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Varese: “far corte” a Palazzo

Palazzo Estense è una delle mete più apprezzate dai turisti in visita alla città di Varese. Una storia ricca quella della residenza e dei suoi giardini, amati oggi come ieri per la loro amenità, ad un passo dal centro cittadino.


Occorrono sei anni - dal 1766 al 1771 - all’architetto Giuseppe Antonio Bianchi per erigere a Varese il palazzo (ma in realtà i lavori durarono più a lungo) e realizzare il giardino di Francesco III, dal 1737 duca di Modena, principe, marchese, conte, cavaliere del Toson d’oro, governatore della Lombardia austriaca, comandante delle truppe imperiali in Italia.
Perché un così importante personaggio, anche se oggi discusso e variamente valutato, sceglie Varese come sua dimora estiva? Perché la città, per un lungo felice periodo dall’ottocento agli inizi del XX secolo, è polo di grande attrattiva per un turismo d’élite - prima nobiliare e poi dell’illuminata borghesia imprenditoriale - attirato dalle intense, raccolte bellezze del territorio lacuale e prealpino.

DAL DUCATO DI MODENA A VARESE
Francesco III è un sovrano poco presente nel suo Stato, e, pur rimanendo in carica come governatore della Lombardia dal 1753 al 1771, ama “far corte”, come si diceva allora, nei luoghi più ameni.
Soggiorna infatti per lunghi periodi nella bella villa di Cataio, vicino a Padova, e poi in quella di Rivalta, per scegliere in seguito Varese che gli è infeudata ad personam, come dono dell’imperatrice Maria Teresa in barba alla libertà dei varesini, i quali, però, accettano la nuova condizione di infeudati pensando alle opportunità di lavoro ed economiche che la corte apporta. Il 20 settembre 1755 Francesco III viene per la prima volta Varese, giungendovi con il suo seguito, ospite del marchese Menafoglio e fermandosi quattro giorni in visita anche a Cuasso e al Sacro Monte. E’ durante questo soggiorno che matura forse la decisione di scegliere Varese per costruire il suo palazzo estivo, attratto dalle amenità delle castellanze.
Sono i Menafoglio ad occuparsi negli anni successivi di tutto e, scartate altre possibilità, suggeriscono la casa Orrigoni - e i terreni vicini - un palazzotto da poco ristrutturato che si presta ad essere dimora temporanea, mentre si susseguono i lavori di ampliamento e ristrutturazione.

IL GIARDINO ALLA FRANCESE
La residenza, ispirata alle principali dimore italiane ed europee, viene arricchita da quel parco monumentale “alla francese” - impostato su un rigido impianto prospettico circondato da quinte vegetali realizzate da berceaux di carpini - che costituisce ancor oggi una delle principali attrattive varesine. Un asse di simmetria, passante per il centro della facciata collega otticamente ingresso-portico-parterre-collina iniziando da un ampio spazio esterno verso strada, ora scomparso, eseguito, come il parco, su progetto dell’architetto Giuseppe Antonio Bianchi. L’esedra di ingresso è realizzata sopprimendo la via che dal borgo di Varese conduce verso Masnago (attuale via Sacco), e trasformando in uno slargo, con aiuole ed alberi, una porzione del terreno denominato “Campagnola”, di proprietà del conte Litta. Costui propone inizialmente un prezzo di vendita troppo alto e il duca modifica i piani di progetto decidendo che l’ingresso alla villa avvenga dai giardini, dopo aver allargato e spianato la strada proveniente dalla chiesa di S. Antonio alla Motta (che oggi conduce al parcheggio ACI, dietro la Banca d’Italia). Se il progetto fosse stato eseguito si sarebbe avuto un ribaltamento della visuale prospettica di arrivo al palazzo: non più dalla strada ma dal parco, ove, al posto dell’attuale fontana un ampio terreno consente l’accesso all’area a parterre o alle rampe di salita verso la collina del Belvedere. Grazie alla riduzione di prezzo fatta poi dal Litta si acquista il terreno della “Campagnola” e realizzata l’esedra di ingresso, procedendo all’ampliamento del giardino di casa Orrigoni: si
spiana la collina del Belvedere, la cui ascesa è assicurata da due rampe simmetriche, lasciate a prato ed affiancate da altrettanti passaggi coperti a pergolato con piante di carpini.

