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I Maestri giardinieri del Verbano

La provincia di Varese si colloca ai vertici del florovivaismo italiano. Una tradizione che nasce nel 1600 a seguito del prolificare delle residenze di campagna dei nobili milanesi lungo il Verbano che, oltre alle splendide architetture, presentavano meravigliosi e curatissimi giardini.

Il giardino di Villa Toeplitz a Varese
Paolo Cottini, coltissimo studioso di arte topiaria, storia dei giardini e raffinato fotografo, ha dato da poco alle stampe un bel volume, "I Giardini della Città Giardino" (Edizioni Lativa, dicembre 2004), ricorrendo una volta ancora per il suo titolo al ben collaudato 'tormentone' che identifica Varese nei suoi parchi signorili, nei suoi fioriti parterre: siano essi quelli delle ville Ponti, o degli Este, i più solitari declivî del Castello di Masnago o della villa Panza di Biumo, della villa Taccioli, o delle minori tenute.
Nessuno vuol togliere al nostro capoluogo di provincia quel primato che assolutamente gli spetta e che si merita; puntando verso il Verbano, il corredo di giardini sciorinati da ville e magioni padronali di cui si fa ricca la provincia, e di là del Verbano l'Ossola e il Cusio, (i luoghi amati, come scriveva anni fa Chiara) non sfigura certo rispetto alla città-giardino.
Ovunque, e quindi anche a Milano, il nobile desiderava lunghi soggiorni nel palagio di campagna, secondo la definizione di Marc'Antonio Dal Re (1720); in matematica progressione, la villa non poteva dirsi perfetta senza un giardino o parco; il parco e il giardino necessitavano - tutt'oggi - di speciali cure e perizia che non tutti posseggono: la figura del cinquecentesco hortolano si trasformò in quella del mastro giardiniere.
Le cui dinastie hanno abbellito molti luoghi d'Italia: pensiamo ai Villoresi (sì, proprio quelli della famiglia dell'ingegnere idraulico), giardinieri dei granduchi di Toscana prima, capigiardinieri a Desio dai Cusani e a Monza nella Villa Reale poi; ai Roda, capogiardinieri a Torino e Racconigi, a Pietro Porcinai, a tanti altri...
Varese, che Pasquale Gervasini (presidente dell'Associazione Agricoltori, ndr) fieramente considera ai vertici del florovivaismo italiano, non sfigura certo – e anzi brilla vivace – per i propri giardinieri; la tradizione varesina (e varesotta!) espressasi anche tramite l'Esposizione Internazionale del 1905, ha ben antiche radici di cui si può andare davvero fieri.
Ciò emerge con forza e convinzione da uno studio sui giardinieri attivi sul Lago Maggiore pubblicato nello scorso settembre 2005 dal Magazzeno Storico Verbanese: un omaggio appassionato ad una categoria che troppo spesso è ingiustamente dimenticata e sottovalutata di fronte a quella del disegnatore di giardini e dell'architetto del paesaggio.
Il giardiniere, colui il quale nutre un profondo e irrinunciabile amore per le piante, e con sicurezza e passione le maneggia e le accudisce, è la figura fondamentale nei parchi storici varesini e verbanesi dal Seicento ai giorni nostri. Si spiega così come i giardinieri abbiano potuto coniugare il proprio Amor di Pianta (questo il titolo dato al volume frutto della ricerca) con la necessità di sbarcare il lunario e guadagnarsi la pagnotta. I giardinieri di mezz'Italia (e con essi quelli di molta parte del Varesotto) guardarono con aspettativa al Verbano: trasferitisi per trovarvi impiego non di rado vi fecero fortuna. Il volume (primo di una serie di quattro) pur riguardando la costa piemontese tra Belgirate e Cannobio, con le località 'maggiori' di Stresa, Baveno, Pallanza, Intra, Ghiffa, Cannero, e le importantissime Isole Borromee, interessa per gli scambi professionali che si svolsero, dall'inizio del '500 fino ai giorni nostri, da Liguria e Genovesato, Veneto, Toscana, Torinese, Francia, Svizzera, perfino Germania: giardinieri "stranieri" (dove per stranieri pensiamo anche ai casi di coloro che - ante 1861 - provenivano da stati italiani preunitari) vennero infatti sul Verbano, attratti dalla possibilità di trovare luogo sicuro dove mettere a frutto la propria professionalità. Pensiamo ai francesi (Claude Simon, o Paul Hubert) o ai genovesi Piccaluga (sbarcati dalla Superba alle Isole Borromee intorno al 1813), o ancora ai "torinesi" Farina, Cantamessa, Guglielmetti, De Paoli.
Non sfiguravano però i varesini e i varesotti: da Induno Olona provenivano i Macciachini, che con Biagio Santino iniziarono la carriera di «periti bottanici» dei conti Frichignoni di Castellengo a Belgirate, divenendovi poi una delle famiglie più in vista tanto da dare almeno un sindaco al borgo; nel natìo suolo indunese essi erano conterranei di Carlo Cassani, giardiniere ascoltatissimo e reputato dal conte Flaviano Avogadro Di Casanova a Carciano; all'incirca tra 1849 e 1854 egli sovraintese alla realizzazione del parco comitale alla foce del Roddo, di fronte all'Isola Bella. Era di Tradate il trentunenne Giuseppe Bernardoni, capogiardiniere all'Isola Bella nel 1857 dopo esser stato giardiniere semplice dal 1848; Giovanni Brunati, fu Domenico, «ex Varesio», fu invece allievo giardiniere all'Isola Madre tra 1862 e 1865, e come giardiniere senior vi lavorò almeno sino al 1879; fu probabilmente parente di altro Brunati, Giuseppe, anch'egli impiegato alle Isole Borromee come sottogiardiniere nel 1883, assieme ad un bisuschiese, Giovanni Arbizzoni. Ernesto Neri e la moglie (Agostina Maccecchini) erano di Casciago; dopo travagliate vicende come capogiardiniere all'Isola Bella, il Neri passò alle dipendenze del giardino botanico "Duxia", fondato nel 1934 sulle pendici del Mottarone (e poi - mutato il clima e il regime - ribattezzato in "Alpinia"). Molti floricoltori, giocarono 'di sponda', anzi... di sponde: per esempio a fine Ottocento Luigi Marforio di Cannobio teneva a Luino una succursale; boscaioli della Dumentina e Veddasca si trasferirono in quel di Suna e Vallintrasca e man mano cambiarono professione divenendo, da disboscatori, garzoni giardinieri e poi giardinieri manutentori; nell'Ottocento il Lavenese fornì cospicui apporti ad un continuo interscambio di professionalità tra le due sponde verbanesi; dalla zona di Cittiglio, Leggiuno, Ispra, Taino, Cerro Mombello, Sangiano, Arolo (ma come visto anche dal Varesotto più interno: Induno Olona, Tradate) provenivano giardinieri singoli e intere famiglie, che si stabilivano sul Verbano di "Sponda Grassa". Da Cerro Mombello originavano i Guilizzoni, giardinieri a Stresa, mentre i Galbiati di Omegna, Camillo Galbiati dell'Isola Madre e la dinastia dei Galbiati di Nasca che oggi ottimamente illustrano il florovivaismo in Valtravaglia sono tre ceppi diversi provenienti tutti da zone limitrofe della Brianza, stabilitisi sul Verbano tra fine Ottocento e inizio Novecento; di Barassi, oltre che essere piena la Valtravaglia, era piena anche la costa vergantina; sovente immigrati da altre zone passavano al servizio di qualche maggiorente in un luogo, e si stabilivano definitivamente in un altro: tale è il caso dei giardinieri bergamaschi Maestroni, il cui figlio Vittorio nacque a Luino nel 1912; Pietro Soresini e Giovanni Sanclemente perfezionata l'arte nei giardini di Pallanza, si ritrasferirono poi a Laveno, a villa Besozzi; solo che si era nel 1918: un training-on-the-job ante litteram...
Giardini dell'Insubria, giardini di gran signori? Magari... ma allora sarà il caso di dire che i giardinieri varesini e varesotti sono i veri Signori dei Giardini delle nostre plaghe, forse addirittura più dei proprietari stessi: perché ne hanno saputo penetrare l'essenza, con decenni e decenni di professionalità, che non hanno certo da invidiare ai colleghi veneti, toscani, piemontesi, liguri, romani.


