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Pietra e fuoco

La storia delle fornaci del Varesotto inizia ufficialmente in epoca romana. Nei secoli successivi, si presume che l'attività fosse svolta a livello di sopravvivenza e, probabilmente, come occupazione secondaria, anche se di interesse collettivo, alla quale partecipava tutta la popolazione del luogo.

La calcinaia di Arcisate
Metter su casa
Già! Facile dire: “...e poi i nuclei antichi subirono una naturale evoluzione con successivi ampliamenti.
La cresciuta spinta demografica ed il livello economico sempre avanzante favorirono quegli sviluppi edilizi che, di mano in mano, vennero a configurare la fisionomia dei nostri centri…”
Facile, appunto, semplice da dire ma quante fatiche dietro “lo sviluppo”.
Dalle cose più complesse a scendere fino alle cose che, a noi, appaiono semplici. Metter su casa, ad esempio!
Oggi l'impresa appare tecnicamente piuttosto semplice, chiaramente organizzabile, con materiali reperibili, ma non è stato sempre così. In queste righe non si vogliono affrontare i problemi di “sistema” ma, piuttosto, riflettere su una delle tante difficoltà che i nostri nonni dovettero affrontare per “tirar su un muro”.
Dal punto di vista puramente teorico per realizzare una muratura sono sufficienti due materiali:
laterizi o conci di pietra o bocce di fiume e un legante per trattenere i singoli pezzi.

Si sa che, almeno dalle nostre parti, pietre, ciottoloni e, nella parte meridionale della provincia, laterizi come materiale di base sono reperibili abbastanza facilmente, ma i problemi cominciano già a porsi nel momento in cui si cerca di giungere ad un buon prodotto complessivo, quando ci si rende conto che una muratura deve essere “assemblata” e “protetta”.
“Assemblata” perchè le murature a secco sono troppo approssimative e con scarsissime qualità di sicurezza e di comfort; “protette” perchè, in un ambiente piovoso ed umido, come è il nostro, la parte strutturale deve poter far scorrere via la pioggia battente e impedire le infiltrazioni.

I primi esperimenti
I nostri antenati, dunque, non appena uscirono dalle capanne, si dovettero ingegnare per trovare il sistema per “legare” le loro costruzioni.
Dagli e ridagli finché non introdussero la “calcina”, avendo scoperto, in “combutta” con altri popoli, che taluni sassi cotti alla fiamma subivano un processo tale per cui era possibile “modificarli” in pietre porose; queste, a loro volta, potevano essere trasformate in polvere. Questa polvere, che rivelava alcune strane caratteristiche, poteva poi servire per costruire, per proteggere, per finire e anche per “disinfettare” le costruzioni.

Le fornaci di IspraLa situazione a fine '800
Gilberto Quarneti ne “i quaderni di Giacomo Querini da Venezia, 1889”, tratteggia così la situazione:“dei leganti: overo delle calcine e dei cementi naturali.Per leganti si intendono quelle materie che servono a tenere unite e aderenti i materiali come le pietre ed i laterizj. I materiali leganti, che io ho comunemente usato, sono le calcine grasse e le calci idrauliche o, come quest'ultime si suol chiamarle, cementi idraulici naturali ….
Questi leganti se impastati con l'acqua servono a preparare le malte che, quando asciugano, induriscono ed aderiscono tenacemente formando tutt'uno con le pietre ed i mattoni sulle quali sono deposte.
Queste col tempo diventano viepiù tenaci e talvolta la loro resistenza eguaglia la durezza delle pietre e dei mattoni con esse legati.
…Per far la calce si prendono dei calcari dai fiumi, dai monti o dalle cave e si mettono a cuocere nei forni da calcina, benché io abbia veduto cuocere queste pietre anche negli stessi forni in cui si cuociono i mattoni.
Dopo circa 20 ore di buona fiamma di legna o altro, le pietre hanno perduto tutta l'acqua… e si tramutano dopo la cottura, in ossido di calce, ovvero quelle zolle bianche e fragili che Mastro Antonio ci vende e che noi tutti chiamiamo calce viva.
…la sopradetta calce viva si ottiene a temperature di circa 900 gradi…
Di forni da calcina propriamente detti, ne ho veduti di due tipi. Uno, molto antico, è costruito siccome una torre cava nella quale vengono posti alternativamente strati di legna o carbone, alla base della quale viene attizzato il fuoco, che si propaga lungo l'intiera torre, per la cottura dei sassi…
V'è un altro forno da calcina dove il fuoco viene alimentato da un vano separato dalla cavità della torre ove si trova ammassato il calcare. Tra il prefurnio e la cavità, vi passa la fiamma viva che avvolge le pietre, le quali, dopo il tempo di cottura, vengono fatte uscire da un portello retrostante. Questo forno dicesi 'continuo' e cuoce ottime calcine…”