LA SCENOGRAFICA RESIDENZA
L’apporto progettuale dell’architetto Bianchi è oggi chiarito dal reperimento della più antica planimetria del palazzo, da cui sono evidenti non solo la costruzione dei balconi posti sulle facciate principali verso strada e verso il giardino, a disimpegno del salone di mezzo, ma anche la realizzazione della sala da pranzo superiore al portone laterale di levante, degli alloggi degli ospiti e degli innumerevoli locali di servizio come la pasticceria, le cucine, i forni, la dispensa del rame ed il tinello.
L’intervento del Bianchi implica la demolizione parziale delle case esistenti, di proprietà dell’“Ospedale dei Poveri” di Varese, e la razionalizzazione degli spazi con la sistemazione di due cortili di servizio posti ad oriente (oggi dell’anagrafe) ed una seconda corte nobile verso la quale si affaccia, al piano primo, una nuova galleria e al piano terra l’accesso alla nuova Salle d’Assembleè, oggi nota come Salone Estense. Il 2 aprile 1768 inizia questa opera necessaria per accogliere le pubbliche adunanze e dare sontuose feste. Il maggio successivo il pittore e quadraturista modenese Ludovico Bosellini esegue la ricca decorazione a finte architetture mentre l’ovale centrale rappresentante Giove, Venere ed Amore è opera attribuita a Giovan Battista Ronchelli.
Il Bosellini risulta autore anche di altri interventi pittorici nel palazzo, in particolare del restauro delle decorazioni già esistenti, purtroppo scomparse, nel salone di mezzo del primo piano che ospita oggi la cerimonia del matrimonio civile.
Alla fine del 1778 l’architetto Giuseppe Antonio Bianchi lascia Varese ed è sostituito, l’anno successivo, dall’ingegnere bolognese Lodovico Bolognini, esperto in questioni idrauliche. Oltre che dei giardini e delle fontane, si occupa della progettazione di una serie di camere per il biliardo, poste a destra dell’ingresso principale, della cappella di corte dedicata a S. Giovanni Battista e decorata con le quadrature prospettiche del pittore varesino Giuseppe Baroffio, ed infine del riminato.
E’ quest’ultimo un frontespizio realizzato in legno di quercia e completato da aquile lignee e da un orologio solare realizzato su disegno da Maria Beatrice d’Este, nipote di Francesco III ed arciduchessa d’Austria, dove è ora il muro di coronamento attuale.
Solo dopo la morte del duca viene completata anche l’ala di ponente, mantenuta fino al 1780 pressoché uguale a come l’aveva realizzata l’Orrigoni. La vedova, principessa Teresa Renata Melzi, nata contessa d’Harrach, si affida a Marcellino Segre, aiutante del Bianchi, il quale fa demolire parte del fabbricati esistenti per realizzare le rimesse, una legnaia, una selleria, l’appartamento del giardiniere ed una serra per riporre i vasi dei limoni.

LA VITA DI CORTE
Come vive Francesco III a Varese? Dopo saltuari e non lunghi soggiorni durante la costruzione - nelle sue visite suggerisce, dirige, sorveglia i lavori, forte dell’esperienza derivata dalla ristrutturazione delle precedenti ville, della sua cultura, della frequentazione dei palazzi nobiliari più famosi - la sua presenza è sempre più ravvicinata.
Nel 1771 l’amata nipote Beatrice d’Este sposa l’arciduca Ferdinando d’Austria e le grandiose feste tenute a Milano proseguono a Varese, per otto giorni. Con la cerimonia nuziale Francesco III cessa la reggenza di Milano e inizia il lento ritiro a vita privata. La villeggiatura a Varese avviene dalla primavera all’autunno avanzato anche se intervallate da viaggi a Milano, Modena, a Cernusco sul Naviglio, dove il duca partecipa alle battute di caccia degli Alari. Le giornate trascorrono placidamente nei giochi di carte, in gare al biliardo - così come faceva Luigi XIV a Versailles - nei passatempi della caccia, nelle gita al Lago Maggiore, al Sacro Monte, al lago di Varese. A palazzo si organizzano banchetti, la cui sontuosità dipende dal rango degli ospiti e dal tipo di celebrazione: tavole riccamente imbandite con piatti di ogni genere, pietanze artisticamente decorate, piramidi di frutta e dolci. Nell’estetica alimentare del ’700 la vista deve essere correlata al gusto, i cibi sono preparati con ingredienti ordinati secondo il colore e vengono mostrati ai commensali su portantine. Si beve, tra gli altri, il vino di Casbeno, tanto rinomato da essere esportato anche in Svizzera e si mangia la nuova prelibatezza esotica che costituisce simbolo di ricchezza, la nuova passione comune della nobiltà di tutta Europa: il cioccolato.

