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I consumi degli italiani tra nuove spese e crisi di fiducia

L'idea che le disponibilità liquide non siano sufficienti per affrontare le spese ordinarie è una conseguenza dell'introduzione dell'euro, ma trova una spiegazione - come sottolinea Francesco Estrafallaces, responsabile studi economici del Censis - anche nella modificazione dei consumi: tra i quali sono oggi presenti diverse voci fisse di spesa che un tempo non figuravano.

Le forti oscillazioni del clima di fiducia delle famiglie, di cui da mesi danno conto i principali istituti di analisi economica, indicano un disorientamento che ha pervaso larga parte dei consumatori italiani. L'introduzione dell'euro nel 2002 e la dinamica inflazionistica che ne è seguita hanno determinato un malcontento diffuso che continua a prolungarsi pur in presenza, ormai da più di un anno e mezzo, di un tasso di inflazione posizionato su livelli che potrebbero essere definiti fisiologici.

E' innegabile tuttavia che l'accelerazione dei prezzi di gran parte dei prodotti di largo e generale consumo abbia lasciato su molte famiglie, specie quelle con reddito piuttosto contenuto, segni indelebili. Negli anni di maggiore surriscaldamento dei prezzi - il 2003 e il 2004 - le rilevazioni effettuate dal Censis e da Confcommercio mettevano in evidenza come quote consistenti di famiglie indicassero di aver modificato il proprio paniere alimentare cercando di risparmiare, conciliando per quanto possibile buona qualità e prezzi contenuti (61% delle famiglie contattate); così come molti intervistati (il 57%) indicavano un ricorso ai risparmi, più frequente che nel passato, per fare fronte a spese ordinarie.
La così detta “sindrome della quarta settimana” e l'idea che le disponibilità liquide non siano sufficienti per affrontare le spese ordinarie è divenuta una costante dei dibattiti degli ultimi anni sebbene sia opportuno tenere presente che le criticità emerse dovrebbero essere lette e ponderate attraverso ulteriori fenomeni di più lungo periodo che riguardano il cambiamento stesso della domanda di beni e servizi da parte delle famiglie e l'emergere di nuove spese fisse e nuovi bisogni. E' interessante rilevare come tra la fine degli anni '90 ed oggi, il paniere di consumo delle famiglie italiane abbia subito una sorta di ricomposizione essenzialmente per l'emergere di nuove tipologie di spese fisse.
Dieci anni fa le spese per beni non durevoli e semi-durevoli (in buona parte prodotti alimentari e vestiario) pesavano per il 44% del budget familiare, gli acquisti di beni durevoli rappresentavano circa il 12% e le spese per servizi assorbivano il restante 44%. Attualmente il peso relativo delle prime due macrotipologie di spesa si è abbassato mentre quella per servizi (comunicazioni, alberghi, svago, fitness, spese mediche) rappresenta più del 48% dei consumi complessivi.
Nei fatti si è stabilizzata la spesa per alimentari (che rappresenta comunque ancora una buona quota del 15% dei consumi), che cresce ormai a ritmi poco sostenuti, mentre nuove risorse economiche sono indirizzate verso tipologie di servizi che 10 anni fa erano ancora ad una sorta di “stato nascente”, come le spese per la telefonia mobile, o verso il viver bene e lo svago (viaggi, ristorazione, fitness) o ancora verso i cosiddetti prodotti tecnologici di nuova generazione per la casa e la famiglia (nuovi elettrodomestici, videogiochi, TV a schermo piatto ecc.).
Anche guardando agli ultimi cinque anni, i dati disponibili sembrano confermare questo fenomeno.
Tra il 2000 e il 2006 le voci di spesa che hanno registrato gli incrementi più sostenuti (depurati dalle dinamiche inflazionistiche) sono state quelle per le comunicazioni (+52%), per alberghi e ristoranti (+5%), per svago e cultura (+4%). Anche le spese per prodotti a medio-alta tecnologia non per uso professionale, come il PC e accessori, apparecchiature fotografiche, audiovisivi e telefonia (per lo più nuovi telefoni cellulari) hanno registrato un significativo incremento (+17%) (cfr. Tabella) tra il 2000 e il 2006 (+12% nell'ultimo anno, con punte del 23% nel 2004 rispetto all'anno precedente). Nell'“Outlook dei consumi” - il monitoraggio trimestrale sulle spese degli italiani e sul clima di fiducia realizzato da Confcommercio con il supporto del Censis - emerge come circa il 51% delle famiglie presenti ormai una voce fissa mensile rappresentata da spese per il benessere e il fitness: si tratta ovviamente di un ammontare medio piuttosto contenuto, pari a poco più di 100 euro per famiglia.
Dunque, nuovi servizi legati prevalentemente alla sfera del tempo libero e del benessere e nuovi prodotti tecnologici iniziano ad essere veri e propri centri di spesa presenti in modo piuttosto regolare in ampie fasce di famiglie. E' evidente che la diffusa percezione della riduzione del potere di acquisto dei redditi, di cui oggi molto si parla, non è riconducibile in modo esclusivo all'emergere di un numero crescente e sempre nuovo di voci di spesa. Il fenomeno è ben più di una semplice percezione in quanto ormai tra le più consistenti spese fisse incomprimibili vi sono quelle per utenze domestiche o per i trasporti e per il carburante, veri fardelli che smorzano la spinta ad una vera ripresa del benessere economico; ma è altrettanto vero che la lettura delle nuove dimensioni del consumo dovrebbe tenere conto del progressivo spostamento dell'asse di interesse di molte famiglie verso nuovi prodotti e nuovi servizi.

09/21/2007

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