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Cara Energia

I costi dell'energia aumentano costantemente: tutti i perché di una situazione sempre meno sostenibile per famiglie e imprese.


Il costo dell'energia è in costante aumento e non accenna a fermarsi: un problema per l'economia del paese, che colpisce sia le imprese che le famiglie.
"Il costo della bolletta energetica è ormai insostenibile, tanto per i settori produttivi utilizzatori quanto per il consumatore finale", ha affermato il presidente dell'Antitrust Antonio Catricalà, secondo il quale "una rete più aperta ed efficiente dovrebbe agevolare flussi di energia a costi più competitivi e incentivare investimenti sul territorio, con conseguente beneficio sull'intero sistema economico nazionale". Il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha inoltre sottolineato che nel settore dell'energia elettrica "l'Italia soffre di una rete di interconnessione con l'estero carente, il che implica input energetici da fonti a basso costo dall'estero ancora molto limitate".
Inoltre "i forti e persistenti aumenti dei prezzi internazionali del petrolio degli scorsi mesi - ha spiegato l'Authority per l'energia - che trascinano i costi di produzione dell'elettricità e quelli della materia prima gas, hanno determinato per l'ultimo trimestre 2005 un aumento delle relative componenti tariffarie".
Il caro-energia ha inoltre rimesso in moto l'inflazione. Dopo tre mesi di raffreddamento, a ottobre il carovita è salito dal 2 al 2,2% (con prezzi in crescita dello 0,2% su base mensile), spinto da tariffe e carburanti. Si tratta del livello più alto raggiunto dai prezzi da agosto 2004 e che fa scattare l'allarme di sindacati e commercianti, uniti nel chiedere al Governo di intervenire per la riduzione delle accise sui carburanti. Le impennate del petrolio di quest'estate, quando il greggio è arrivato a toccare il record di 70,85 euro al barile, si sono fatte sentire nel mese di ottobre, con le nuove tariffe di luce e gas scattate il primo del mese. Il comparto energia, il cui peso sull'indice generale è pari al 6%, ha infatti visto una crescita dei prezzi del 2,4% su base mensile e del 12,5% su base annua. Rialzi che, spiegano i ricercatori dell'Istat, contribuiscono per quasi otto decimi di punto percentuale al tasso tendenziale d'inflazione.
Le cause dell'aumento del costo
I prezzi dell'energia nel nostro paese "si pongono, nel confronto internazionale, tra i più alti in Europa, anche se il divario risulta in riduzione per i maggiori aumenti registrati negli altri paesi dell'Unione europea", si legge nella relazione annuale del presidente dell'Authority Alessandro Ortis. L'Italia, che per il 70% della produzione elettrica dipende dagli idrocarburi (petrolio e gas naturale), è da sempre caratterizzata da una forte dipendenza estera. Inoltre, a causa dell'insufficiente sviluppo del parco di generazione e la difficoltà nella costruzione di nuovi elettrodotti, l'Italia è il fanalino di coda negli scambi di energia elettrica con un import netto di circa 50 miliardi di Kwh. Complice poi anche lo scarso livello di competitività del mercato, caratterizzato sia da alta concentrazione che da scarsità dell'offerta rispetto alla domanda, con una elevata necessità di investimenti: tutti elementi che contribuiscono a mantenere il prezzo dell'energia elettrica all'ingrosso elevato e superiore alla media europea. Anche per benzina e gasolio le ragioni dell'aumento sono molte: la richiesta di prodotti petroliferi da parte delle economie in forte sviluppo, come la Cina, gli impianti di raffinazione, che non ce la fanno più a lavorare il greggio necessario a soddisfare la crescente domanda, le tensioni politiche e militari nei principali paesi produttori di petrolio. A tutto questo si aggiunge la speculazione, sempre pronta a cavalcare ogni occasione di guadagno. È un problema che accomuna tutti i paesi, con le principali compagnie petrolifere che ovunque mietono utili da sogno. In Italia ci sono anche altri motivi: non solo l'elevato livello delle tasse, ma anche un'altra antica causa, la mancata liberalizzazione della rete distributiva.
L'aumento della domanda da parte dei Paesi di nuova industrializzazione e la scarsità degli impianti di raffinazione
Il vertiginoso sviluppo economico di paesi come la Cina e l'India, così come la crescita degli Stati Uniti, richiedono quantità crescenti di prodotti petroliferi. La Cina è diventata il secondo utilizzatore al mondo di petrolio. Gli impianti di raffinazione però sfruttano già a pieni giri il loro potenziale produttivo, con la conseguente incapacità di soddisfare la richiesta crescente di greggio lavorato. Questa strozzatura è alla base delle tensioni sui prezzi, a cominciare da quello della benzina, e spiega perché basta il rischio di dover fermare anche un solo impianto di raffinazione (per esempio per l'arrivo di un uragano come negli Stati Uniti) per mandare in tilt il mercato del greggio in tutto il mondo e far scatenare la speculazione. Le cause risalgono agli anni passati. In Occidente molte raffinerie sono state chiuse perché non producevano utili ed è diventato difficile costruirne di nuove per motivi di impatto ambientale, oltre che per i cospicui investimenti necessari. Soprattutto sono largamente insufficienti le raffinerie attive nei nuovi colossi in via di sviluppo come la Cina.
Lo stesso discorso delle raffinerie vale anche per gli scisti bituminosi, riserve di petrolio in forma solida presenti in abbondanza in Canada e in Venezuela, ma che presuppongono impianti di raffinazione molto costosi: con le quotazioni a 30 dollari al barile il greggio che ne deriverebbe sarebbe già competitivo ma, appunto, mancano gli impianti. Infine pesano il rincaro dei noli marittimi, anche a causa delle nuove norme sul doppio scafo delle navi per evitare disastri ecologici, e soprattutto le turbolenze politiche nei paesi petroliferi.
L'incidenza delle imposte
Le imposte, spiega il presidente dell'Authority, "incidono sulla tariffa del gas per una percentuale robusta e superiore a quella delle tariffe elettriche. I prezzi italiani risentono, infatti, di un carico fiscale che, per chi consuma meno di 200 mila mc/anno, raggiunge il 42,9% del prezzo finale".
Sui prezzi di benzina e gasolio gravano tasse che rappresentano più del 60% del prezzo finale. L'aumento dei prezzi dei prodotti è stata una manna per le casse dello Stato: l'Unione petrolifera calcola che gli incassi dell'erario a fine anno potrebbero passare dai 30,7 miliardi di euro del 2004 a 32 miliardi tondi, soprattutto per effetto dell'incremento dell'Iva. Una riduzione di soli tre centesimi si tradurrebbe in un taglio di quasi 600 milioni di incassi a fine anno per lo Stato.
Dalla tassa sul tubo al nuovo regime degli ammortamenti
Una novità prevista nel disegno di legge Finanziaria 2006 era la tassa sulle grandi reti infrastrutturali, a carico delle aziende di energia: un'imposta per l'occupazione di spazi e aree pubbliche "con grandi reti di trasmissione dell'energia", che avrebbe avuto come finalità "la tutela ambientale e la salvaguardia dell'ecosistema". La norma stabiliva che "sono vietate la rivalsa e la traslazione sugli utenti" della tassa che non potrà nemmeno essere dedotta dalle imposte sul reddito. L'Autorità per l'energia ha però bocciato la tassa sul tubo prevista in Finanziaria. Entrando nel dibattito sulla nuova misura, l'Authority ha inviato a Parlamento e Governo una segnalazione, sostenendo che la tassa potrebbe "ridurre la sostenibilità degli investimenti necessari e programmati per lo sviluppo dei sistemi di trasporto e approvvigionamento di energia elettrica e gas, nonché per il miglioramento dei livelli qualitativi dei servizi relativi, e ridurre i margini, derivanti anche dai guadagni di efficienza aziendali, da utilizzarsi per una riduzione continua e progressiva delle tariffe di trasporto". Il rischio potrebbe essere inoltre quello di "rendere più problematico il processo per il raggiungimento della piena terzietà proprietaria delle reti". Il rispetto del previsto divieto di rivalsa, continua ancora il Garante del settore, "potrebbe porre, inoltre, problemi di compatibilità con il rispetto dei principi della legge 481/95, secondo cui l'Autorità per l'energia elettrica e il gas deve garantire adeguati livelli di qualità dei servizi in condizione di economicità e redditività".
La controversa tassa sul tubo è stata quindi sostituita da un nuovo regime degli ammortamenti delle infrastrutture energetiche per le imprese che svolgono attività di distribuzione e trasporto di energia elettrica e gas, giudicato positivamente da Ortis: "si tratta di una soluzione di governo e di legge che può essere compatibile con le esigenze della finanza da un lato e con l'obiettivo di uno sviluppo degli investimenti e di una riduzione continua delle tariffe dall'altro".
In pratica il decreto legge di correzione dei conti pubblici stabilisce che, per il solo esercizio 2005, al posto delle aliquote tabellari, gli ammortamenti si deducono nei limiti del coefficiente di vita utile fissato dall'Autorità per l'energia e il gas.