La tipologia dei forni
Dunque: i forni erano, sostanzialmente, di due tipi:

  • uno in cui la sostanza da assoggettare al riscaldamento era mescolata con il combustibile o circondata dallo stesso;
  • l'altro con camera di combustione da cui la fiamma passava in una camera successiva, contenente le pietre da surriscaldare.
Talvolta le due camere erano situate verticalmente l'una sopra l'altra e talvolta erano disposte orizzontalmente.
Il combustibile, normalmente, era la legna la quale produce una fiamma lunga, capace di raggiungere la seconda camera.
Le temperature che si potevano raggiungere dipendevano dal combustibile usato e dal “tiraggio”.
Il tiraggio, poi, non era ottenuto per mezzo di “camini”, ma con un'opportuna sistemazione della fornace, così da permettere l'entrata delle correnti d'aria nel foro di tiraggio, oppure con mantici o, infine, aumentando l'altezza della fornace stessa.

Il funzionamento degli impianti
Il funzionamento degli impianti poteva essere “discontinuo” o “continuo”.
Non occorrono grandi spiegazioni per illustrare i due tipi e la scelta, come si può ben intuire, dipendeva dall'importanza economica dell'attività.
Fintanto che le fornaci calcinaie dovettero sopperire alle necessità delle popolazioni dell'immediato intorno, le attività di confezionamento poterono essere concentrate in alcuni periodi dell'anno, ma quando la “fabbrica” venne ad acquistare una rilevanza economica si dovettero impiegare tecnologie diverse.
Nei forni discontinui la cottura durava anche una settimana ma, evidentemente, la durata del ciclo era in stretta connessione con le dimensioni e con la tipologia della fornace. Nei forni discontinui, al termine della cottura, la sommità della fornace veniva sigillata con terra, lasciando raffreddare la massa per altri sette giorni. Nei forni continui, al contrario, lo svuotamento avveniva da apposite aperture situate nella parte bassa ed era agevolato dal movimento di apposite griglie mobili. In ogni caso, estratti i sassi, questi venivano solitamente raccolti in sacchi ed avviati al commercio su carri.

La situazione provinciale
Nella nostra provincia la lunga storia delle fornaci inizia, ufficialmente, in epoca romana e nel Varesotto si hanno notizie di quelle certamente localizzate ad Arcisate, a Cairate ed a Sumirago.
Durante i secoli successivi, le notizie sono sparse e frammentarie e, salvo qualche “ditta” di rinomata fama (si vedano le fornaci di Ispra che durante il XIV secolo furono addirittura fornitrici della “Veneranda Fabbrica del Duomo”), si deve presumere che l'attività fosse svolta a livello di sopravvivenza e, probabilmente,
come occupazione secondaria, anche se di interesse collettivo, alla quale, come sicuramente successe
in altre parti d'Italia, partecipava tutta la popolazione
del luogo.