Amor di Pianta
Il volume "Amor di Pianta" è il primo volume di un'opera in più tomi, che mira a documentare l'intero bacino verbanese; per le 19 località trattate (le maggiori: Baveno, Belgirate, Cannero Riviera, Cannobio, Intra, Isola Bella, Isola Madre, Pallanza, Stresa) sono raccolte le schede di circa milleduecento tra garzoni, giardinieri, pepinisti, floricoltori, vivaisti. Spiccano, per complessità di ricerca e profondità di dati (le note a piè di pagina assommano a più di 870) le corpose schede dei floricoltori Rovelli (con un albero genealogico di ben 41 esponenti tra fine Settecento e 1961) e Hillebrand di Pallanza (ma anche Camisasca, Ardizzoia, ecc.), Cantamessa e De Paoli di Stresa, Macciachini di Belgirate, Ramoni e Ratti di Ghiffa, Marforio (di Cannobio poi, ma prima di Stresa...); meritano menzione a parte le certosine ricostruzioni delle cronologie dei capigiardinieri e dei sottogiardinieri e garzoni alle Isole Borromee (con le dinastie degli Anosei, Della Torre, Piccaluga, Bruni, Vaghi, Bazzi, Farina) e con le vite singole dei vari Giovanni Battista Rossi (poi capogiardiniere a Monza), Alessandro Pirotta (grande cultore della materia, scomparso nel 1915), Claude Simon e Paul Hubert (entrambi francesi), e di vari giardinieri su un arco temporale che si estende ben al di fuori di quanto dichiarato in copertina, risalendo addirittura ai primi anni del '500 (Isola Madre).
Completano il volume diciannove fittissime pagine di indici dei nomi, e trentadue pagine di illustrazioni a colori fuori testo, tutte inedite, che aprendosi con una "galleria di ritratti" di trentasei busti, ci fa conoscere le fattezze dei floricoltori come appaiono ancor oggi (ma per quanto ancora?) su lastre tombali, antiche fotografie, rare pubblicazioni scovate da librai antiquari. "Amor di Pianta" è un primo, doveroso tributo di memorie del lago Maggiore ad una classe professionale che in secoli di lavoro indefesso ha saputo rendere migliore il territorio in cui ha operato.
CARLO ALESSANDRO PISONI, LEONARDO PARACHINI, SERGIO MONFERRINI, DANTE INVERNIZZI, Amor di Pianta. Giardinieri, floricoltori, vivaisti sul Verbano - 1750-1950. Da Belgirate a Cannobio - Isole del Golfo Borromeo, Magazzeno Storico Verbanese, Provincia del Verbano-Cusio-Ossola e Compagnia de' Bindoni, pp. 288, con ill. in b/n n.t. e 32 di ill. a col., euro 30,00. Per informazioni e acquisto di copie:
segreteria@verbanensia.org, info@verbanensia.org

