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Le placide acque dell’Arno

Un invaso a nord di Gallarate per evitare che le piene del torrente Arno mandino di nuovo sott’acqua la Città.

Il centro di Gallarate durante l'inondazione del dicembre 1910 - Archivio GiovaraLa si intravede con la coda dell’occhio, appena superato il casello dell’autostrada all’altezza di Gallarate. Una muraglia che corre regolare lungo il guard-rail, non più alta di sette metri, leggermente scoscesa, quasi a volersi confondere con il paesaggio, solo in quel punto libero da capannoni e costruzioni. È il bordo occidentale della diga del torrente Arno. Tecnicamente si dovrebbe chiamare vasca di laminazione e serve a tenere a bada il corso d’acqua, che in passato ha fatto non pochi disastri.
L’Arno, che scorre per una lunghezza di 28 chilometri, parte Gazzada e attraversa per il primo tratto un territorio pressoché collinare. Arriva alle porte di Gallarate dopo averne percorsi circa 16. L’ultimo tratto di 12 chilometri, che lo porterà verso “l’epilogo” di Castano Primo, la cosiddetta “spagliatura”, lo percorre in pianura, dove la larghezza del suo alveo raggiunge anche i dieci metri. Lungo questo cammino riceve le acque di alcuni affluenti, tra cui il fosso Tenore e la roggia Sorgiorile, mentre il 70 per cento della portata del torrente deriva dalle precipitazioni convogliate attraverso le condotte fognarie. Quella semplice e anonima muraglia delimita un’area vasta circa 45 ettari a monte della città di Gallarate e a cavallo con il territorio di Cassano Magnago. Un primo grande argine che a sua volta ne contiene un altro, che genera un bacino interno, il cui fondo è stato abbassato in media di circa due metri. La diga, il cui volume è di un milione e centomila metri cubi, ha una portata massima in entrata di 88 metri cubi al secondo e di 25 in uscita, con una riduzione del colmo di piena pari al 71 per cento.
Una volta superato a piedi quel primo dislivello, si vede nitidamente la forma del bacino che deve raccogliere nei momenti di piena le acque dell’Arno: una “elle” rovesciata, lunga 750 metri e larga quasi 700 (400 nel punto più stretto), al cui interno si nasconde una vitalità inaspettata. Le placide acque dell’Arno - tali in assenza di pioggia - si perdono nella piana e diventano un piccolo elemento del paesaggio, dove spiccano solo i tralicci dell’alta tensione rialzati come goffi trampolieri su basamenti di cemento e i solidi marchingegni di metallo nero che azionano le chiuse, baluardo contro l’irruenza delle acque. Il limite orientale del bacino è delimitato da un folto pioppeto, tra le cui fronde si intravedono due fattorie che continuano a coltivare i campi nella parte più esterna. Il paesaggio si trasforma così in un frammento della Bassa padana impiantato nel cuore del Varesotto industrializzato.
La diga è un’area “liberata” dalla potenziale urbanizzazione e a disposizione della gente, che subito ne ha dimenticato la destinazione originaria per adattarla alla propria fantasia e ai propri bisogni. Lì la domenica arrivano cacciatori che allenano i propri cani al richiamo, ciclisti che in mountain bike attaccano il dislivello che si snoda lungo un percorso impegnativo quanto basta per soddisfare gli atleti più esigenti, maratoneti e anche semplici passeggiatori, tanto che qualcuno ha pensato bene di attrezzare un’area per il pic-nic. Questa insolita destinazione, decretata dalla gente, non deve stupire più di tanto perché tra i principali criteri utilizzati dai progettisti dell’opera c’era la ricerca di una soluzione ingegneristica che non snaturasse il luogo e che consentisse il mantenimento di alcune attività già presenti nell’area, come l’agricoltura estensiva e la pioppicoltura; la massima flessibilità; la minimizzazione dell’impatto sul paesaggio e sulle principali componenti ambientali, tanto che è stato considerato essenziale il fatto che l’area si trovava all’interno del Parco del Ticino. Infatti gli indirizzi pianificatori del parco sono diventati elementi di riferimento nella scelta di alcuni interventi, come, ad esempio, la previsione di corridoi ecologici in corrispondenza di quelle porzioni di territorio a ridosso del torrente e dei suoi affluenti.
La diga di Gallarate è per il momento l’unica presente sul territorio. Un progetto molto simile, sia per funzionamento che per dimensioni, è tuttavia quello della vasca di laminazione sul fiume Olona, all’altezza dei Mulini di Gurone, una frazione di Malnate. Il progetto, curato e seguito dalla Provincia di Varese, sembra essere giunto alla sua fase conclusiva, dopo circa vent’anni di discussioni, ritardi e polemiche. Il via libera è arrivato da Villa Recalcati dieci mesi fa. Ai Mulini sarà costruita una “traversa fluviale” che, tagliando la valle nel tratto più stretto, intercetterà le acque in eccesso che l’Olona tenta di trascinare a valle, con gli effetti disastrosi che si verificano durante le “grandi piogge”. Il fiume in piena si trasformerà così in un lago gestibile e controllabile. Il primo lotto dei lavori, che comprendono la diaframmatura di sostegno della tangenziale di Varese e i primi scavi di sbancamento, per un totale di 2 milioni di euro, è stato assegnato alla ditta appaltante il 6 settembre scorso. Lavori che, tempo permettendo, dovrebbero concludersi entro il prossimo febbraio.

02/25/2005

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