. Lo studio di modelli, tessuti e fantasie rappresenta un'innovazione tanto reale da essere sotto gli occhi di tutti, ma che sfugge a conteggi di questo tipo.
Entrambe le situazioni- vale a dire imprese altamente tecnologiche e un tac (tessile, abbigliamento e calzature) che viaggia alla marcia di due collezioni all'anno - sono la faccia di una stessa medaglia: quella di un Paese in cui l'innovazione, intesa come rinnovamento del prodotto e strategia di adattamento al mercato, è l'asso nella manica delle imprese.
Il tutto in un contesto dove solo 1,1% del Pil è investito in ricerca e sviluppo (in Germania si investe circa il doppio, ossia il 2,1%). In altre parole l'innovazione, soprattutto per le aziende che operano nei settori maturi come appunto il tessile abbigliamento, sfugge ai conteggi perché è un processo spesso "informale".
Ma non così informale da sfuggire ai conteggi: ad esempio se si analizza il dato relativo ai brevetti europei in rapporto al valore pro capite per milione di abitanti (Fonte: elaborazioni su dati European Patent Office) si vede come Varese è seconda solo a Milano e si piazza al di sopra della media lombarda.
E se la parola passa ai protagonisti, ossia agli imprenditori, l'impressione è che l'innovazione sia un processo continuo, in grado di contagiare un po' tutti gli aspetti delle vita aziendale (dal prodotto al processo, passando anche per la logistica e la formazione delle persone): ma soprattutto che essa è molla ineluttabile per stare sul mercato e rispondere ai continui mutamenti e alle richieste che da esso arrivano.
Questo almeno è stato il filo conduttore che ha legato un po' tutti gli interventi degli uomini di impresa chiamati a riflettere lo scorso anno in forum organizzato dall'Unione Industriali e dedicato proprio a innovazione e sviluppo.
A scambiarsi opinioni ed esperienze c'erano Mauro Cavelli (Mario Cavelli Spa), Massimo Battini (Alenia Aermacchi Spa), Virgilio Bixio (Leader Spa), Carmine Carella (Cobra Automotive Technologies Spa), Fulvio Orsolini (Condor's Rubber Srl), Bruno Pavesi (Bticino Spa), Flavio Radrizzani (Adr Spa) e Matteo Liberali (Lu-Ve Spa).
Si è trattato di aziende diverse per storia, dimensione e settore di intervento che hanno però saputo esprimere un concetto molto importante: quando si va a scavare in fondo al concetto di innovazione e alle sue dinamiche ci si trova di fronte a discorsi molto complessi.
Ma immaginare, inventare e implementare sono tutti processi possibili laddove l'innovazione è vissuta come un fatto culturale, una forma mentis ancor prima che una questione di budget.

02/23/2007

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