Tutti pazzi per le camelie
Dall'oriente al Lago Maggiore: la passione per le camelie, provenienti da Cina e Giappone e importate in Europa dalla seconda metà del '700, ha trovato nel nostro territorio terreno fertilissimo. E non solo in senso figurato dal momento che le nostre zone hanno caratteristiche agronomiche e climatiche ideali per la produzione e coltivazione di camelie in buone quantità. Piante ad "arbusto", le camelie si distinguono per gli stupendi fiori dalle moltissime varietà di colore e forma e per il portamento elegante, che le ha rese un soggetto importante per l'arte e per la moda: protagoniste addirittura di un romanzo (La signora delle Camelie di Dumas), tocco di classe sui tailleur di Coco Chanel e Valentino, oggi non mancano nei nostri giardini, da quelli d'eccezione come le Ville Borromee a quelli comuni.
E da Varese la passione non si è fermata: basti pensare che il fiore simbolo delle ultime Olimpiadi invernali di Torino viene proprio dal Lago Maggiore. Si tratta di una stupenda camelia battezzata Ice Lake "creata" dalla Floricoltura Lago Maggiore di Cerro di Laveno, specializzata in particolare nella coltura di acidofile, ovvero Camelie, Rododendri e Azalee, oltre che nella progettazione e realizzazione di parchi e giardini.
"L'idea" spiega Luciano Piffaretti della Floricoltura Lago Maggiore "è nata in seguito ad una specifica richiesta di Elio Savioli presidente del Consorzio fiori Tipici Lago Maggiore. E' stata selezionata tra i vari ibridi una camelia di particolare fascino, bianca come la neve, resistente al freddo e di grande impatto". Un esempio soltanto di una collezione, quella della famiglia Piffaretti, di camelie tra le più prestigiose e ricche non solo in Italia, ma anche in Europa, risultato di quarant'anni di esperienza vivaistica. Una collezione che è stata tra l'altro protagonista delle Giornate delle Camelie organizzate a marzo a Villa della Porta Bozzolo di Casalzuigno dal Fai.
Silvia Giovannini

