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Il welfare del futuro

Cinque domande ad Alberto Mingardi (Istituto Bruno Leoni) e Paolo Onofri (Centro Studi Prometeia): punti di vista diversi guardando allo Stato Sociale prossimo venturo.

Esiste un problema di sostenibilità dell’attuale modello di welfare italiano? Se sì, dove occorrerebbe intervenire: si dovrebbero ridurre le prestazioni o basterebbe razionalizzare la spesa (sprechi)?
Alberto MingardiMingardi - Che i problemi dello Stato sociale si possano risolvere razionalizzando la spesa, ovvero sia "tagliando gli sprechi", è una pia illusione. Bisogna guardare a due diverse questioni di ordine generale. La prima attiene la sostenibilità stessa del welfare nella forma che ha assunto nell’Europea continentale, che oggi è messa a rischio dai trend demografici. La seconda riguarda invece l’impatto che i sistemi socialdemocratici hanno non solo sulla "distribuzione" della ricchezza, ma sulla sua creazione. L’alta tassazione penalizza fortemente quella parte della società che, intraprendendo, crea benessere per tutti, diminuendo gli incentivi per creare ricchezza e invece spesso agevolando la formazione di piccole o grandi caste che vivono di rendite parassitarie.
Paolo OnofriOnofri - La sostenibilità dei sistemi di welfare non è sostenibilità finanziaria, ma disponibilità di una parte della popolazione di pagare imposte o contributi per trasferire risorse ad altra parte della popolazione che sta vivendo situazioni peculiari:malattia, non autosufficienza, disoccupazione involontaria, vecchiaia disagiata, povertà. Di per sé la quota di spesa per la protezione sociale in Italia è inferiore a quella media dei paesi europei e più elevata di quella degli Stati Uniti. La sua composizione è invece sbilanciata: si spende il 60% per pensioni e il rimanente 4% è diviso tra sanità, assistenza e disoccupazione. Le spese per assistenza e disoccupazione sono già così basse che è impossibile la loro riduzione; la spesa per pensioni è fatta tutta di diritti acquisiti, per cui la riduzione del suo peso può avvenire solamente su un orizzonte molto lungo.
In quali settori occorrerebbe soprattutto intervenire?
Mingardi - Lo Stato sociale andrebbe smontato per essere ricostruito attraverso strumenti di mercato. I pilastri su cui poggia il welfare sono la regolazione del lavoro, la previdenza sociale, l’assistenza sanitaria, l’educazione pubblica e gratuita. L’iper-regolazione del lavoro è il cappio stretto al collo dei Paesi dell’Europa continentale, a cominciare dall’Italia, in un mondo nel quale altre realtà, che giustamente desiderano arricchirsi e diventare prospere, hanno scelto regole diverse. I sistemi pensionistici pay-as-you-go sono in crisi ovunque, perché la demografia ci insegna che domani i lavoratori non potranno più sostenere il peso dei pensionati. La sanità è una bomba ad orologeria, visto che in quell’ambito gli sforzi della grande ricerca e del grande privato stanno determinando uno strepitoso allungamento della nostra vita, che però ha ripercussioni negative sui sistemi sanitari nazionali. L’educazione statale fornita in monopolio si rivela sempre più incapace di formare capitale umano di qualità, che è l’ingrediente fondamentale per crescere. Insomma, c’è poco da stare allegri, anche se le nostre classi politiche pasteggiano a champagne sul ponte del Titanic.
Onofri - Il settore prioritario è quello della disoccupazione; la flessibilità introdotta all’ingresso sul mercato del lavoro implica una minore protezione sul posto di lavoro e quindi richiede una maggiore protezione una volta perso il posto di lavoro. Ciò è funzionale all’aumento della mobilità da un’occupazione a un’altra di cui abbiamo estremo bisogno per riposizionarci nei diversi settori produttivi e per favorire il passaggio dei lavoratori da aziende in declino ad aziende in crescita.
Si può immaginare un diverso modello che assicuri accettabili standard assistenziali? Su quali leve potrebbe poggiare?
Mingardi - Pensiamo alle pensioni. Abbiamo avuto una grande riforma di mercato, quella cilena, ormai esportata in una ventina di altri Paesi. E’ una riforma che ci sposta da un sistema a ripartizione ad uno a capitalizzazione, che esalta la libertà di scelta dei singoli e delle famiglie, che contribuisce a fortificare un mercato di strumenti finanziari affidabili, che restituisce ai cittadini il risparmio.
