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Brüsa la Giôeubia

Un'usanza consolidata che accende falò in molte città della provincia durante gli ultimi giorni di gennaio: si "brucia la vecchia" e con lei le cose passate e l'ennesimo inverno.

La Gioeubia a Cardano al CampoVi sono usanze e tradizioni locali che, profondamente radicate nelle varie comunità, spesso viaggiano sotto traccia per decenni, per poi ricomparire con nuove vesti e motivazioni, affermandosi nuovamente e trovando ampio riscontro popolare.
Una di queste è la "Giôeubia", ricorrenza festeggiata l'ultimo giovedì di gennaio in diverse località del Varesotto e dell'Alto Milanese, e sentita in modo particolare a Busto Arsizio dove, il prossimo 27 gennaio, si festeggia in piazza San Giovanni. E non mancano esempi, seppure celebrati con modalità diverse, su tutto il territorio nazionale (Como, Lecco, Cremona, Mantova) ed anche all'estero (Paesi Baschi, Caucaso, Albania, Linguadoca, Ticinese). In alcune inquadrature del film "Amarcord" Fellini fa rivivere il rogo della "Segavecchia" sul quale si immolava un fantoccio di stracci per figurare la fine dell'inverno. La "Giôeubia" è un pupazzo con le sembianze di una vecchia, costruito con mezzi occasionali e vestito con panni fantasiosi e dimessi, che, dopo essere stato esposto al pubblico o portato in giro nei cortili, di sera viene bruciato su una catasta di legna e sterpaglie. In qualche caso attorno al falò si improvvisano canti e balli. Segue una cena rustica. L'origine è alquanto lontana ed è legata a rituali che si sono modificati con l'andar del tempo e nel passaggio da una popolazione all'altra o, meglio ancora, dalle sovrapposizioni culturali e di costume imposte dalle varie dominazioni. Gian Battista Roggia, profondo conoscitore di lingue e costumi orientali, aveva affrontato l'argomento in uno studio poi riportato sul volume "Busto Arsizio: spunti di storia e di cultura, raccolti e ordinati a cura di Stefano Ferrario" (Bramante Editrice-Milano, 1964).
Secondo lo studioso, l'origine della Giôeubia va cercata ben al di là dei limiti spaziali e temporali della civiltà romana, addirittura nella civiltà neolitica e nell'antico Oriente. Ne fa fede il culto dei pali sparso in tutto l'Oriente, almeno all'epoca dei Sumeri. Che tale divinità abbia poi potuto diffondersi in Occidente è legittimato dagli influssi culturali accertati dalla archeologia e dalla paleontologia. Ulteriore impulso, il rituale, che rappresentava la tentazione di impossessarsi della vita della natura nel passare delle varie stagioni (ed in particolare quella verde e quella secca), lo ricevette nel neolitico durante il quale i primi agricoltori cominciarono ad interessarsi degli influssi stagionali nei confronti della vegetazione. Nella originaria civiltà agricola la preoccupazione maggiore era di assicurare la rinascita della vegetazione e quindi una buona produzione. Apprensione che, in quanto legata alle condizioni climatiche, è sempre stata ben viva anche in seguito nella civiltà contadina.
Altri elementi che ricorrono nella Giôeubia sono: il fuoco, la danza, il cibo e la figura, tutti particolari cui si accompagnano valenze simboliche. Un altro esperto di tradizioni locali, Luigi Giavini, nel "Dizionario della lingua bustocca" ipotizza la continuità di questa tradizione attraverso i Liguri, popolo preindoeuropeo del quale si rinvengono ampie tracce nel dialetto bustocco. Sin dalla fondazione, avvenuta nel 1951, la Famiglia Bustocca ha fatto di questa tradizione, che ha resistito al tempo, una propria manifestazione distintiva, non solo celebrandola ufficialmente nel centro cittadino alla presenza delle autorità (avvenimento cui si accompagnano altre decine di roghi su tutto il territorio), ma pubblicando ben tre volumi in materia. L'ultimo, a cura di Giuseppe Magini è stato edito nel 2000 sotto il titolo "La Tradizione della Giôeubia Bustocca. Significati, ascendenze e affinità culturali". Ad esso, come agli altri già citati, abbiamo fatto riferimento anche per la stesura del presente articolo. Nella "Città delle cento ciminiere" la serata finisce, come si usa dire, con le gambe sotto il tavolo, degustando piatti tipici della cucina locale: risotto con la luganiga (salsiccia) e polenta e bruscitti. Alla festa della Giôeubia, celebrata solennemente anche a Cardano al Campo (che da 21 anni ricorda l'avvenimento con la stampa di pregevoli cartoline) si sono aggiunte altre manifestazioni similari. In altri comuni varesini, ad esempio, il nome è stato tradotto in Giobiana, a Somma Lombardo in Diana.
La principale sul territorio è sicuramente quella, promossa dai "Monelli della Motta" che avviene nell'omonima piazza varesina, alla vigilia del 17 gennaio, giorno dedicato a S. Antonio del porcello. Anche in questa occasione ricorrono usanze e costumi antichi. Luigi Giavini, prendendo spunto dalla presenza del maiale in molti piatti delle feste propiziatorie d'inverno: dalla "musurina" di Cocquio al risotto con la "luganiga", alla "cazola" tradizionale del giorno di S.Antonio, detto "dul purscell". Il santo avrebbe sostituito nella fede popolare il dio celtico Lug che aveva gli stessi simboli: il bastone, la campanella ed il maiale. Senza dimenticare che a Milano (città fondata dai Celti) il 17 gennaio si lasciavano circolare liberamente i maiali per le strade perché così avrebbero portato via il male conosciuto come "il fuoco di S. Antonio" (da notare anche in questa circostanza la simbologia del fuoco). Tant'è che a Busto il 17 gennaio, alle quattro del pomeriggio, si fermavano le tessiture per invocare la protezione di S. Antonio contro gli incendi. Non è nemmeno casuale la forte riscoperta di alcune tradizioni avvenute nell'ultimo decennio. La globalizzazione ha tolto alla gente i punti di riferimento ideologici affievolendo di conseguenza anche i valori ad essi collegati. Di riflesso si cercano nelle tradizioni popolari più vicine ed accomunanti nuovi motivi di aggregazione e socialità.

01/14/2005

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