La via delle Camelie
A riprova che le camelie sono regine del nostro territorio, c'è anche il fatto che esiste addirittura una strada dedicata a questi fiori. La strada provinciale che da Grantola conduce a Montegrino è, infatti, famosa per le camelie che adornano i giardini che la costeggiano. La zona è particolarmente adatta alla crescita di questo fiore: si parla appunto di "clima delle camelie" in riferimento al clima insubrico occidentale, più umido rispetto alla zona orientale. Molto diffusa è la camelia japponica, che nel paese di origine, il Giappone, può diventare addirittura un albero alto 12 metri.
Curiosità su questa e sulle altre strade della provincia sono raccolte nel volume Vie di Civiltà Insubre edito dalla Provincia di Varese nel 1999 e destinato a promuovere il territorio attraverso il sistema stradale. Proprio le camelie, insieme alle altre acidofile prodotte sul Lago Maggiore, sono al centro di un disciplinare di produzione finalizzato all'ottenimento dell'Indicazione geografica protetta. Questo disciplinare, presentato durante l'inaugurazione di AgriVarese, l'ormai tradizionale appuntamento con il mondo dell'agricoltura e i suoi protagonisti, è frutto di tre anni di studi e ricerche condotti grazie alla disponibilità di una cinquantina di aziende florovivaistiche. Prima di arrivare a Bruxelles, tramite il Ministero delle Politiche agricole, i risultati delle indagini tecniche ed economiche verranno presentati ufficialmente alla Provincia e alla Camera di Commercio e in seguito alla Regione Lombardia. (S.G.)

Un settore che fiorisce
Pasquale GervasiniCon la Città Giardino in testa, la provincia di Varese è decisamente un territorio verde: dai parchi che la rendono meta di gite anche dall'estero, ai fiori che portano il suo nome anche in eventi di altissima visibilità come le olimpiadi invernali, alle manifestazioni dedicate ai fiori, come quelle di Villa della Porta Bozzolo, il settore florovivaistico "fiorisce" ovunque.
Sono 250 le aziende che operano in questo campo, per circa 800 addetti. Un settore che si segnala anche per la propensione all'export, in particolare per quanto riguarda l'esportazione in nord Europa di prodotti di alta qualità, per lo più piante acidofile, come le azalee o le famose camelie.
La realtà varesina è dunque piuttosto ricca e variegata, per così dire multiforme.
Quali sono gli ambiti principali di attività del florovivaismo varesino?
Pasquale Gervasini, presidente dell'Unione provinciale agricoltori e vice-presidente della Federlombarda agricoltori parla di diversi filoni. "In primo luogo - afferma Gervasini - ci sono i produttori: chi produce piante in coltura protetta, sotto vetro (tutte le piante annuali, dai gelsomini alle stelle di natale) e chi produce in pieno campo, all'aria aperta (piante da vivaio e ornamentali, come rododendri o le famose camelie del lago Maggiore: tra queste ultime anche la splendida camelia "ideata" per le Olimpiadi di Torino).
Altro aspetto riguarda, invece, la costruzione e manutenzione dei giardini, realtà legata alla precedente perché per lo più chi se ne occupa ha alle spalle un vivaio. Si tratta di una realtà di grandi numeri e di tradizione consolidata nel tempo: già dalla seconda metà dell'800 i ricchi milanesi avevano una serra per coltivare i fiori che poi avrebbero ornato la casa, oltre a splendidi giardini. La tradizione si è perpetuata: oggi ci sono vere e proprie imprese florovivaistiche con decine di dipendenti che offrono pacchetti completi dalla progettazione, alla manutenzione dei giardini.
Accanto a questi filoni principali c'è poi il settore del garden, con la vendita al pubblico di tutto quanto serve - anche a livello hobbistico - per costruire, mantenere, curare il verde".
Oltre alla già citata camelia, ci sono altri esempi di eccellenze nel nostro territorio?
"Un cavallo di battaglia è senz'altro il ciclamino. Si tratta di una cultura storica: addirittura Paolo Frattini ne aveva inventata una varietà strepitosa: il cyclamen persicum. E per le sue caratteristiche si sposa perfettamente con il microclima di questo territorio".
Il settore è dunque vitale. Ma i problemi?
"Sicuramente. In primo piano c'è l'alta incidenza dei costi energetici sui costi produttivi e la scarsità di agevolazioni rispetto ai competitor del nord Europa: anche se la mancanza di dazi o vincoli ha permesso ai nostri prodotti (piante ornamentali) di essere competitivi sui mercati esteri, oggi il gap con l'estero per quanto riguarda i costi è molto alto. E come non bastasse, la burocrazia è soffocante. Altro problema per quanto riguarda la manutenzione del verde è l'abusivismo. Nota piuttosto dolente è inoltre la qualificazione professionale: l'offerta formativa non è sufficiente a coprire la domanda. Le scuole sono poche: quella di Minoprio e del parco di Monza. A dispetto di un settore che ha buone prospettive occupazionali".

A questo riguardo, però, buone notizie arrivano in questi giorni dal CFP di Varese: l'anno prossimo, infatti, partirà un corso triennale per florovivaisti - realizzato in collaborazione con Minoprio - al termine del quale sono previste 600 ore di stage.

03/31/2006

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