Nella foto: la calcinaia di Arcisate

La tipologia costruttiva
Dal punto di vista puramente tecnologico e tipologico una fornace era costituita da una grossa torre tronco-conica, avente un'altezza tra i sei ed i dieci metri. Nei pressi della canna erano realizzate tettoie e ripari per il legname necessario e per lo stoccaggio del prodotto finito. La localizzazione era negli immediati ridossi dei luoghi di escavazione della pietra calcarea e in posizione “dominata” dalla cava, al fine di facilitare il caricamento delle pietre.
Con i rilevamenti del Catasto del Regno Lombardo-Veneto si trovano elementi documentari piuttosto abbondanti e le località di Arcisate, Cantello, Caravate, Besano, Brezzo di Bedero, Cadegliano Viconago, Carnago, Cassano Magnago, Cittiglio, Cugliate Fabiasco, Cavona, Ispra, Jerago, Lavena Ponte Tresa, Luino, Mercallo, Montegrino, Caldé, Portovaltravaglia, Samarate, Uboldo, Varano Borghi, Varese, Viggiù sono indicate tra quelle che dispongono di “fornaci”. Con una piccola, ma non secondaria, avvertenza: con il medesimo sostantivo si censivano sia le fornaci da calce che quelle per laterizi. Sovviene alla necessaria “divisione” la localizzazione geografica dei siti, in quanto basti sapere che i massi o i sassi destinati alla cottura venivano reperiti nelle immediate vicinanze della fornace e, nei nostri dintorni, in apposite cave a cielo libero scavate nelle colline calcaree.

L'aspetto finale delle calcinaie
Le nostre calcinaie rimaste sono tutte caratterizzate da manufatti segnati da robuste cerchiature metalliche e da rinforzi verticali, che interessano tutto il paramento della canna da fuoco.
Questa è realizzata con una muratura mista in pietra e laterizio di grande spessore ed una “camicia” interna di protezione in laterizi refrattari.
Poiché le fornaci rimaste sono, sostanzialmente, quelle più “moderne” che sono state mantenute in funzione anche nel nostro secolo, esse sono tutte del tipo a caricamento superiore ed a scarico inferiore.


Le operazioni di caricamento
Le operazioni di caricamento avvenivano per mezzo di carrelli portati a ridosso facendoli correre su una passerella posta in sommità; essa collegava il fronte di cava (o il piazzaletto della stessa) con le zone superiori dell'impianto. In caso di notevole distanza, la passerella veniva poggiata su pile in muratura, anch'esse realizzate in pietrame e laterizio (chiaramente materiale ricavato dalle lavorazioni dell'impresa).

Le particolarità delle calcinaie varesotte
La canna da forno delle nostre calcinaie, contrariamente a quanto riscontrabile sia in letteratura che negli esemplari rimasti in altre parti d'Italia,
è dotata di una copertura in laterizio, chiaramente derivata dai modelli tipologici dell'edilizia rurale.
Il sistema di copertura poggia su 6/8 pilastrini, sempre realizzati con muratura mista.
Essi si staccano il “coperchio” dalla bocca al fine di agevolare l'uscita dei fumi e per garantire il corretto tiraggio anche in periodo di pioggia battente. Eccezione di rilievo è la calcinaia di Arcisate: essa presenta un bel coronamento tronco-conico dal quale fuoriesce il camino.
Come detto parlando delle “fornaci tipo”, anche quelle varesine hanno al piede delle torri uno o più edifici destinati sia all'attività vera e propria che ad abitazione del gestore o del personale addetto; la tipologia è semplicissima e così pure la tecnologia usata per la loro costruzione, che è derivata anch'essa dai modelli dell'architettura agricola locale.

Infine, da noi non è raro il caso in cui, dismessa l'attività legata al settore edilizio, gli edifici siano stati trasformati in edifici produttivi ove, per qualche tempo, la torre è rimasta inoperosa, per sparire definitivamente durante i vari lavori di ammodernamento delle strutture. Anche qui, dunque, pezzi di storia se ne sono andati per lasciar posto ad altre attività e ad altri interventi. Nel cambio, siamo proprio sicuri di non averci rimesso?

01/18/2001

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