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Consumi, produzione, viaggi: prevale l'attendismo

Abbiamo chiesto ad alcuni protagonisti dell'economia del territorio quali possano essere le conseguenze dirette sulla nostra economia.

Giuseppe Vimercati (Presidente Cit Viaggi Spa)
Guardi, c'è un dato che spiega tutte le nostre preoccupazioni: ben il 25% delle prenotazioni presso le nostre agenzie per il periodo pasquale hanno come destinazione l'area del Mar Rosso! Lo scoppio della guerra, inevitabilmente, avrà qualche conseguenza negativa sull'attività.
Il clima disincentiva il viaggio: quando ogni giorno si legge sui giornali e si vede in televisione che gli aeroporti sono blindati e che si temono degli attentati, noi operatori del turismo non possiamo che attenderci un calo del mercato.
A tutto ciò s'aggiunga un altro fattore negativo: le notizie sul virus polmonare misterioso stanno rallentando le partenze anche per l'area asiatica: proprio mentre le sto parlando mi hanno comunicato che sono stati annullate delle prenotazioni per Singapore…
Speriamo che la guerra possa risolversi nel tempo più rapido possibile e che ritorni presto un clima di fiducia.

Ezio Colombo (Presidente Ficep Spa)
La congiuntura volge al brutto ormai da tempo: il clima che viviamo è quello della recessione, indipendentemente dalla guerra.
L'incertezza degli ultimi mesi, poi, ha ulteriormente appesantito la situazione condizionando le decisioni d'investimento e conseguentemente l'intera economia, soprattutto quella dell'Europa occidentale: la Germania sta toccando i minimi, almeno in epoca recente.
Il sistema delle macchine utensili ha retto andando a cercare commesse in Russia e nell'intera area ex-Comecon, dove s'è vissuto qualche momento positivo.
La nostra azienda, comunque, guarda sempre con fiducia al futuro: è recente l'avvio dell'attività di una filiale a Baltimora. Siamo convinti, infatti, che quando ci sarà la ripresa ancora una volta gli Stati Uniti fungeranno da locomotiva per il resto del mondo. E noi vogliamo essere pronti, proponendo dei prodotti innovativi su quel mercato.

Luigi Orrigoni (Presidente Supermercati Tigros)
Non mi pare che il settore risenta più di tanto del conflitto: anzi, vedo i miei colleghi della grande distribuzione commerciale tutti dediti allo sviluppo delle loro imprese.
Tigros, poi, è una catena che propone la tipologia di quelli che in gergo tecnico vengono definiti i “negozi di vicinato”, la struttura sotto casa che, in quanto tale, è l'ultima a dover fare i conti con quello che succede a migliaia di chilometri da noi. L'eco della guerra è molto lontana…
Nel 1991, invece, in occasione del primo conflitto del Golfo, gestivo un'impresa industriale e allora dovemmo veramente fare i conti con momenti preoccupanti di vera e propria sospensione dell'attività per due o tre mesi consecutivi.
Resto comunque convinto che se Bush vincerà in tempi brevi, il dollaro tornerà in auge e anche i mercati borsistici potranno finalmente riprendere a salire.

Andrea Dini (Vicepresidente Dama Spa, società proprietaria del marchio Paul&Shark)
La recessione economica già a partire dal 2000 e poi dopo l'11 settembre è stata avvertita nel nostro settore in modo molto eterogeneo. Paul&Shark, presente in tutto il mondo, affronta la difficile situazione selezionando i clienti nei mercati più colpiti dalla crisi, aprendo a nuove realtà in crescita come Cina e Russia e potenziando mercati già consolidati negli anni come Spagna e Gran Bretagna. Grazie alla garanzia di qualità, Paul&Shark può contare su clienti che vedono nel nostro marchio un prodotto sicuro.
Credo che sia soprattutto questo elemento che spieghi come, in base all'andamento del primo trimestre, l'azienda abbia una previsione di fine campagna vendita comunque in crescita rispetto alla stagione precedente.

Paolo Cittadini (Presidente Industrie Ilpea Spa)
Il momento è difficile, nessun dubbio. E non tanto per la guerra, che non fa altro che accentuare la situazione congiunturale negativa.
La realtà è che c'è sovrapproduzione sia sul mercato auto che su quello degli elettrodomestici. E questo incide fortemente sul nostro settore, quello della chimica. Intanto i produttori più importanti stanno delocalizzando la loro attività in Paesi a basso costo del lavoro come Polonia, Ungheria, Turchia.
La guerra incide, certo. Ma la nostra crisi ha radici più profonde: nella diminuzione di competitività del sistema produttivo dell'Europa occidentale rispetto a quella orientale.
Immagino che alla fine del conflitto possa esserci una ripresa, ma se continuerà questa situazione di dumping salariale non potremo trarne profitto.
Mi auguro che siano adottati, da parte soprattutto dell'Unione Europea, quegli strumenti indispensabili per ristabilire una situazione di mercato più equa.

03/27/2003

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