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Fidighela, fidighina, mortadella de fidigh

Slow Food scopre un altro prodotto tipico della provincia di Varese (e non solo), la mortadella di fegato di maiale. Un percorso di tutela che, per ragioni di costo della procedura, abbraccia anche le omologhe produzioni del Canton Ticino. Per i vecchi salumieri lombardi infatti è la "mortadela de fidig". Gli svizzeri la chiamano invece, nel loro colorito dialetto, "fidighela". Ma il risultato non cambia.

C'è chi la prepara cruda, chi cotta al vin brulè, chi la insaporisce con l'Amaretto di Saronno secondo la ricetta dei vecchi norcini. E' la mortadella di fegato di maiale, una specialità tipica del Varesotto e non solo. Celebre è quella del Novarese, soprattutto della zona del lago d'Orta e la saporita versione del Canton Ticino.
Gli svizzeri-italiani la chiamano nel loro colorito dialetto "fidighela". Di qua della rete di confine, per i vecchi salumieri lombardi è semplicemente la "mortadela de fidig", a Brinzio la "fidighina". Ma il risultato non cambia. La mortadella di fegato di maiale ora è finita nel mirino di Slow Food Varese, che intende valorizzarla con iniziative e mercatini che aiutino i produttori a stare sul mercato. E' un progetto, come vedremo, che prevede una stretta collaborazione con il Canton Ticino.
L'insaccato si prepara con una tecnica piuttosto laboriosa. La mortadella è fatta prevalentemente di fegato di maiale, con l'aggiunta di carni suine miste, cotenna, pancetta e una parte di carne di vitello.
Per insaporirla, dopo averla salata e speziata, si bagna con il vin brulè. Ognuno usa i propri prodotti. In Piemonte, per esempio, si utilizzano bottiglie pregiate di Barolo e Barbaresco.
La lavorazione è simile a quella delle classiche mortadelle bolognesi. L'impasto di 6-700 grammi va insaccato nel budello (o muletta) di maiale. La composizione può variare aggiungendo al fegato, coppa, lombo e pancetta. Il salume non esige lunga stagionatura. Va consumato nel giro di uno o due mesi dal confezionamento. Alla fine il risultato è superlativo. Il gusto speziato ha una punta amarognola tipica del fegato.
In provincia di Varese la producono artigianalmente l'Antico Salumificio Visconti di Gemonio, Mario Personeni di Luino, la Cascina Sciarè di Marisa Della Valle a Montegrino e l'azienda agrituristica Pian du Lares di Armio in Val Veddasca, mille metri d'altitudine non lontano dalla Forcora.
Al Pian du Lares si possono gustare, tra l'altro, gli inarrivabili caprini all'erba cipollina, tomini, coppa, pancetta, lonza salata, brasaola nostrana, salami e violini di capra. Ma la ghiottoneria forse più celebre è proprio la mortadella di fegato di maiale, con una produzione di quattro quintali l'anno.
"Il tocco d'amaretto viene da una vecchia ricetta di cui sentivo parlare quand'ero bambino - spiega Desiderio Carraro, 56 anni, titolare di Pian du Lares - Lo aggiungo al posto del marsala quando faccio l'impasto. Anche la legatura è particolare, concentrica a forma di rosa, con la muletta di maiale. E' la stessa tecnica che usano i norcini del Canton Ticino. Ognuno ci mette qualcosa di personale. Ma la cultura e le tradizioni sono le stesse".
Quand'è pronta, la mortadella si può mangiare cotta con il purè o la polenta, dopo averla fatta bollire una ventina di minuti come il cotechino. Se invecchia un paio di mesi, si gusta cruda, a fettine come il salame, con il pane o una fetta di polenta abbrustolita.
A Slow Food non sfugge la particolarità di questa prelibatezza gastronomica diffusa non solo a Varese e nel Canton Ticino, ma anche nella Bassa Lodigiana, a Milano, Como e Pavia. Tutelare il prodotto e sostenere i norcini rischia, tuttavia, d'essere troppo costoso.
"Fare un presidio è un percorso lungo e oneroso, costa almeno 15 mila euro - spiega Ivan Rovetta, 61 anni, fiduciario di Slow Food Varese - Pensiamo allora di aderire ad un presidio transfrontaliero, come quello della mortadella di fegato di maiale del Canton Ticino. E' la stessa strada che vorremmo percorrere per il Sancarlino della Valcuvia, il caprino piccante simile allo Zincarlin della Val di Muggio, prodotto con pepe nero rotto al mortaio che stagiona sei-otto settimane".
Del progetto si è parlato di recente a Monteviasco in un incontro conviviale cui hanno partecipato dirigenti di Slow Food Varese, il presidente Ido Locatelli della Comunità Montana delle Valli del Luinese e la responsabile dello sviluppo, Sibiana Oneto. A tavola gli ospiti hanno degustato, con la polenta, due tipi di mortadelle cotte del Varesotto e quattro crude del Canton Ticino. Nel menu anche risotto alle ortiche con la formagella del Luinese, zincarlin locale e della valle di Muggio. "L'importante ora è far sapere che il nostro prodotto esiste, che anche il Varesotto ha una produzione segnalata di mortadella di fegato di maiale e di pregiati salamini di capra - conclude il dottor Fabio Ponti, responsabile dei presidi e dei progetti della condotta Slow Food di Varese - il prossimo obiettivo è promuovere con mercatini ed altri eventi i quattro o cinque norcini a filiera corta che allevano, producono e vendono direttamente l'insaccato".

