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Nove dei Mille erano di Varese

In occasione del bicentenario della nascita di Garibaldi, Varesefocus propone un excursus storico nelle vicende e nei luoghi varesini che videro protagonista l'eroe dei Due Mondi e i suoi uomini.


1848 e 1859, Garibaldi scrive a Varese alcune delle pagine più gloriose della storia del Risorgimento. A Luino, Varese, Morazzone, Laveno e San Fermo (ai confini con il Comasco) la nostra provincia si guadagna sul campo le medaglie per entrare nella galleria delle città patriottiche d'Italia, quelle che hanno dato un contributo diretto e concreto alla rivolta antiaustriaca.
Nella battaglia di Biumo Inferiore, a Varese, uno dei simboli dell'intero ciclo delle guerre d'indipendenza, muore il 6 maggio 1859 Ernesto Cairoli, prima vittima di una straordinaria famiglia (di origine pavese) che darà alla causa altri tre eroi: Luigi, sottotenente dell'esercito garibaldino, muore di tifo a Napoli nel 1860 durante l'impresa dei Mille, Giovanni ed Enrico cadono direttamente o indirettamente per la difesa di Roma a Villa Glori nel 1867. Benedetto, l'unico sopravvissuto dei cinque fratelli, diventerà capo del governo del neonato Regno d'Italia e Adelaide, la madre di questi ragazzi idealisti e coraggiosi, sarà ricordata come la mamma d'Italia.
Il sacrificio di Ernesto è immortalato in decine di quadri più o meno contemporanei, fra cui quello commovente di Federico Faruffini che fissa, con il crudo realismo di una fotografia, il momento in cui l'eroe cade a terra, colpito a morte dal piombo austriaco. A lui, la città di Varese ha intitolato il liceo classico che da ottant'anni contribuisce a formare la sua classe dirigente e la scuola elementare di Biumo (con gli altri fratelli).

TRE AMICI CORAGGIOSI
Tanti varesini sacrificarono la vita all'idea garibaldina. Enrico Dandolo muore il 3 giugno 1849 alla difesa della Repubblica Romana e il fratello Emilio, dieci anni dopo, non sopravvive alle conseguenze di una vita spericolata. A Roma trova la morte anche un loro giovanissimo amico, Emilio Morosini, 19 anni, bello e ricchissimo (abitava in quella che oggi è Villa Recalcati sede della Provincia). Il colonnello Francesco Daverio s'immola sul Gianicolo alla difesa di Roma nel 1849. A lui Varese ha dedicato l'istituto tecnico commerciale.
La storia, tuttavia, non la scrivono soltanto gli eroi. Nessuno di solito ricorda il contributo decisivo che alle grandi e piccole imprese dà la gente comune, gli anonimi protagonisti cui non sono intitolate strade e scuole.
E' il destino che tocca ai nove ardimentosi e semisconosciuti varesini che, nel 1860, s'arruolano nei Mille di Garibaldi.
Chi erano? Da quali paesi del Varesotto provenivano, quali mestieri lasciarono per seguire Garibaldi e che fine hanno fatto? Erano ricchi, poveri, colti? Troviamo i loro nomi, i volti e qualche scarno dato sulla loro vita nell'album fotografico “I mille di Marsala” di Germano Bevilacqua, un volume pubblicato nel 1985 da Manfrini Editori di Trento. I nove varesini fanno parte del contingente di 443 garibaldini lombardi che s'imbarcano a Quarto che, curiosamente, costituiscono la rappresentanza regionale più numerosa tra i mille in camicia rossa.

GLI EROI UNO PER UNO
La Lombardia, futura culla dell'autonomismo leghista, è dunque la più sollecita a promuovere l'unità d'Italia con i suoi 166 bergamaschi, 70 milanesi, 61 bresciani, 58 pavesi, 29 mantovani, 25 cremonesi, 22 comaschi, 9 varesini e 3 cittadini di Sondrio.
Ricordiamoli, allora, uno per uno, come meritano, questi eroi sconosciuti all'oleografia dei libri di testo. Uomini che aderirono alla causa in piena consapevolezza e non trascinati dall'ignoranza (visto che tra le camicie rosse furono inquadrati almeno 48 analfabeti).
Due caddero durante l'impresa dei Mille. Annibale Pedotti, un negoziante di Laveno di ventinove anni, muore al Volturno il primo ottobre 1860.
Gerolamo Bianchi, ventenne studente in medicina di Caronno Pertusella, si spegne a Palermo il 30 maggio 1861 per le conseguenze delle ferite riportate in battaglia.
Un terzo varesino sacrifica la vita appena più tardi. Si chiama Giuseppe Valder, è nato a Varese nel 1840 ed è militare di professione. Morirà sul campo di Custoza nel 1866. Non aveva ancora compiuto ventisei anni.
Gli altri sei? Eccoli, con i loro cognomi inconfondibili.
Carlo Bossi è un soldato, un ufficiale. Quando s'imbarca con Garibaldi ha appena vent'anni. Morirà a Ravellino in provincia di Como nel 1892 (un omonimo Carlo Bossi risulta caduto a Biumo Inferiore e il suo nome è scritto sulla lapide del monumento ai Cacciatori delle Alpi di Varese).

