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Tessile, la febbre gialla

La fine dell'accordo Multifibre apre le porte alla penetrazione dei prodotti tessili cinesi nel mercato europeo. L'Italia, in particolare, dove i distretti tessili danno lavoro a 552mila addetti, teme una vera e propria invasione dall'Oriente. Il punto sui rimedi praticabili.


Fermare il gigante dagli occhi a mandorla e salvare il tessile abbigliamento italiano con una petizione, un'etichetta o con regole di trasparenza? Ogni strada vale la pena di essere tentata, dal momento che in ballo ci sono 51 mila posti di lavoro già persi in due anni e che a mobilitarsi vi è oramai un fronte compatto. Idee e proposte non mancano, soprattutto ora che la fine dell'accordo Multifibre ha tolto ogni ostacolo all'ingresso in Europa del made in China, facendo temere un ulteriore peggioramento per il settore.
Le cifre in gioco? In Italia il settore conta 552mila addetti e rappresenta il 12 - 13% del comparto manifatturiero: rispetto all'Europa a 15 quello italiano pesa per un terzo di tutto il tessile abbigliamento e, se invece si guarda all'Europa a 25, il peso è di un quarto. Allargando lo sguardo a tutta l'Europa si deve parlare di 170mila imprese e di 2,5milioni di addetti. Nella sola Lombardia si concentra un terzo del tessile italiano e in provincia di Varese l'incidenza del tessile, con i suoi oltre 25.000 addetti, è pari al 22% sul totale del manifatturiero contro una media nazionale del 12-13%.
Non solo, le esportazioni del tessile abbigliamento della provincia di Varese nel 2003 sono state poco meno di 900milioni di euro, pari al 3,4% realizzato a livello nazionale dal comparto tessile ed al 13% di tutto l'export targato Varese.
Se poi si considerano i cosiddetti "distretti tessili"come quelli di Prato, Vicenza, Como e Biella, quello dell'Asse del Sempione, a cavallo tra le province di Varese e di Milano, con i suoi 2mila e 700 milioni di euro di fatturato, frutto per il 40% delle esportazioni, si colloca al terzo posto in Italia per numero di imprese e al secondo per numero di occupati.
Di fronte a queste cifre non ci si deve far prendere dall'entusiasmo. In questo copione, fatto da nomi noti e dalle tantissime imprese che fanno loro da gregari, la scena ha cominciato a cambiare nel 2002: allora, infatti, ha cominciato a farsi avanti il concorrente numero uno, la Cina, resa inarrestabile da una moneta sempre più debole e da una crescita economica senza freni. La macchina cinese macina terreno, forte di sistemi di protezione sociale e ambientale sottosviluppati: la competizione del made in China è fatta contando su costi di produzione resi irrisori dallo sfruttamento della manodopera e dalla mancanza di costi a favore della tutela ambientale. In questo scenario ci si è messo anche un dollaro sempre più debole, in balia di una politica monetaria fatta apposta per spingere i prodotti interni. A ciò va aggiunta la piaga della contraffazione, un giro d'affari che si origina nei Paesi emergenti per invadere il mercato europeo, in difficoltà nel controllare l'ingresso di queste merci.
Con il primo gennaio di quest'anno sono cadute le limitazioni all'importazione di prodotti del tessile abbigliamento cinese. Il timore è quello di veder invadere il mercato da beni a basso costo in grado di sbaragliare la concorrenza come accaduto nel 2002 con la liberalizzazione di alcuni articoli. Un esempio? Per le giacche a vento il prezzo si è ridotto in questi anni del 63% mentre la quota di mercato in mano ai cinesi si è quasi quadruplicata.
Questo meccanismo di conquista ha messo in ginocchio il settore tanto che la Filtea-Cgil ha stimato che un posto di lavoro su dieci è a rischio. Nella sola Lombardia, nel 2004 sono state 700 le imprese che hanno chiesto l'utilizzo di ammortizzatori sociali, 2mila i posti di lavoro persi.
Di fronte a tutto ciò la mobilitazione è già cominciata e l'interlocutore numero uno è l'Unione Europea, alla quale appartiene la prerogativa della politica commerciale. Ma non è facile far sentire la voce del tessile a Bruxelles, dove si scontrano gli interessi dei Paesi del nord Europa - dediti di più al trading che alla produzione e quindi interessati all'acquisto a buon mercato sui mercati asiatici - e quelli dell'Europa meridionale, dove forte è la tradizione manifatturiera.
