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Aspettando le riforme

Nemmeno l'estate ha lasciato tranquilli gli italiani: sotto l'ombrellone le preoccupazioni per l'andamento economico hanno avuto la meglio sui pensieri positivi. Ma che autunno ci attende? E, soprattutto, quali saranno le scelte del Governo e le reazioni dei sindacati nella nuova stagione? Di sicuro, una certezza, è condivisa dal mondo produttivo: l'urgenza di riforme che tolgano un freno alla ripresa.

La ripresa autunnale ha reso evidente l'emergenza attraversata dall'economia e, di fronte all'impossibilità di rinviare ulteriormente le decisioni, il Governo ha varato una serie di misure che rischiano di "scaricare" sul mondo produttivo larga parte degli effetti negativi: la riduzione per Dit e Superdit, la svalutazione delle partecipazioni e anche le incertezze sul bonus per le assunzioni potrebbero frenare la ripresa che si allontana di mese in mese. La decisione del Governo ha scatenato le reazioni delle imprese che hanno subito parlato di "stangata": e, da più parti, si è sottolineato che sia oramai finita la luna di miele tra l'Esecutivo e Confindustria. Ma piuttosto che di strappo, gli industriali lamentano l'inefficacia di misure che creano soltanto sfiducia e scoraggiano gli investimenti stranieri in Italia.
D'altra parte le prime avvisaglie sulle difficoltà sono arrivate in pieno agosto, un periodo per tradizione più propenso ai dibattiti sotto l'ombrellone che alle certezze dei numeri. Allora l'Istat ha confermato il rallentamento dell'economia (con la crescita del Pil ferma allo 0,2% nel secondo trimestre) e messo una seria ipoteca su una possibile accelerazione nella seconda parte dell'anno. I risultati hanno imposto un'immediata revisione delle stime di crescita da parte di tutti i principali istituti di ricerca e anche il Governo è stato costretto a "limare" pronostici oramai troppo ottimistici e quindi invecchiati: il 2002 si chiuderà con un aumento del Pil non superiore all'1%, anzi - secondo il Centro studi Confindustria - l'incremento si fermerà allo 0,6%. E' all'interno di questo scenario - a dimostrazione che l'economia oramai è davvero globale ed è impossibile sottrarsi ad eventuali shock anche locali - che si dovranno affrontare problemi ed emergenze negli ultimi mesi dell'anno. L'Italia è in buona compagnia e tutti i big (europei e americani) devono fare i conti con un'economia che avanza più lentamente del previsto anche a causa di una congiuntura internazionale sfavorevole a partire dal fatidico 11 settembre 2001. Ma come hanno confermato i Governatori del G-10 nella riunione di Basilea del 9 settembre scorso non c'è pericolo di recessione, la ripresa sarà semplicemente più graduale e slitterà al 2003. L'Italia, però, non può consolarsi con il classico "mal comune mezzo gaudio" perché rispetto agli altri Paesi è come se corresse con un pesante zaino sulle spalle, un fardello costituito dall'elevato deficit pubblico. D'altra parte il dibattito su un possibile allentamento dei vincoli imposti dal Patto di stabilità è in pieno svolgimento anche se autorevoli membri della Commissione, come Mario Monti, sono usciti allo scoperto auspicando l'esclusione degli investimenti pubblici dai limiti imposti dalla Ue. La partita con Bruxelles è ancora tutta aperta ma, pure nel caso di uno "sfondamento", non ci si può illudere che le soluzioni siano a portata di mano.
Di fronte a una situazione generale di grande incertezza il Governo - come ha esortato il presidente della Confindustria, Antonio D'Amato - ha la responsabilità di reagire subito senza rinviare le decisioni coniugando rigore e riforme per rilanciare gli investimenti soprattutto nel Mezzogiorno. Ancora una volta la sfida dell'autunno, che coinvolge parti sociali ed Esecutivo, è rappresentata dalle riforme strutturali per costruire lo sviluppo del Paese. Lo ha ricordato di recente anche il Fondo Monetario Internazionale che nel World economic outlook ha rilanciato la necessità, per i Paesi di Eurolandia, di accelerare le riforme delle pensioni e del sistema sanitario. Riforme che - suggerisce il FMI - "devono essere sostenute dal consolidamento fiscale di medio periodo specialmente in Giappone, in alcuni Paesi europei e, in parte minore, negli Stati Uniti". Dal Fondo arriva il riconoscimento che alcuni passi avanti sono stati fatti, ma gli sforzi devono essere intensificati per promuovere la crescita dell'occupazione e il potenziale produttivo che aiuterebbe ad affrontare i problemi legati all'invecchiamento della popolazione. E se i capitoli della sanità e delle pensioni in particolare rappresentano ancora quasi un tabù, anche per le molte resistenze sindacali al cambiamento, il banco di prova dell'autunno è l'attuazione in tempi rapidi del Patto per l'Italia sottoscritto all'inizio di luglio da tutte le parti sociali ad esclusione della Cgil. Adesso comincia il percorso parlamentare per rendere pienamente operativi i provvedimenti che dovranno cambiare il mercato del lavoro, ridurre le tasse per i più deboli, avviare un piano di infrastrutture al Sud.
Togliere il freno alla ripresa: è questo che le forze produttive si attendono per i prossimi mesi. Ma lo scenario si presenta carico di incognite e non solo per le incertezze dell'economia globale. Ad appesantire un clima sociale che rischia di deteriorarsi certamente non giova l'atteggiamento della Cgil che da diverso tempo ha deciso di "mettersi di traverso" per una presa di posizione politica piuttosto che per ragioni sindacali. La confederazione fino a pochi giorni fa guidata da Sergio Cofferati e oggi nelle mani di Guglielmo Epifani, ha proclamato uno sciopero generale contro il Patto per l'Italia. Non solo: ha alzato il tiro anche sui rinnovi contrattuali, a cominciare da quello dei metalmeccanici, pretendendo incrementi salariali superiori al tasso di inflazione programmato per il 2003 (pari all'1,4%) e una ridistribuzione a livello nazionale della produttività di settore. Un'alterazione di quell'accordo del luglio '93 che proprio la Cgil vuole continuare a difendere in maniera strenua a dispetto di tutte le ipotesi di aggiornamento. Da anni siamo abituati a proclami estivi che minacciano l'autunno caldo, tanto rumore per nulla che poi si traduce in una fisiologica conflittualità tra le parti. Quest'anno forse - anche per le rivalità e le divisioni sindacali e il clima politico di accesa contrapposizione - c'è qualche preoccupazione in più.
Accendere la miccia del conflitto sarebbe disastroso per un Paese che non può permettersi il lusso di perdere il primo treno della ripresa.

09/25/2002

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