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Il muralismo di Giuseppe Montanari

Nei dipinti della Camera di Commercio le virtù della civiltà italica e i motivi del lavoro e delle attività varesine.

Per comprendere a fondo i dipinti che Giuseppe Montanari realizzò sulle pareti dei saloni dell'attuale Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Varese (un tempo sede del Consiglio Provinciale dell'Economia Corporativa di Varese) e della Casa del Mutilato, oggi meglio conosciuta come Cinema Rivoli, è necessario spendere qualche parola sul recupero della tecnica della pittura murale compiuto proprio nei primi decenni del Novecento. Potrebbe suonare strano parlare di "recupero della pittura murale" in un paese come l'Italia che della tecnica dell'affresco è stata l'indubbia maestra, oltre che custode delle migliori "ricette" per ottenere un'ottima lavorazione a fresco. Eppure, se questo è vero per molti secoli della storia dell'arte, bisogna anche ammettere che, specialmente nel corso dell'Ottocento, alla pittura murale venne senza dubbio preferita quella da cavalletto per motivi di cultura e di comodità esecutiva. Dipingere su tela, infatti, consentiva una lavorazione più libera e meno vincolata a problemi relativi all'intonaco che si asciuga velocemente o alle alterazioni che i colori possono subire una volta applicati sulla parete, senza dimenticare che i dipinti eseguiti su cavalletto meglio si prestavano al mercato dell'arte e alle esigenze della cultura borghese.
Ecco che allora la pittura murale venne relegata in un ambito puramente decorativo o all'interno delle chiese.
Fu all'inizio del XX secolo che si ritornò a guardare alla pittura murale con grande interesse, rivalutando quella sua grande capacità non solo di saper comunicare messaggi a un vasto pubblico, ma anche di arricchire da un punto di vista estetico gli edifici architettonici.
E' agli artisti messicani, a partire dagli anni Dieci e Venti del Novecento, che si deve il merito di aver riportato l'attenzione sull'affresco monumentale con funzione educativa, civile, politica e a volte anche spirituale; il bisogno di diffondere la conoscenza e il valore dell'esperienza rivoluzionaria messicana e di riscoprire le proprie radici culturali e autoctone spinse artisti come Siquerios, Orozco e Rivera a contrapporre la pittura murale, di chiara destinazione pubblica, a quella da cavalletto, concepita più come espressione dell'individualismo aristocratico e borghese contro cui la rivoluzione combatteva da anni. Anche se lo stile della pittura di questi artisti può considerarsi un insieme di quanto le tendenze dei movimenti di avanguardia avevano espresso in quegli anni, è indubbia l'influenza e soprattutto la suggestione che l'arte italiana del passato seppe esercitare su questi artisti e in modo particolare su Rivera, che ebbe proprio l'opportunità di studiare da vicino i grandi cicli pittorici dei più significativi maestri dell'affresco dell'arte medioevale e rinascimentale italiana.
Il ritorno alla pittura murale in Italia ebbe invece inizio con la figura di Mario Sironi e in un contesto storico e culturale quasi agli antipodi rispetto a quello messicano; nel 1933, infatti, in pieno regime fascista, l'artista, convinto che l'arte dovesse avere all'interno dello stato una funzione sociale, scrisse il "Manifesto della pittura murale", dove ribadì le potenzialità della pittura murale nell'assolvere il compito di essere "un perfetto strumento di governo spirituale".
Sebbene maturate in ambiti completamente diversi e per quanto più attenta a suggestionare che non al soggetto quella dell'artista italiano, le scelte sia dei muralisti messicani sia di Mario Sironi ebbero comunque in comune il merito di aver rispolverato i vantaggi della pittura di grande dimensione.
Le idee e le opere di Sironi, in particolare l'"Allegoria del Lavoro" alla Triennale di Milano, non tardarono a fungere da stimolo per altri artisti del periodo quali, per esempio, Gino Severini, Carrà, Corrado Cagli, Achille Funi e Aldo Carpi. Ecco che allora, dopo questa lunga premessa, diventa più facile inquadrare la figura di Giuseppe Montanari e soprattutto collocare la sua attività di pittore murale in un contesto di assoluta avanguardia, sebbene in ambito provinciale.