C'è anche quella alla grappa d'Angera
Oltre a quella artigianale, c'è anche la mortadella di fegato di maiale industriale. La produce il Salumificio Colombo di Crosio della Valle seguendo le tecniche tradizionali del Basso Varesotto con il vin brulè.
"Dal 2 ottobre, sarà in commercio la versione aromatizzata alla grappa d'Angera - spiega l'imprenditore Marco Colombo, che è anche il responsabile marketing del Consorzio del salame prealpino - La novità si potrà acquistare nei sedici supermercati GS della provincia di Varese".
A produrre queste mortadelle ci sono anche il Salumificio Ceriani di Uboldo e il Salumificio Giuseppe Cantù di Somma Lombardo.


Slow Food: No alla standardizzazione
Slow Food è un movimento internazionale nato nel 1989 a sostegno della cultura del cibo e del vino. Si contrappone alla tendenza alla standardizzazione del gusto e difende la necessità d'informare i consumatori nel mondo.
I presìdi sostengono le piccole produzioni eccellenti che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano mestieri e tecniche di lavorazione tradizionali, salvano dall'estinzione razze autoctone e antiche varietà di ortaggi e frutta.
I presìdi coinvolgono direttamente i produttori, offrono l'assistenza per migliorare la qualità dei prodotti, facilitano scambi fra Paesi diversi e cercano nuovi sbocchi di mercato (locali e internazionali).
In Italia sono circa 200 e tutelano i prodotti più disparati, dalla vacca Burlina al pane di patate della Garfagnana. Con i primi 65 presìdi internazionali, l'universo di Slow Food si è allargato a tutta la biodiversità del mondo, dal riso Adan in Malesia alla vaniglia di Mananara nel Madagascar. Il fiduciario di SLOWFOOD VARESE è Ivan Rovetta. Per informazioni: slowfoodvarese@libero.it

Il tesoro della Lombardia
La Lombardia possiede venti prodotti agroalimentari di qualità riconosciuti dalle certificazioni europee Dop e Igp. Gli otto insaccati sono Bresaola della Valtellina Igp, Cotechino Modena Igp, Mortadella Bologna Igp, Salame Brianza Dop, Salame di Varzi Dop, Salame d'oca di Mortara Igp, Salamini italiani alla cacciatora Dop, Zampone Modena Igp.
Nove i formaggi, tutti Dop: Bitto, Formai de Mut dell'Alta Val Brembana, Gorgonzola, Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Provolone Valpadana, Quartirolo Lombardo, Taleggio, Valtellina Casera.
Due sono gli oli extravergini d'oliva Dop, Garda e Laghi Lombardi. Un prodotto ortofrutticolo, la Pera Mantovana Igp. I vini a marchio riconosciuto sono invece trentuno (tre Docg, quindici Doc e tredici Igt tra cui, dal 2005, i Ronchi Varesini).

09/22/2006

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