Varesefocus.
Unione degli Industriali della Provincia di Varese
Varesefocus

 
 

Iraq, per l'economia un'altra crisi

Da tre anni ormai i mercati sono alla ricerca di un equilibrio che appare sempre lontano. Vi hanno contribuito il crollo delle attese di crescita nelle telecomunicazioni, la crisi delle linee aeree dopo l'11 settembre, la stagnazione di grandi economie come quella tedesca, le pesanti difficoltà di paesi come Argentina e Venezuela. La guerra in Iraq è a questo punto un ulteriore e più pesante elemento di incertezza.


C'è un elemento di fondo che caratterizza lo scenario economico degli ultimi anni. E' l'effetto-fiducia. Mai come in questo periodo gli andamenti in prevalenza negativi dei periodici sondaggi sulla fiducia dei consumatori e delle imprese sono indicativi delle difficoltà in cui si muove sia l'economia internazionale, sia quella italiana che è sempre più strettamente collegata alle logiche globali.
La fiducia è il risultato di un insieme di fattori non solo economici, ma anche e forse soprattutto, politici da una parte e psicologici dall'altra. E' così che le scelte delle imprese e quelle dei consumatori, così come la difficile politica economica dei Governi e le strategie finanziarie sui mercati dei capitali, sono sempre più condizionate e quasi guidate da una incertezza che è ormai diventata un fattore dominante.
In queste settimane le prospettive economiche sono state e restano ormai fortemente condizionate dal fronte irakeno, dal durissimo impatto che una delle più gravi crisi internazionali del dopoguerra non solo rischia di avere, ma che concretamente ha già dimostrato di avere avuto negli ultimi mesi.
E' almeno dalla metà dello scorso anno, per esempio, che le Borse mondiali faticano a ritrovare il passo della crescita proprio per le previsioni sempre più deludenti sul fronte dello sviluppo dei Paesi e delle imprese e in questo stesso periodo due fattori hanno preso sempre più peso: da una parte il rafforzamento della moneta europea, l'euro, a fronte di un dollaro sempre più debole, dall'altra la crescita continua dei prezzi del petrolio con prospettive che, al di là dei movimenti giornalieri largamente influenzati dalla speculazione, lasciano ormai intendere come ci si debba abituare a costi anche largmaente superiori a quelli medi degli ultimi anni.
La guerra, prima di cominciare, ha già fatto quindi le sue vittime sul fronte dell'economia: le speranze di crescita si sono allontanate, l'Europa, Italia ovviamente compresa, vede più difficili le vie dell'export per la rivalutazione dell'euro, il costo del petrolio è ormai tale da sbilanciare pesantemente i conti con l'estero di molti paesi.
L'incubo che aleggia nei più prestigiosi osservatori economici dentro e fuori gli Stati Uniti è che l'escalation militare faccia esplodere i bilanci pubblici, come al tempo del Vietnam, dia fuoco alle polveri dell'inflazione, faccia alzare i tassi di interesse e frenare la già fragile ripresa.
E in fondo da almeno due anni la fiducia dei consumatori è sempre più spesso in flessione e i Governi, soprattutto quelli europei, dimostrano di essere praticamente disarmati di fronte alle esigenze di manovre espansive. L'euro, concepito e varato in un periodo di forte crescita, ha infatti imposto una disciplina del rigore nei bilanci e nelle spese, una disciplina che meriterebbe di essere allentata più di quanto non sia stato fatto per autonoma decisione dei singoli stati, come Francia e Germania, che hanno superato sia pur di poco i confini del patto di stabilità.
Nelle più recenti dichiarazioni dei responsabili delle politiche monetarie, dal Presidente della Fed, Alan Greenspan, al Governatore della Banca centrale europea, Win Duisenberg, è emerso con chiarezza come ci si trovi di fronte ad uno scenario di progressivo indebolimento dei fattori di crescita. E Greenspan ha già portato i tassi di interesse a livelli vicini allo zero, e quindi ha già consumato nel tentativo, peraltro riuscito, di evitare la recessione gran parte delle sue possibilità di manovra. L'Europa potrebbe fare di più, ma si è trovata in una situazione economica del tutto inedita: non tanto e non solo per il complesso avvio della moneta unica, quanto per le difficoltà in cui un po' a sorpresa si è ritrovata un'economia che era considerata come una sicura locomotiva, quella tedesca.