Nel 1938, in seguito all'edificazione della nuova sede dell'attuale Camera di Commercio in piazza Monte Grappa, una commissione presieduta dal Prefetto della città e composta dagli architetti Muzio e Loreti, quest'ultimo progettista della struttura, e dall'ingegnere Flumiani indisse un concorso per la decorazione del Salone delle Adunanze con la successiva commissione a Montanari che portò a termine i lavori nel 1939, come testimoniano la firma e la data in basso a sinistra nel dipinto centrale della sala.
L'intervento di Montanari nel salone riguardò sostanzialmente i due grandi dipinti di cui l'uno, collocato sulla parete d'onore alle spalle del tavolo della Presidenza, raffigura Il Duce (poi cancellato) che guida e protegge la civiltà italica esaltandone il lavoro e le arti, mentre l'altro, sulla parete destra della sala, raffigura la Provincia di Varese, le sue attività e il vivere sociale. Oltre a questi due dipinti, che rappresentano il fulcro della decorazione del salone, Montanari dipinse anche i due spazi uguali sulla parete sinistra, ove si aprono i finestroni con le immagini della Giustizia sociale e dell'Alma Mater.
I soggetti scelti presentano un'iconografia di chiara e facile interpretazione, dimostrando non solo il loro legame con la cultura dell'epoca volta ad esaltare l'operato dello stato, ma anche uno stretto legame con l'effettiva funzionalità della sala. Montanari, insomma, in perfetta sintonia con le finalità del recupero della pittura murale, crea una indiscutibile simbiosi tra architettura e pittura.
In realtà, dopo la caduta del fascismo, probabilmente prima del maggio del 1946, i dipinti, soprattutto quello centrale, subirono alcuni rifacimenti che ne alterarono la loro reale natura, ostacolando la vera lettura dell'insieme; è comunque molto probabile che a intervenire sui dipinti sia stato lo stesso Montanari, anche se mancano documentazioni o delibere precise in merito. In quell'occasione il pittore, oltre a modificare parte dei dipinti, cancellò il riferimento all'anno XVIII dell'Era Fascista e anticipò la data di esecuzione al 1935, come si può leggere in basso a destra sul primo murale.
Tuttavia, grazie al recupero dei bozzetti preparati dall'artista prima di apprestarsi alla lavorazione, è ora possibile ricostruire il loro significato originale.
La lettura del ciclo, perché così si può definire, parte con il dipinto (m 4.50x12) dietro il tavolo della presidenza, in cui è possibile leggere attualmente l'immagine di un cavallo bianco davanti al quale si staglia la figura di un giovane che tiene nella mano destra un ramoscello di ulivo e poggia il piede su un aratro, mentre ai lati del gruppo centrale chiudono la scena alcune figure che alludono allegoricamente al mondo del lavoro e delle arti.
Tra questi si riconoscono il seminatore, il cavapietra, la donna con la lira, quella con il cesto di frutta o quella con il fascio di spighe, mentre, nella parte inferiore, possenti figure femminili richiamano simbolicamente l'arte e la maternità.
Dal bozzetto preparatorio si scopre che, in origine, Montanari aveva collocato sul cavallo bianco la figura del Duce, mentre il giovane al centro era identificabile con Davide che schiaccia con il piede la testa di Golia; inoltre, la figura maschile all'estrema sinistra, al posto della fiaccola, teneva tra le mani i fasci littori.
Il dipinto, quindi, andava letto come un'esaltazione della figura del Duce e del suo governo, rafforzata dall'immagine di Davide, che rappresentava l'orgoglio italiano, vittorioso contro Golia, simbolo delle minacciose potenze straniere. Le allegorie del lavoro e delle arti, collocate lateralmente, null'altro erano se non il frutto di una buona politica autarchica che andava a vantaggio dell'intera popolazione.
