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Luci e ombre sul mercato del lavoro

Da un lato l'approvazione della legge delega ispirata al Libro bianco di Marco Biagi. Dall'altro, il referendum per l'estensione dell'articolo 18 e le tensioni della stagione di rinnovo contrattuale. Sullo sfondo, la riforma delle pensioni.

Dopo 16 mesi di discussioni e forti contrapposizioni il 6 febbraio è arrivata al traguardo la legge delega sul lavoro che - ispirata alle innovazioni contenute nel Libro bianco di Marco Biagi - riformerà in maniera decisiva un mercato ingessato da troppi vincoli nonostante le aperture legate al cosiddetto pacchetto Treu del '97: quella attuale, infatti, è la seconda fase, non attuata allora, di un progetto di un certo respiro. Una buona notizia, dunque, per il mondo produttivo in deficit di competitività al punto che, proprio in queste settimane, la rivista americana Forbes aveva indicato l'Italia come "ultima al mondo in flessibilità", in cima alla classifica si piazzano gli Stati Uniti.
Però, quasi in contemporanea con il varo della riforma, si riaccendono le polemiche e gli scontri sull'articolo 18 dopo la decisione della Corte costituzionale di ammettere il referendum - promosso da Rifondazione comunista - sull'estensione delle tutele anche nelle micro-imprese. Un'iniziativa che ha suscitato un coro di no, a cominciare dal mondo delle imprese, non escluse quelle artigiane più vicine al centro-sinistra. L'opposizione alla proposta di Fausto Bertinotti si allarga ai confederali decisi a respingere questa ipotesi, anche se poi ritornano le divisioni sulle modalità per evitare la trappola di una consultazione. Consultazione che finisce per spaccare soprattutto il fronte della Sinistra, all'interno dell'Ulivo, con un rimescolamento delle carte. Resta il fatto che il referendum arriva proprio quando sembrava che le questioni legate all'articolo 18 fossero state archiviate: lo stesso presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel messaggio di fine anno, aveva fatto intendere che non se ne sarebbe parlato più. Adesso le pretese di Rifondazione comunista rischiano di accendere un nuova miccia, di rilanciare un clima di conflittualità e di scontro che - in un momento difficile per l'economia - potrebbe provocare ulteriori lacerazioni e spostare l'attenzione dai problemi principali e ben più urgenti di questo Paese. Peraltro l'anno scorso, per l'effetto della conflittualità politica (legata cioè a motivi non inerenti a questioni di lavoro) le ore perdute per gli scioperi sono cresciute del 516% ritornando ai livelli del 1990. Una replica di questa situazione nel 2003 sarebbe dannosa proprio quando le aziende saranno chiamate a cogliere tutti i segnali della ripresa economica.
Ma le preoccupazioni sui pericoli di un ritorno di tensione sociale si allargano soprattutto alla vertenza per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici perché, non solo per la prima volta da 36 anni i sindacati hanno presentato tre piattaforme distinte, ma i toni dello scontro non sono mai stati così alti come in queste settimane. Le avvisaglie erano ben evidenti quando la Fiom ha presentato una piattaforma chiaramente fuori dalle regole dell'accordo del luglio '93 con una richiesta dell'8,5% nel biennio: una chiara manovra - hanno ammesso gli stessi "colleghi" di Gianni Rinaldini (leader della Fiom) - per non fare il contratto e per politicizzare la vertenza. L'estensione da 4 a 8 ore dello sciopero dell'industria del 21 febbraio da parte dei metalmeccanici Cgil ha fatto scattare l'altrettanto inevitabile reazione di Federmeccanica che ha minacciato sanzioni (vale a dire lo slittamento nel pagamento della cosiddetta "vacanza" contrattuale) per chi aderisce a una protesta "politica" indetta nel periodo di moratoria prevista dal patto sulla politica dei redditi. Anche se in passato la trattativa dei metalmeccanici - è il caso dell'ultimo rinnovo