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Unione Europea a quota 25

Un viaggio virtuale con Varesefocus, in tre puntate, attraverso i dieci nuovi paesi dell'Unione Europea. Partendo da Polonia e Slovenia.


Il Consiglio Europeo di Copenhagen del 12 e 13 dicembre 2002 ha deciso l'ingresso di dieci nuovi membri nell'Unione Europea a partire dal maggio 2004, in tempo utile per consentire a tali paesi di partecipare all'elezione del prossimo Parlamento Europeo (v. Varesefocus n. 2/2003). I nuovi paesi, che portano l'Unione Europea a quota 25, sono in prevalenza del Centro Europa - Polonia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia e Lituania - più Cipro e Malta. Bulgaria, Romania e Turchia sono candidate ma entreranno in un secondo tempo.
La riunificazione del continente costituisce un momento storico il cui valore politico è indiscutibile. L'allargamento del mercato comune amplia notevolmente le opportunità per tutti, anche in considerazione del fatto che gli indicatori economici strutturali degli otto paesi dell'Est sono sensibilmente migliorati nel corso del passato decennio.
L'allargamento pone tuttavia una serie di interrogativi sulla reale preparazione dell'Unione Europea - delle sue istituzioni e delle sue politiche - a ricevere i nuovi paesi. La sfida che l'Unione europea dovrà affrontare nei prossimi anni sarà molto ambiziosa e non solamente limitata alle principali politiche di spesa, la Politica Agricola Comune e i Fondi Strutturali. L'attenzione dovrà concentrarsi su tutte le politiche che hanno contribuito a costruire il mercato interno e che ne devono garantire l'efficienza e la capacità di perseguire gli ambiziosi obiettivi di competitività fissati al Vertice di Lisbona. E' necessario definire delle regole di coordinamento delle politiche macro-economiche che dovranno essere ispirate ai criteri di stabilità e soprattutto di crescita, anche in considerazione del rallentamento dell'economia europea.
A partire da questo numero, Varesefocus compirà un viaggio virtuale, in tre puntate, attraverso i dieci paesi che entrano a far parte della U.E. Iniziamo con Polonia e Slovenia e con due approfondimenti: il primo, sul tema della libera circolazione delle persone (e quindi dei lavoratori) all'interno dell'Unione allargata; il secondo sulle prospettive, opportunità e problemi, a breve e a medio termine, dell'allargamento a 25, secondo l'opinione di Roberto Santaniello, direttore della rappresentanza dell'Unione Europea a Milano.

Il diritto alla libera circolazione

Con l'adesione di un Paese all'Unione Europea, uno dei principali diritti che i suoi cittadini acquisiscono è quello della libera circolazione negli altri Paesi membri.
Tra i diritti conseguenti alla libera circolazione il cittadino europeo annovera quelli di:
  • lavorare in un altro Stato membro senza permesso di lavoro;
  • parità di trattamento nelle questioni legate all'occupazione rispetto ai cittadini del paese ospitante;
  • godere degli stessi vantaggi fiscali e sociali rispetto ai cittadini del paese ospitante;
  • riunificazione familiare;
  • pieno coordinamento della sicurezza sociale (in particolare si evidenzia il diritto a che i contributi di previdenza sociale versati in altri paesi dell'Unione si sommino senza distinzione per garantire il diritto del lavoratore a godere di un'assicurazione o di un beneficio nel nuovo paese europeo di residenza);
  • applicazione delle norme comunitarie sul mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali.
I negoziati di adesione dei nuovi dieci membri dell'Unione Europea hanno introdotto delle limitazioni transitorie al diritto di libera circolazione dei lavoratori subordinati, prevedendo una gradualità temporale alla introduzione della possibilità dei lavoratori dei Paesi aderenti di accedere al mercato del lavoro degli altri Paesi membri senza necessità di ottenere un apposito permesso di lavoro. L'"accordo di transizione" ha infatti previsto che nei primi due anni successivi all'adesione la possibilità di svolgere attività lavorativa dipendente dei cittadini dei futuri Stati membri negli attuali Stati dell'Unione Europea sarà regolata dalla legislazione nazionale di questi ultimi, anziché dalle norme comunitarie sulla libera circolazione. Da ciò consegue che i cittadini dei paesi candidati all'adesione devono avere un permesso di lavoro per poter esercitare un'attività nell'Unione europea. Trascorsi due anni dall'adesione i singoli Stati membri potranno decidere se continuare a porre limiti ai permessi di lavoro a favore dei cittadini dei Paesi candidati, oppure se gli stessi lavoratori saranno liberi di trovarvi lavoro. Gli Stati che scegliessero la completa liberalizzazione, manterrebbero comunque una misura di "salvaguardia", vale a dire nell'eventualità di un'inattesa perturbazione sul mercato del lavoro o in talune regioni o in determinati ambiti, essi potranno reintrodurre in via provvisoria lo strumento del permesso di soggiorno di lavoro. Dopo altri tre anni gli Stati membri che non lo avessero già fatto, sono nuovamente invitati a liberalizzare l'accesso al lavoro dei cittadini degli Stati candidati. Soltanto a fronte della dimostrazione della presenza di gravi perturbazioni del mercato del lavoro o una minaccia in tal senso, potranno continuare a richiedere il permesso di soggiorno.
Comunque a distanza di altri due anni, nessun Stato membro potrà più richiedere il permesso di soggiorno. Da quanto detto, si evince che, nel periodo coperto dall'accordo di transizione, la situazione sarà diversa nei singoli Paesi membri. I cittadini dei futuri Stati membri che lavoreranno negli attuali Stati membri nel periodo di transizione o che vi si troveranno al momento dell'adesione saranno tutelati dalle norme comunitarie sulla parità del trattamento sul lavoro e sui vantaggi fiscali e sociali, nonché dalle norme sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.
Infine, l'accordo di transizione non si applica a Cipro e a Malta, con riconoscimento, quindi, del diritto alla libera circolazione tra questi paesi e gli attuali nonché futuri Stati membri.
Malta è però autorizzata a imporre misure di salvaguardia qualora vi fosse timore di un afflusso consistente di lavoratori nell'isola.

11/20/2003

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