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Effetto Rete!

Il web 2.0, la rete come “luogo di partecipazione”, sostituirà il web tradizionale? E che influenze sta avendo sul nostro modo di relazionarci, di lavorare o di produrre?

Un nano sulle spalle di un gigante può vedere lontano, anche più lontano di quanto può il gigante. D'altra parte, nella nostra epoca i giganti scarseggiano (purtroppo? per fortuna?). Ma anche oggi un nano può riuscire a vedere lontano: mettendosi sulle spalle di un nano sulle spalle di un nano sulle spalle di un nano su... Si può interpretare attraverso questa immagine la successione di innovazioni incrementali che, ormai oltre 15 anni fa, ha portato all'introduzione di world wide web:
- in sé un nano (nel 1990 non c'era davvero nulla di nuovo negli ipertesti e nella navigazione attraverso la logica point-and-click),
- ma eretto sulle spalle di un solido insieme di nani (le interfacce grafiche dei calcolatori e i calcolatori stessi, i protocolli di trasmissione e le infrastrutture fisiche di Internet).
E infatti è solo quando l'“effetto sistema” si è manifestato, almeno quattro o cinque anni dopo che le tecnologie del web erano state introdotte, che il web stesso ha cominciato ad acquisire quel successo sociale, quel “vedere lontano”, che oggi sembra un fatto scontato (tanto che i ragazzi sono generalmente convinti che il web sia stato introdotto più o meno insieme con i calcolatori - cioè non sanno immaginarsi i calcolatori senza il web; ma questo è un altro discorso). Grazie alla sua versatilità, il web è diventato da allora molte cose diverse: vetrina per le imprese, negozio virtuale, porta di accesso ai cataloghi di biblioteche, ... ma anche: sogno infranto per molte dot-com, cassa di risonanza per terroristi, luogo di infiniti commerci illegali, ... In tutto ciò si delinea una caratteristica comune: il web come strumento per la diffusione e quindi l'accesso a informazione. Dietro le quinte, è in azione una logica che gli informatici chiamano “client-server”: l'utente, “client”, si rivolge a un gestore, “server”, per ottenere da esso informazione. Si tratta, come è evidente, di ruoli fortemente asimmetrici, che riproducono sul web una situazione tipica del mercato, costituito appunto da clienti e da fornitori.
D'altra parte, che la struttura delle relazioni in rete sia questa è una scelta, non un vincolo tecnologico, come testimonia, per esempio, il fatto che la posta elettronica, pur basata su server per ragioni di efficienza e affidabilità, realizza a tutti gli effetti una relazione “alla pari” (“peer-to-peer” nel gergo dell'informatica) tra individui. L'idea del web come luogo di partecipazione e non solo di accesso a informazione era presente già alle origini, considerando che i primi prototipi di browser consentivano anche di modificare i testi ottenuti dalla rete, e non solo di leggerli. Ma per varie ragioni questa dimensione è stata trascurata per vari anni e solo recentemente è tornata alla ribalta, diventando in breve un fenomeno di grande rilievo, al punto da meritare un nome: “web 2.0”.
La base di web 2.0, è bene chiarirlo, non è una nuova tecnologia, ma solo tanti piccoli aggiustamenti alla tecnologia esistente e consolidata, che consentono appunto a chiunque di svolgere un ruolo attivo nel web, introducendo, modificando o commentando testi, immagini, filmati, o semplicemente “essendo presente” nel web stesso. Un ottimo esempio, perché nello stesso tempo semplice ma straordinario nelle sue implicazioni e potenzialità, è Wikipedia, un'enciclopedia online interamente prodotta grazie al contributo di autori anonimi: in pratica, collegandosi al sito di Wikipedia con un qualsiasi browser chiunque può non solo consultare le voci esistenti, ma anche modificarle (per esempio per correggere errori o aggiungere esempi) e perfino crearne di nuove. Un analogo principio di coinvolgimento e partecipazione muove YouTube, un sito che consente a chiunque di rendere disponibili online e catalogare filmati, mentre SecondLife, un sito di “realtà virtuale” condivisa, con tanto di denaro virtuale necessario per completare transazioni commerciali, lascia intravedere quale potrebbe essere il futuro dell'“infospazio” (“cyberspazio”, come a volte lo si chiama).
A proposito di questa logica, che potremmo caratterizzare come “a ruoli simmetrici” per distinguerla dall'asimmetrica relazione cliente-fornitore, sorgono immediatamente varie domande, e in particolare:
cosa spinge un individuo a contribuire attivamente a una comunità, il cui elemento in comune è tipicamente solo lo stesso sito, invece che semplicemente utilizzare i servizi resi disponibili (tra l'altro spesso in modo comunque gratuito) da altri?
- questa logica partecipativa è alternativa o complementare a quella cliente-fornitore tradizionale?
- nel contesto di mercato asimmetrico in cui operano le imprese, che ruolo può svolgere questo modello di relazioni simmetriche?
oltre che, naturalmente:
- Web 2.0 è una bolla destinata a scoppiare, o quantomeno a ridimensionarsi, oppure continuerà a espandersi? web 2.0 tenderà a sostituire il web tradizionale, o i due conviveranno?
Sebbene una risposta specifica ed esauriente a domande di questo genere sia, al momento, al di là delle nostre capacità, possiamo ipotizzare qualche interpretazione per analogia, in particolare a partire dall'esperienza delle comunità che sviluppano sistemi software secondo la logica dell'open source. Una decina di anni fa, Eric Raymond scrisse al proposito un interessante saggio, intitolato “The cathedral and the bazaar”, “La cattedrale e il bazar”, per sostenere che, a patto sia disponibile uno strumento di comunicazione efficiente (e Internet certamente lo è), l'obiettivo di creare un sistema software può essere raggiunto non solo con il tradizionale stile delle aziende (“la cattedrale”, costruita sotto la guida dell'architetto), ma anche da una comunità di pari (“il bazar”), eventualmente coordinata con modalità di coinvolgimento partecipativo. E' importante notare che la possibilità di giungere a un risultato di qualità e a costi accettabili (=la solita, famosa, coppia efficacia + efficienza) rimane l'obiettivo anche in questo secondo caso: ciò che è in discussione non è l'obiettivo, ma la modalità con cui ottenerlo. Almeno un paio dei “principi” che Raymond propone, ponendosi nella prospettiva del coordinatore della comunità, sono interessanti proprio per le loro implicazioni organizzative:
- “trattare i tuoi utenti come co-sviluppatori è la strada meno problematica per migliorare rapidamente il prodotto” (“Treating your users as co-developers is your least-hassle route to rapid code improvement and effective debugging”)
- “se tratti i tuoi utenti come se fossero la tua risorsa più preziosa, essi risponderanno diventando la tua risorsa più preziosa” (“If you treat your beta-testers as if they're your most valuable resource, they will respond by becoming your most valuable resource”).
Ma funziona? Proprio come la scelta di adottare la logica asimmetrica cliente-fornitore non è garanzia di successo, così anche per questo modello partecipativo: il sito SourceForge mantiene attualmente oltre centomila (centomila!) progetti open source, ma solo alcuni di questi sono casi di successo; e, per tornare al web, solo pochi sono i weblog (chiamati anche blog), tra gli innumerevoli presenti nel web, che riescono a generare un buon numero di lettori intorno a sé. Il cosiddetto “effetto rete”, per cui un'entità - prodotto o servizio - diventa tanto più utile e interessante quanto maggiore è il numero dei suoi utenti, non è certamente facile da innescare, e tra l'altro ha comunque dei costi (si vada, per esempio, in Wikipedia a consultare le voci “The Holocaust” oppure “George W. Bush”: le si troverà “protette”, cioè impossibili da modificare da parte di un utente qualsiasi; non è difficile immaginare le ragioni di questa scelta da parte dei gestori del servizio...).
Dal punto di vista di un'impresa, torna il problema: come si fa? E ne vale la pena? In quali condizioni?
Una strada che sembra essere stata seguita da un certo numero di esperienze di successo del web 2.0 è quella che potrebbe essere chiamata la “intermediazione cooperativa”: costituire intorno a sé una rete di utenti-collaboratori-partner, fornendo a essi le motivazioni sufficienti a operare attivamente nella rete stessa, e incrementando quindi con tale uso il valore della rete. E' forse questo l'elemento che più accomuna le molte e diverse esperienze che vengono fatte rientrare nel web 2.0: le folksonomies (“verso il web semantico”), i wiki, eBay, le comunità di lettori intorno ad Amazon, ...
Anche il web 2.0 è un nano: il prossimo futuro ci dirà se sarà stato capace di salire sulle spalle di un nano (il web) sulle spalle di un nano sulle spalle di un nano su...

06/14/2007

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