POSSIDENTI E COMMERCIANTI
Giuseppe Bottinelli sopravviverà ampiamente alla guerra. E' nato a Viggiù e non può che fare lo scultore. Morirà nel suo letto all'inizio del nuovo secolo, nel 1902, lo stesso anno in cui si spegne a Milano il portinaio Luigi Raimondi, un altro dei Mille, nato a Castellanza nel 1824.
Ne restano tre e tutti riescono a vedere i frutti del loro coraggio e dell'epopea garibaldina.
Il più longevo è Cesare Castiglioni, un possidente di Tradate. S'imbarca allo scoglio di Quarto ad appena diciannove anni e muore a Milano alla fine del primo conflitto mondiale, nel 1918.
Giovanni Teruggia è un commerciante di Laveno. Parte con Garibaldi a ventitrè anni e muore a Napoli nel 1895.
Infine Daniele Carabelli, di Gallarate. E' benestante, fa l'argentiere ma non vive di soli interessi di bottega. S'arruola tra i Mille a ventuno anni e muore a Milano nel 1891.
Non s'imbarcò a Genova con i Mille ma li raggiunse in Sicilia e combattè a Milazzo guadagnandosi i gradi di capitano l'ufficiale dei bersaglieri Nicostrato Castellini, stretto collaboratore del generale, che poi morirà nella battaglia di Vezza d'Oglio il 4 luglio 1866.
Il figlio Gualtiero, giornalista, ne onorò la memoria nel libro “Pagine Garibaldine”, in cui compaiono inediti carteggi con Garibaldi, Mazzini e Laura Solera Mantegazza, la “garibaldina senza fucile”, patriota e benefattrice, che aveva soccorso i feriti della battaglia di Luino il 15 agosto 1848. I discendenti di Nicostrato Castellini vivono tuttora a Ranco, vicino a Laveno, sul lago Maggiore.

SBARCO A SESTO CALENDE
Al di là delle memorie legate ai campi di battaglia, Garibaldi e i suoi uomini hanno lasciato tracce di sé in numerose altre località del Varesotto.
Basti ricordare lo sbarco dei Cacciatori delle Alpi a Sesto Calende il 23 maggio 1859, immortalato sull'onda della memoria dal pittore-soldato Eleuterio Pagliano in un celebre quadro ad olio conservato ai Musei Civici di Varese. E' un quadro gigantesco, con un campo di tela alto due metri e trenta per sei di lunghezza. L'autore, fervente patriota già sulle barricate di Milano nel marzo 1848, fissa con scrupolo ritrattistico i protagonisti dello sbarco, i volti e le figure di settantatrè volontari garibaldini, descritti nell'attimo in cui i barconi attraccano nel porticciolo.
Dai caseggiati del lungolago, rischiarati da una fresca luce mattutina, la gente osserva incuriosita. Sullo sfondo occhieggia la sagoma familiare del Monte Rosa.
Il grosso della truppa attende di mettere piede a terra, un garibaldino già sbarcato gioca con un cane, un altro consulta le carte topografiche, un terzo sventola il Tricolore. C'è nell'aria un'atmosfera d'attesa, quasi di ansia per le imprese che si vanno a compiere.

LA LOCANDA DEL GENERALE
Una legenda numerata sul retro della tela svela l'identità dei patrioti.
Ecco Nino Bixio, i generali Medici, Sacchi e Cosenz, i pittori Sebastiano De Albertis, Girolamo Induno e lo stesso Pagliano, il bergamasco Francesco Nullo, il medico Agostino Bertani che sarà l'anima organizzativa della futura spedizione dei Mille. C'è anche Ippolito Nievo, il letterato che ha già scritto il suo capolavoro, “Le confessioni di un italiano”, ma preferisce seguire Garibaldi piuttosto che sedersi sugli allori letterari.
E poi la truppa, studenti, avvocati, carrettieri, bottegai. Ritto sul pontile, con l'inseparabile poncho gettato sulle spalle, il generale guarda lontano appoggiandosi al fucile. Il quadro è una testimonianza d'eccezione, una cronaca soffusa di nostalgico romanticismo.
Altre tracce il nizzardo e i suoi lasciarono nelle due spedizioni prealpine a Induno Olona, Arcisate e in Valceresio. Il sito Internet di un noto ristorante di Induno spiega che Giuseppe Garibaldi passò dal paese nel 1848 trovando ospitalità nell'unica locanda, dove tornò poi nel 1859. Gli indunesi, tuttavia, non vollero ricordare questo passaggio del generale con l'intitolazione di una via o di un monumento, perché a quanto pare le truppe garibaldine affamate saccheggiarono le case.
In realtà, spiega il sito, tutto si ridusse al furto di un asino. Nel luogo in cui sorgeva la vecchia osteria che ospitò l'eroe dei due mondi, sorse quella che oggi è la Locanda Garibaldi.

Il monumento al Garibaldino
A Varese, resta a ricordare la sanguinosa battaglia di Biumo Inferiore, il monumento ai Cacciatori delle Alpi.
Una bella ricerca storica con cui gli alunni della 3A della scuola media statale Dante Alighieri vinsero un viaggio premio nel 2003, spiega che il monumento è la riproduzione in bronzo dell'opera scolpita in pietra dall'artista di Viggiù Luigi Leone Buzzi.
Il monumento, alto otto metri e largo tre, fu inaugurato il 26 maggio 1867 nella piazza San Martino davanti alle scuole comunali (oggi tribunale) che, per l'occasione, fu ribattezzata piazza Cacciatori delle Alpi. L'opera fu poi collocata in piazza Podestà il 26 maggio 1901.
Garibaldi fu sempre legato da un sincero e ricambiato affetto al territorio varesino. Fu eletto deputato al Parlamento del nuovo Regno d'Italia per il collegio Varese-Cuvio.

04/06/2007

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