La Germania ha preso il posto che in anni lontani era stato assegnato all'Italia come “malata d'Europa”. Il peso della riunificazione, non ancora del tutto “digerita”, la rigidità e i costi sociali di un mercato del lavoro con quattro milioni di disoccupati, l'aggravamento del peso della spesa per welfare e pensioni, la scarsa incisività delle operazioni di privatizzazione e liberalizzazione, sono tutti fattori che hanno portato del sistema tedesco ad una sostanziale stagnazione.
Con la Germania ferma al palo anche il resto d'Europa non può certo sperare di correre.
Considerazioni analoghe, ma con un altro profilo, possono essere fatte per i mercati finanziari, soprattutto perché in questa prospettiva le previsioni sono ancora più temerarie. Gli scenari possibili infatti molteplici: mancano i punti di riferimento, mancano le basi su cui gli operatori possano innestare scelte di investimento a medio e lungo termine.
I mercati finanziari risentono in misura diretta non tanto e non solo degli effetti politici legati alla guerra in Iraq, quanto dai riflessi che dalla guerra potranno venire sulla vera malattia che attualmente grava sul sistema economico occidentale e cioè, anche in questo caso, la crisi di fiducia. Sono almeno tre anni, e cioè dalla primavera del 2000, quando vi fu la brusca inversione di tendenza dopo che gli indici delle Borse valori avevano raggiunto quote del tutto irragionevoli, che i mercati sono alla ricerca di un equilibrio che appare comunque sempre lontano. I fattori sono molteplici: dal crollo delle attese di crescita nel settore delle telecomunicazioni alla crisi delle linee aeree dopo l'11 settembre, dalla stagnazione di grandi economie come quella tedesca alle pesanti difficoltà di Paesi solo apparentemente marginali come l'Argentina e il Venezuela. La guerra in Iraq è a questo punto un ulteriore e ancora più pesante elemento di incertezza.
Fare previsioni in questo scenario non è tanto difficile, quanto praticamente inutile dato l'elevato livello di volatilità complessiva. Non si può tuttavia dimenticare che il più recente passato dimostra che il sistema economico ha comunque raggiunto negli ultimi anni una significativa capacità di contrastare i fattori di crisi. Come ha recentemente osservato il Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio “ i risultati positivi sono testimoniati dalla capacità del sistema finanziario internazionale di assorbire, senza gravi danni, le conseguenze del clima di incertezza creatosi dopo l'11 settembre 2001, le difficoltà dovute al rallentamento ciclico delle maggiori economie, le conseguenze dell'emergere di gravi irregolarità nella gestione di gruppi economici e finanziari di importanza mondiale.”
E' vero. Sono stati superati momenti difficili e crisi che rischiavano di compromettere la stabilità internazionale. Ma anche i prezzi pagati sono stati sicuramente elevati. E solo tra qualche mese potremo valutare i costi che l'economia internazionale ha pagato con l'esplosione della crisi in Iraq.
Per l'Italia sarà indispensabile non abbassare la guardia. I risultati, per ora positivi, che si sono raggiunti sul fronte dei conti pubblici sono ancora legati a molte misure una tantum, così come la pur favorevole dinamica dell'occupazione appare fragile di fronte alle incertezze del quadro congiunturale.
Tra qualche settimana inizierà il semestre italiano di presidenza europea: sul piano politico, oltre che su quello economico, ci saranno più da risanare le fratture che mettere in cantiere nuovi progetti. E' forse anche il momento di offrire dei buoni esempi portando a compimento alcune delle riforme che da anni sono in lista d'attesa e che potrebbero ridare basi più solide alla struttura economica: è il caso della previdenza complementare e dei fondi pensione per cui si può intravedere un cammino che senza penalizzare le imprese, aiuti a rimettere in funzione i meccanismi di collegamento tra il risparmio e le capacità imprenditoriali. La prospettiva è almeno quella di riavviare le basi per la crescita economica, di contrastare la depressione dei consumi, di recuperare quote di competitività. Ma su questi punti forse è meglio parlare di speranze più che di previsioni.

03/27/2003

Editoriale
Focus
Economia
Inchieste
L'opinione
Territorio

Politica
Vita associativa
Formazione
Case History
Università
Storia dell'industria
Natura
Arte
Cultura
Costume
Musei
In libreria
Abbonamenti
Pubblicità
Numeri precedenti

 
Inizio pagina  
   
Copyright Varesefocus
Unione degli Industriali della Provincia di Varese
another website made in univa