UN FEUDATARIO ILLUMINATO
Ma Francesco III non si dedica solo ai passatempi. Anche a Varese, esercita il suo potere nella vita civile: migliora le condizioni igieniche del borgo mediante la promulgazione di grida, abolisce la Congregazione del Gesù e dalla vendita dei beni crea un fondo per stipendiare gli insegnanti di scuola pubblica, migliora il salario del medico e del chirurgo dell’ospedale, si occupa di assistenza. Dopo la morte sua e della terza moglie Renata Teresa d’Harrach principessa Melzi, la proprietà passa in eredità a Rosina Sinzendorf, contessa Serbelloni, che è costretta, dall’onere della manutenzione, ad affittare gli appartamenti del palazzo alla nobiltà lombarda e straniera, giunta a Varese per villeggiare. Il grande piazzale di ingresso viene trasformato in spalto per le esercitazioni militari, e successivamente lottizzato e venduto per la costruzione delle case borghesi che dalla metà dell’Ottocento si affacciano sull’attuale via Sacco. Solo nel 1836 la proprietà è ceduta al dottor Carlo Pellegrino Robbioni, dando inizio alla storia tutta varesina di Palazzo Estense.


E di sera si illumina il giardino…
Anche quest’estate ai Giardini Estensi ci sarà il tradizionale spettacolo “Suoni e luci”.
Tutte le sere, escluso il lunedì, dal 21 giugno fino al 15 settembre, dalle 22.00 alle 23.00, la nuova illuminazione e le musiche allieteranno le serate cittadine.
UN VOLUME SU PALAZZO ESTENSE A VARESE

Sul palazzo e la vita di corte è stato ora editato un volume della collana "Dimore monumentali della provincia di Varese" delle Ask Edizioni di Induno Olona, frutto di una rigorosissima ricerca storica condotta dall'architetto e studiosa varesina Paola Bassani, attraverso lo studio di fondi d'archivio conservati a Varese, Milano e Modena.
I risultati raggiunti consentono di presentare una pubblicazione ricca negli apparati documentari, non priva di importanti documenti inediti, ed ampliamente illustrata da belle fotografie. Il volume ricostruisce le vicende costruttive di Palazzo Estense a partire dall'analisi delle preesistenze architettoniche, in particolare la casa Orrigoni, attribuita al capomastro varesino Giuseppe Veratri e la rivisitazione del materiale d'archivio permette di ricostruire le dinamiche del cantiere ducale, i ruoli, i materiali, le manovalanze coinvolte. Sono poi descritti i completamenti eseguiti nell'ala di ponente, tra il 1782 e l'85, dopo la morte del duca, avvenuta nel 1780.
La pubblicazione è inoltre arricchita dai contributi di studiosi di storia modenese e di casa d'Este, che hanno consentito un aggiornamento critico della figura e della personalità politica e culturale di Francesco III. Se l'apporto del prof. Giovanni Tocci - dell'Università di Modena - ribadisce la predisposizione del duca alla mondanità piuttosto che alle questioni politiche ed amministrative, "distratto" dal fascino esercitato dalla vita di corte, i contributi di Elena Corradini, direttrice della Sovrintendenza di Modena e Reggio, e di Anna Rosa Venturi, direttrice della Biblioteca Estense, ne sottolineano invece l'attenzione verso le attività civili e culturali. Alla dispersione di parte della quadreria ducale, venduta al re di Polonia, Federico III, tra il 1743 ed il 1746, corrisponde infatti un nuovo allestimento e l'arricchimento della Galleria Estense, nonché l'istituzione dell'Università, l'apertura della Biblioteca Estense e della Accademia Ducale dei Dissonanti.

06/20/2002

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