In quel sistema, un lavoratore si "crea" la pensione, risparmia in prima persona, vede, su un libretto apposito, come vengono investiti i suoi accantonamenti, può chiederne conto al gestore di fondi pensione, e può cambiare gestore, se un certo modello non lo convince.
Una riforma siffatta non solo contribuisce a risolvere un problema economico, ma restituisce centralità alla società, alle persone, e contribuisce ad abbattare l’assurdo pregiudizio che siano non gli individui, ma dei burocrati per cui essi non sono che numeri, a sapere cos’è meglio per loro.
Onofri - Un esempio: l’invecchiamento rapido della nostra popolazione richiede una attenzione maggiore all’assistenza agli anziani non autosufficienti. Una parte di questa protezione potrebbe essere garantita ai pensionati in cambio della accettazione di pensioni meno generose, all’interno di un pacchetto vecchiaia complessivo che si compone di trasferimenti monetari (pensioni) e di erogazione di servizi (long term care). Naturalmente, ciò non potrebbe essere totalmente a carico delle pensioni, ma dovrebbe trovare comunque la solidarietà fiscale dell’intera collettività.
Dove i modelli di welfare ritenuti più avanzati riescono ad essere più efficaci ed efficienti rispetto al nostro?
Mingardi - La domanda è ambigua. Per anni si è ritenuto più "avanzato" un welfare che assicurasse copertura universale. Il risultato di quel pensiero è che gli Stati sociali, oggi, sono di fatto realtà i cui grandi beneficiari sono le classi medie, e che continuano a lasciare ai margini i poveri ed i poverissimi. Essi sono marchingegni istituzionali che erogano fondi a gruppi qualificati che sanno bussare alla loro porta.
Un modello è avanzato se sa responsabilizzare la società civile, se sa restituire a individui, famiglie e associazioni il senso di aiutare il proprio prossimo. Un sistema davvero avanzato esalterebbe la capacità di fare del non profit, aiuterebbe chi vuole e sa aiutare, non userebbe i poveri come un pretesto per costruire un’ìmmensa burocrazia. Questo, per chi davvero non può, per chi ha preso dalla vita schiaffi da cui non ci si può risollevare. Per tutti gli altri, un welfare moderno dovrebbe articolarsi attraverso un sistema di assicurazioni: contro la vecchiaia, contro la disoccupazione, contro l’infermità. Assicurazioni private, libere di competere e di guadagnare o perdere clienti sul mercato, ed esposte alla disciplina del mercato, che è la migliore cura contro le malversazioni che, nei sistemi statalisti, sono la regola.
Onofri - Un sistema di assicurazione sociale dei rischi della vita individuale è un forte veicolo di identità collettiva: essa si è realizzata nei paesi che hanno saputo mettere assieme flessibilità dei mercati e sicurezza individuale attraverso una efficiente amministrazione pubblica che sappia tagliare fuori le principali possibilità di abuso dei sistemi di sicurezza sociale ed evitare il formarsi di un processo di “dipendenza” dal beneficio pubblico. Questo è stato realizzato soprattutto nei paesi dell’Europa del Nord, che sono anche i paesi che soffrono di meno del declino economico.
Quale futuro intravede per il welfare nel nostro Paese?
Mingardi - La demografia ci costringe a pensare una riforma, ma le resistenze sono fortissime. Qualcosa è stato fatto: per quel che riguarda il mercato del lavoro, ad esempio. Ma resta ancora da fare tantissimo. Il problema è che i beneficiari dello Stato sociale sono, banalmente, voti che il politico conta quando si presenta alle elezioni. Sono persone che votano per difendere i loro privilegi, magari sono pochi rispetto a quanti beneficerebbero di una riforma, solo che quest’ultimi si presentano dispersi e non uniti davanti al politico.
Ecco perché serve una visione, serve coraggio, per tentare di modificare le cose, per spiegare alla gente che un sistema più efficiente e di mercato è un sistema più giusto, che smussa il rischio del parassitismo, che sa essere meglio vicino a tutti, che permette un intervento residuale solidaristico per chi davvero non può far da solo, che responsabilizza tutti ed esalta la straordinaria capacità del privato - che in Lombardia conosciamo benissimo - di essere solidale e compassionevole.
Onofri - Sono abbastanza pessimista nel breve periodo; abbiamo una pubblica amministrazione non così efficiente ed efficace come sarebbe necessario per garantire quanto detto in precedenza; abbiamo ereditato dagli anni ‘70 e ‘80 un debito pubblico che ci costringe a impegnare almeno due punti in più di Pil in interessi rispetto agli altri paesi e “smontarlo” richiederà più di un decennio.

03/31/2006

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