che si è concluso con la firma separata - si è caricata di forti connotazioni, mai come questa volta aumentano i rischi di un conflitto che va al di là delle motivazioni contrattuali. Basti dire che sugli altri rinnovi (dal commercio agli alimentaristi) non ci sono i problemi che si registrano tra i metalmeccanici; le piattaforme sono unitarie e tutto lascia prevedere uno svolgimento "normale" della vertenza. I prossimi mesi saranno decisivi sul fronte delle riforme per accelerare la modernizzazione del mercato del lavoro italiano. A febbraio è stata varata la delega al Governo che ha promesso il via libera ai decreti attuattivi (quelli che poi realmente consentiranno di utilizzare gli strumenti di flessibilità) entro l'estate. Anche questo provvedimento ha subito ritardi e rinvii per il clima di ostilità sia sul versante politico sia su quello sindacale. Ma per afferrare al volo le opportunità offerte dalla possibile ripresa (guerra permettendo) prevista a partire dalla seconda metà dell'anno, il "pacchetto" di flessibilità (dal part-time al job sharing, dal contratto a chiamata alla riforma del collocamento) deve essere a disposizione delle aziende in tempi rapidi.
Per una riforma arrivata in porto, un'altra, quella delle pensioni, che stenta a decollare dovendo fare i conti anche con i diversi divieti politico-sindacali. Il ministro del Welfare, Roberto Maroni, ha presentato un Libro bianco sul Welfare indicando le linee-guida per modificare un sistema che non ha bisogno solo di un'opera di manutenzione ma di un più solido rinnovamento anche per effetto degli scompensi demografici che, nei prossimi anni, saranno ancora più evidenti. Come nel caso del lavoro la riforma delle pensioni non è ulteriormente rinviabile. Lo sollecitano i conti pubblici e non passa giorno che un organismo internazionale non ricordi i rischi di tenuta della previdenza di tutti i Paesi dell'Europa. L'ultimo allarme, in ordine di tempo, è dell'Ocse: l'invecchiamento della popolazione - si sottolinea da Parigi - costringe ad innalzare l'età effettiva del ritiro dal lavoro. L'Italia è in coda alle classifiche in quanto l'età media del pensionamento è di poco inferiore ai 60 anni contro i 64,2 della Norvegia, i 65,1 degli Stati Uniti e i 69,1 del Giappone. Che stia diventando, in tutta Europa, una situazione insostenibile cominciano ad accorgersi i Governi finora troppo condizionati dalle logiche dei consensi per affrontare un tema così delicato. La Francia sta facendo da battistrada e adesso tenta una svolta per rinviare l'uscita dal lavoro: un tentativo da realizzare entro l'estate d'intesa con i sindacati.

Le novità della legge sul fronte del lavoro

Job on call (lavoro a chiamata in funzione delle esigenze produttive contro il pagamento di una indennità "di disponibilità"), job sharing (condivisione di un'unica posizione lavorativa da parte di due lavoratori), staff leasing (impiego di lavoratori a tempo indeterminato inviati da agenzie specializzate). Sono alcune tra le più significative novità contenute nelle recente legge delega in materia di lavoro ispirata al Libro bianco cui lavorò il Prof. Marco Biagi. Vanno poi ricordati la ulteriore liberalizzazione del collocamento (che potrà essere gestito anche da soggetti privati appositamente autorizzati) e una più puntuale regolamentazione dell'outsourcing e dei trasferimenti di ramo d'azienda.
Per quanto riguarda il part time, dovrebbe diventare più facile ricorrere al lavoro supplementare nel part-time orizzontale (orario ridotto nella singola giornata) ed organizzare in modo più elastico il part-time verticale (orario ridotto su base settimanale o mensile).
Questi i principi fissati dalla legge delega: ora, occorrerà vedere che cosa verrà scritto nei decreti attuativi e che cosa verrà negoziato per le parti la cui applicazione è demandate alla contrattazione collettiva.

02/20/2003

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