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Anche l'ACRI accusa: negata alle Fondazioni la libertà necessaria

Dovrebbero godere di una piena autonomia gestionale. E invece la politica persiste nel sopraffarle.

L'affermazione è forte, quasi un atto d'accusa: “Basta pensare alle vicende della legge del 1999 per comprendere come troppi fossero gli interessi, i poteri, i preconcetti in gioco perché Parlamento e Governo dessero alle Fondazioni quelle responsabilità (e quella libertà) che sono necessarie per garantire a esse piena soggettività di ruolo”.
Parole che fanno da prefazione al “Quinto Rapporto sulle Fondazioni Bancarie” e che ognuno può tranquillamente leggere cliccando con il mouse del proprio computer sul sito Internet dell'ACRI, l'Associazione delle Casse di Risparmio Italiane. Il mondo della politica, insomma, non comprende e non accetta l'autonomia delle Fondazioni Bancarie.
E addirittura all'interno delle 88 Fondazioni di origine bancaria attualmente presenti in Italia c'è la consapevolezza di un proprio ruolo che è costantemente limitato da un potere politico pervasivo. Un potere che ha compreso come questi enti siano delle vere e proprie “galline dalle uova d'oro” e che fa di tutto, ogni giorno in misura maggiore, per non privarsi della possibilità di incidere pesantemente sulla loro gestione. C'è di più. La stessa prefazione già citata segnala come sia probabile che “…anche la vicenda dei nuovi statuti sarà condizionata dalle prudenze e dalle ipoteche pubbliche che aleggiano da anni sulle Fondazioni”. Eppure, il decreto legislativo 153/1999 che ha fatto seguito alla Legge Ciampi sembrava - almeno nelle intenzioni dichiarate - voler garantire autonomia a degli enti la cui attività, al contrario, appare ancora figlia di una cultura politica deviata rispetto a quella di un corretto approccio al mercato.
Ecco, infatti, che cosa dice l'articolo 1 di quel decreto: “Le Fondazioni sono persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale. Perseguono esclusivamente scopi d'utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti”.
L'articolo 2, poi, precisa che “Lo statuto individua i settori ai quali ciascuna Fondazione indirizza la propria attività…” venendo, quindi, completato dall'articolo 4 che evidenzia la necessità di “… assicurare la trasparenza dell'attività, la motivazione delle scelte… nonché la migliore utilizzazione delle risorse e l'efficacia degli interventi”.
C'è quindi chi prospetta un' urgente riforma delle Fondazioni Bancarie per sancire in maniera definitiva l'abbandono di qualsiasi loro coinvolgimento nella gestione degli istituti di credito. Al momento del varo della riforma del sistema bancario, nel 1990, Giuliano Amato aveva definito il mondo del credito italiano come una “foresta pietrificata”. Il Commissario europeo Mario Monti, a distanza di dieci anni, ha fatto propria l'espressione in una lettera al governo italiano. Con la differenza che Monti la usa per descrivere il mondo del credito dieci anni dopo l'avvio della riforma. E non manca chi, come il parlamentare del Polo Giulio Tremonti, sottolineando il carattere ibrido e ambiguo delle Fondazioni Bancarie, sostiene che la legge che le disciplina è da azzerare.
Una riforma più efficace sembra indispensabile.

Ma gli zoccoli duri pesano...

01/18/2001

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