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L'avaro muore due volte

L'avaro è un uomo sacrificato: conduce tutta l'esistenza ad accumulare beni e denaro ma, senza impiegarli per creare nuovi valori, finisce per morire due volte.

Ha ragione Umberto Galimberti - uno dei nostri filosofi più raffinati - quando afferma che "...il desiderio dell'avaro non va mai al di là del denaro, perché agli occhi dell'avaro il denaro non è un mezzo per qualcos'altro, ma un fine in se', anzi la forma pura del potere che il denaro possiede alla sola condizione di non essere speso".
Insomma, per l'avaro vale l'equazione ho=sono: il valore della mia persona dipende in modo strutturale dal denaro che possiedo.
Ma, attenzione! Questo denaro non è fatto per essere speso, bensì per essere conservato. E qui sta il paradosso: infatti, se spendo il denaro - così ragiona l'avaro - viene meno anche il mio potere, non posso più crogiolarmi nella certezza che il denaro che ho accumulato mi possa servire in qualsiasi momento del futuro.
In pratica, tramite il denaro, l'avaro crede di poter controllare il futuro, quasi come un "secondo Dio".
(Tramite il denaro, fine a se stesso l'avaro, una sorta di Dio minore, crede di poter controllare il futuro).
Così facendo, però, sacrifica tutta la sua esistenza in una sorta di immobilismo perenne: nessun divertimento, nessun interesse culturale, nessun investimento affettivo, niente di niente.
Resta solo un'ingente quantità di denaro inutilizzato per esorcizzare l'imprevedibilità del futuro: il denaro che possiedo, senza spendere una lira, costituisce la mia assicurazione sulla vita!
Ecco perché l'avaro muore due volte o, se si preferisce, rinuncia a quell'unica vita che gli è concessa dagli dei.
L'avaro, rinunciando alle innumerevoli possibilità dell'esistenza, vive nella continua angoscia che il denaro da lui accumulato possa essere intaccato, sottraendogli, così, la sua falsa convinzione di potere controllare il futuro e, forse, anche la morte.
(Vivere solo in funzione dell'accumulo di denaro significa morire o, se si preferisce, rinunciare del tutto alla vita). Un concetto, questo, che Leonardo da Vinci ha colto in modo veramente esemplare: "Il rospo si pasce di terra, e sempre sta macro perché non si sazia; tanto è l'timore, che essa terra non li manchi". Non si poteva definire l'avaro in modo più arguto e incisivo, "fulminandolo" in tutta la sua carica negativa! La vera ricchezza consiste, invece, sempre secondo Leonardo, nella virtù, un bene che non si può perdere: "Non si dimanda la ricchezza quella che si può perdere. La virtù è vero nostro bene ed è vero premio del suo possessore. Lei non si può perdere, lei non ci abbandona, se prima la vita non ci lascia. Le robe e le esterne devizie sempre le tieni con timore, ispesso lasciano con iscorno e sbeffato il loro possessore, perdendo lor possessione". Il denaro, come potenza inespressa perché gelosamente custodito dall'avaro, finisce per possederci al punto tale che perdiamo noi stessi; la virtù, invece, finisce per identificarsi con la nostra persona, per caratterizzare tutta la nostra esistenza, anche dopo la morte: per chi crede nella trascendenza, come patrimonio da portare nell'aldilà, per chi non crede, come esemplare memoria di noi stessi per i vivi.
(Leonardo da Vinci contrappone, con grande arguzia, la virtù, vero nostro bene, e l'avarizia)
C'è, poi, un'altra forma di avarizia, forse ancor più inautentica sul piano umano: l'avarizia dei sentimenti.
Anche qui l'avaro, rinunciando a donarsi, pensa di potersi salvaguardare da possibili investimenti sbagliati: amo un'altra persona con il rischio che mi tradisca, instauro una profonda amicizia con chi finisce solo per approfittarsi di me…
Così ragiona l'avaro, ma il rischio inevitabile è la condanna alla solitudine, all'aridità esistenziale.
Certamente è faticoso mettersi in gioco ogni giorno nel rapporto amoroso, ascoltare i problemi dei figli o degli amici, essere cortesi e attenti anche verso gli sconosciuti, ma rinunciarvi significa sottrarsi al "mestiere di vivere". (L'avarizia dei sentimenti è, forse, la forma più autentica di questo vizio devastante).

05/09/2002

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