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La rivoluzione elettrica e l'industria

La lungimiranza degli imprenditori lombardi che già nel 1980 furono fra i primi a cogliere "l'occasione elettrica"

Della straordinaria importanza che l'energia elettrica avrebbe potuto avere per l'avvenire dell'industria italiana se ne cominciò a parlare a Milano negli anni ottanta del diciannovesimo secolo. Era il tempo in cui il capoluogo lombardo proclamava con forza il suo ruolo di capitale industriale e morale del Paese. In particolare fu Giuseppe Colombo, uomo di multiforme ingegno (imprenditore - politico - scienziato - scrittore - direttore del Politecnico) a propugnare "l'occasione elettrica" sia con i suoi scritti, sia con precise iniziative.
Fu così che, sotto i suoi auspici, nel 1883 entrò in funzione, nel cuore di Milano, a due passi dal Duomo, la Centrale per la produzione di energia elettrica di Santa Redegonda. Questo impianto, il primo mai realizzato in Italia, aveva un carattere puramente dimostrativo e venne utilizzato per l'alimentazione di alcune migliaia di lampadine ad uso di privati cittadini. Si può immaginare, oltre alla incontenibile curiosità, lo straordinario successo che questa iniziativa ottenne. In quelle settimane, in cui perdurava l'eco della grande Esposizione Industriale milanese del 1881, furono in molti a comprendere le grandi potenzialità che potevano giungere da una energia pulita, rinnovabile e a buon costo come quella elettrica. Santa Redegonda fece scuola e immediatamente, da Torino a Roma, da Livorno a Palermo, si moltiplicarono gli impianti sperimentali. Nel contempo si cominciò a studiare la possibilità di utilizzare l'energia elettrica al fine della illuminazione delle strade e quindi della trazione dei mezzi pubblici. In quest'ultimo campo il primato spettò a Firenze con l'inaugurazione nel 1890 del collegamento con Fiesole.
Ciò era sicuramente entusiasmante ma, per dirla con le stesse parole di Giuseppe Colombo, il tema di maggiore interesse era costituito, nel dibattito tra scienziati e imprenditori, dal "significato che la trasmissione dell'energia elettrica poteva avere per l'avvenire dell'industria italiana". L'argomento era di grande attualità e suscitava enormi speranze in tutto il mondo industriale per due motivi tra loro collegati.
Le nostre industrie infatti erano fortemente penalizzate dalla necessità di acquisto all'estero del carbone e degli altri combustibili che davano energia alle macchine. Al contrario, se si fosse dato sviluppo a centrali di energia elettrica, l'Italia ed in particolare il Nord sarebbero state fortemente avvantaggiate dalle caratteristiche del nostro territorio ricco di corsi d'acqua e cascate. Poteva essere la svolta da tempo auspicata per rendere più libera e competitiva l'industria nazionale.
C'era tuttavia un problema che frenava i facili entusiasmi, ovvero la difficoltà di trasportare l'energia idroelettrica dal luogo di produzione a quello di impiego. Erano in molti a sostenere che i costi di trasporto avrebbero potuto addirittura annullare i vantaggi dell'energia idroelettrica che pure era abbondante e poco cara. E sempre costoro sostenevano che sarebbe stato preferibile dare la preferenza all'energia termoelettrica prodotta mediante la combustione di materiali come il carbone di cui pure, come si è detto, in Italia non c'era una disponibilità naturale.
La sintesi più precisa del contrasto tra queste due scuole di pensiero la si trova nelle parole di un grande studioso delle tematiche elettriche, Giorgio Mortara: "l'energia idraulica poteva sovvenire soltanto ai bisogni, generalmente ristretti delle zone povere e radamente popolate ov'essa era disponibile (e qui sorsero presto numerose piccole centrali idroelettriche), mentre le città, bramose di luce, dovevano procacciarsela col ricorso ai combustibili fossili (utilizzati in centrali termoelettriche relativamente grandi)".
E' del tutto evidente che, se fosse prevalsa questa concezione, per l'industria italiana e in particolare per quella elettrica non ci sarebbero state prospettive. Per fortuna così non fu, ma non si trattò di un esito scontato e rapido. Ancora alla fine di quello straordinario decennio, in una conferenza tenuta presso il Circolo Filologico di Milano il 20 aprile 1890, il combattivo Giuseppe Colombo ebbe a dire: "Questo è il grande problema della meccanica moderna, poter trasportare facilmente ed economicamente la forza idraulica dalle regioni montuose ove è più facile raccoglierla, in tutti i luoghi dove domina sovrana la macchina a vapore".

Proseguendo nella sua riflessione Giuseppe Colombo si sforzava di fare capire ai suoi attenti ascoltatori che, se l'intento di trasportare l'energia idroelettrica a buon mercato fosse stato raggiunto, sarebbe diventato del tutto inutile persino l'uso di quelle macchine a vapore che pure avevano consentito all'industria italiana un primo e basilare riscatto nei confronti delle più progredite industrie inglesi, francesi, svizzere e tedesche.
Nel suo dire c'era però una novità importante che di lì a poco avrebbe costituito la chiave di volta per uscire dall'impasse. Giuseppe Colombo non guardava più soltanto alle fonti d'acqua a caduta naturale che si trovavano nelle lontane valli alpine, ma indirizzava il suo sguardo acuto alle grandi masse d'acqua in movimento che si potevano incontrare proprio alle porte di Milano. Questa la sua lucida constatazione: "Il Ticino porta, fra Sesto Calende e l'incile del Naviglio Grande una forza di 40.000 cavalli; di questa forza, 34.000 cavalli si potrebbero agevolmente raccogliere col progetto dell'ing. Cipolletti presso Tornavento, a 35 chilometri da Milano, e a una distanza assai minore dai numerosi opifici scaglionati lungo la valle dell'Olona".
Ecco dunque che i territori dell'attuale Provincia di Varese e i suoi corsi d'acqua si trovarono coinvolti nella grande rivoluzione idroelettrica di fine secolo che finì per costituire in effetti la svolta decisiva per l'industria italiana.
Naturalmente, con una caratteristica del tutto italiana, pur registrandosi negli anni successivi importanti progressi nella trasmissione a distanza dell'energia elettrica, si verificò sul territorio nazionale una forte stratificazione di piccole centrali sia idro, sia termoelettriche.
Sono molto significativi al proposito i dati statistici del 1895 che ci danno un complesso di 189 impianti a scopo commerciale e 1.054 a scopo privato. La maggior parte di questi ultimi, come ha scritto Giorgio Mortara, "aveva per fine l'illuminazione di opifici", ma -ecco la novità- accanto stava crescendo la generazione di forza elettrica per fini industriali.
Non è infine secondario constatare che proprio in quegli anni un decisivo contributo alla elettrificazione giunse dai macchinari ideati dalla ditta "Franco Tosi" di Legnano. Ciò fu significativo non solo per l'intreccio di vicende che legava la Ditta di Legnano con il Varesotto e soprattutto quell'Alto Milanese che poi sarebbe entrato a far parte della Provincia di Varese, ma anche per la testimonianza del grande intuito di un imprenditore che, già precursore nella produzione italiana di caldaie a vapore, ora lo diventava in quella decisiva dell'elettrificazione del Paese.



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03/06/2000

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