Alle istituzioni europee si sono rivolte con una petizione le parti sociali della filiera del tessile abbigliamento moda tramite le rispettive rappresentanze imprenditoriali e sindacali sia a livello europeo, sia a livello nazionale. Uno degli obiettivi della petizione è quello di sensibilizzare i Governi nazionali a cooperare con la Commissione al fine di monitorare in tempo reale le importazioni extra comunitarie. E su questo punto il lavoro è già cominciato proprio il primo di gennaio: è possibile avere i dati aggiornati del monitoraggio in tempo reale sul sito SIGL.
Gli operatori chiedono inoltre la possibilità di applicare clausole di salvaguardia in caso di distorsione della concorrenza, come è previsto dalle regole stesse dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), alla quale aderisce ormai anche la Cina. Ma l'obiettivo della petizione è anche quello di far adottare in tutti i Paesi, e quindi anche in Cina, i principali standard di tutela del lavoro e dei lavoratori, nonché di assicurare un maggior controllo e una maggiore trasparenze riguardo l'origine dei prodotti. Una proposta questa che non deve assolutamente stupire: basti pensare che in una quarantina di paesi extra europei l'indicazione in etichetta dell'origine del prodotto tessile abbigliamento è addirittura un requisito obbligatorio e tra questi si citano ad esempio gli Stati Uniti, il Canada, La Cina stessa e il Giappone.
E proprio alla trasparenza sull'origine dei prodotti punta la Camera di Commercio di Varese, che ha finanziato una ricerca dal titolo "Globalizzazione sostenibile. Tracciabilità per un settore tessile e abbigliamento trasparente", svolta con il sostegno dell'Associazione Tessile Italiana e del Sistema Moda Italia. Gli obiettivi sono stati condivisi da altre dieci Camere di Commercio provinciali e da due Unioncamere regionali. L'idea è quella di prevedere un sistema di etichettatura per eliminare le distorsioni che si creano nel mercato a causa della scarsa o errata informazione che giunge ai consumatori, spesso ignari delle differenze di qualità reale del prodotto e della "eticità" della sua lavorazione. L'etichettatura sarebbe un sistema di tracciabilità, in grado di dare informazioni circa la provenienza del capo confezionato, del tessuto e del filato.
Dopo una fase di scetticismo da parte dell'Unione Europea in materia, sembra che ora si stia facendo strada questa ipotesi: per stessa ammissione del commissario europeo per il Commercio, Peter Mandelson, la Ue deve adottare regole più severe sull'etichettatura per poter riconoscere i prodotti europei di qualità. Qualità e creatività sono, infatti, le prerogative proprie delle produzioni nostrane, di un made in Italy che ha in essere un valore aggiunto innegabile per sottrarsi alla concorrenza delle fasce meno sofisticate del mercato.
Dal canto loro le associazioni artigiane e industriali lombarde hanno chiesto alla Regione Lombardia l'istituzione di un Tavolo Tessile regionale, richiesta che nel Varesotto ha avuto il piano appoggio del Tavolo di Concertazione. Ciò ha portato alla firma di una intesa per la valorizzazione e la promozione del sistema moda in Lombardia e una delle prime misure adottate è stata quella dei contributi per la realizzazione dei campionari, considerati come declinazione dell'innovazione continua in questo settore produttivo. Altre risorse sono state stanziate per agevolare l'accesso al credito delle piccole e medie imprese tessili, con garanzia dei consorzi-fidi.
Il gruppo bancario BPU, aderendo all'intervento della Regione Lombardia, ha istituito una specifica linea di credito per finanziamenti di importo massimo pari a 250mila euro rimborsabili in 60 mesi.
A mettere il tessile sotto i riflettori ci hanno pensato poi, un paio di mesi fa, Camera di Commercio e Provincia di Varese organizzando a Malpensafiere il Salone del tessile, una kermesse di settore pensata come vetrina, ma anche come occasione per riflettere sulla situazione del settore. L'idea è stata premiata dal risultato che ha visto il settore tessile italiano unito nel chiedere risposte concrete.

02/25/2005

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