Montanari aveva inoltre scelto una serie di allusioni tipiche del clima che si respirava in quel tempo: il Duce, infatti, era raffigurato come una sorta di imperatore a cavallo a conferma del fatto che Mussolini desiderava visivamente fosse chiaro che l'era di prosperità che l'Italia stava vivendo era paragonabile solo al grande impero romano - come tra l'altro si voleva dimostrare anche nel recupero architettonico di elementi legati alle costruzioni passate -, mentre la figura di Davide come simbolo dell'orgoglio italiano alludeva probabilmente al programma di autarchia attuato dal Duce.
Gli interventi di modifica furono apparentemente pochi ma incisivi nel mutare il significato dell'opera, poiché, a parte la cancellazione di qualsiasi simbolo fascista, il ramoscello di ulivo e l'aratro lanciano il messaggio di una nuova pace, dopo la caduta di Mussolini, e il bisogno di una nuova e sana semina dopo l'orrore della guerra.
La lettura prosegue con l'altro dipinto (cm 700x400) che vede al centro una figura femminile, rappresentante la Provincia (costituita nell'Era Fascista, ovvero nel 1927), circondata da figure che reggono i simboli del mondo dell'industria e del commercio come il vaso, un ingranaggio, un telaio, mentre, nella parte superiore, vi sono allusioni alla ricchezza naturalistica della provincia. A destra, in particolare, compaiono alcune immagini simboliche che esaltano la famiglia, il risparmio (il bambino che inserisce la moneta nel salvadanaio) e la giustizia. Particolarmente elegante è la figura femminile che calza un sandalo e che sembrerebbe essere un omaggio di Montanari all'allora padrone del Calzaturificio di Varese, Ermenegildo Trolli, che fu un suo convinto sostenitore.
Anche in questo caso la Provincia ha subito alcuni rimaneggiamenti, poiché in origine teneva in mano i fasci littori sostituiti in seguito da un rotolo della legge e sullo scudo sono stati cancellati i simboli del regime.
Concludono il ciclo i due dipinti minori della Giustizia sociale, che protegge senza distinzioni il datore di lavoro e il lavoratore in una completa collaborazione tra le classi sociali, e dell'Alma Mater, ovvero la Roma Imperiale che difende la patria.
Stilisticamente Montanari rivela, nei dipinti della Camera di Commercio, una perfetta sintonia con la maniera diffusa in quel periodo: la scelta, soprattutto nel dipinto dietro il tavolo della presidenza, di una disposizione dei personaggi in modo simmetrico ed equilibrato, lasciando emergere l'immagine fulcro della scena; la possente e monumentale costruzione anatomica del corpo di quasi tutti i personaggi - alcuni dei quali riecheggiano le tipologie michelangiolesche -, caratteristica del recupero novecentesco dell'arte antica; le vere e proprie citazioni antiche come i putti che giocano in un paesaggio agreste, le vesti alla greca dei personaggi che indossano il caratteristico peplo classico, le anfore o i capitelli.
Assolutamente moderna è invece la scelta cromatica che, là dove emergono tonalità più cupe, richiama Sironi, mentre dal punto di vista tecnico Montanari rivela una buona capacità esecutiva nell'applicare l'affresco. Sono infatti evidenti le giornate a dimostrazione che l'artista stese, seguendo proprio i principi della pittura murale, l'intonaco a seconda delle parti che intendeva dipingere; inoltre, vi sono le tracce dello spolvero, ovvero il cartone preparatorio che l'artista applicava sul muro per stendere un disegno base.
I dipinti della Camera di Commercio, insieme chiaramente a quello del Cinema Rivoli, costituiscono sicuramente un patrimonio fondamentale, seppur poco conosciuto, per l'arte varesina, non solo per la loro qualità artistica, ma anche per le vicende e dinamiche storiche a cui sono legati.
L'essere stati infatti sottoposti a una serie di interventi di rifacimento iconografico al punto di alterare, addirittura stravolgere, il significato di un'opera è la pura dimostrazione del potere persuasivo e comunicativo che, almeno ancora sino a quel tempo, si attribuiva all'arte.

05/17/2001

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