LA COMPOSIZIONE DEL COSTO DELL'ENERGIA IN ITALIA
Elettricità
Per le utenze industriali, i prezzi dell'elettricità restano al di sopra della media europea. “In particolare - scrive il presidente dell'Autorità per l'energia Alessandro Ortis nella relazione annuale - per le classi centrali di consumo industriale lo scostamento dei prezzi italiani, al netto delle imposte, supera il 35%”.
La tariffa elettrica media nazionale (aggiornata al 1 ottobre scorso) per i clienti del mercato vincolato è composta per il 65,6% dai costi di produzione e per il 18,4% dai costi delle infrastrutture, che a loro volta si suddividono in costi di distribuzione (13,7%), di trasmissione (2,6%) e di misura (2,1%). Le imposte incidono sulla tariffa elettrica per il 10%, mentre gli oneri di sistema per il 5,8% e i costi di commercializzazione della vendita per lo 0,2%. La componente tariffaria preponderante è quella legata ai prezzi della produzione, che comprendono il costo del combustibile, i costi fissi di generazione, il costo del dispacciamento, gli oneri per i certificati verdi, la remunerazione della capacità produttiva e del servizio di interrompibilità.
Gas
Per quanto riguarda il gas naturale la tariffa media nazionale di riferimento è composta per il 29,8% dal costo della materia prima, per il 17,6% dai costi delle infrastrutture (distribuzione 11,7%, trasporto 4,5%, stoccaggio 1,5%), per il 5,9% dalla commercializzazione all'ingrosso e per il 3,7% dalla commercializzazione al dettaglio. Le imposte, che includono l'imposta di consumo, l'addizionale regionale e l'imposta sul valore aggiunto, incidono sulla tariffa per il 42,9%. L'ammontare del costo della materia prima è giudicato dall'Autorità “non proporzionato agli effettivi costi di approvvigionamento del gas, che solo in parte sono correlati a quelli del petrolio. I prezzi anche al netto delle imposte sono superiori alla media europea e mostrano sensibili differenze, in funzione dei consumi, tra le diverse categorie di clienti”.

11/18/2005

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