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Utility locali, il monopolio resiste

Il processo di liberalizzazione delle utility subisce un altro colpo nella Finanziaria. E, intanto, molta parte del mondo politico mostra di ritenere "pericolosa" la privatizzazione delle ex-municipalizzate.

La liberalizzazione del mercato - ossia l'eliminazione dei monopoli - e la privatizzazione delle imprese a capitale pubblico sono state due linee direttrici percorrendo le quali l'economia dell'Unione Europea avrebbe dovuto riconquistare margini di competitività. Meno Stato, più mercato, è stato lo slogan che ha efficacemente rappresentato le ragioni di scelte che hanno portato a varare direttive comunitarie che hanno introdotto il principio della concorrenza in settori appartenuti tradizionalmente alla sfera pubblica. Servizi come l'energia elettrica e il gas, la telefonia, i trasporti ferroviari, hanno cessato di essere prerogativa della pubblica amministrazione e i cittadini-utenti hanno cominciato a guardarsi intorno per scegliere il fornitore più conveniente. Si tratta di un processo graduale, iniziato ma non ancora concluso. Nel nostro paese la liberalizzazione è ormai cosa fatta per il settore delle comunicazioni e si sta completando per quello energetico: le imprese che consumano grandi quantitativi di energia elettrica e di gas possono, da alcuni anni, acquistare dal fornitore più economico e lo stesso potranno fare, a breve, le imprese con consumi più ridotti, così come le utenze domestiche. Anche nel settore dei trasporti il processo è iniziato: i primi treni merci delle Ferrovie Nord Milano hanno iniziato, ad esempio, a circolare sulla rete di proprietà delle Ferrovie dello Stato. Il principio, comune a tutti i settori interessati dalla liberalizzazione, è che i nuovi soggetti che operano nel mercato delle cosiddette utility utilizzano le reti di trasporto esistenti (elettrodotti, metanodotti, linee telefoniche e per trasmissione di dati a distanza, binari ferroviari) versando un canone a chi ne è proprietario (l'ex-monopolista, cioè Enel, Snam, Telecom, Ferrovie dello Stato).
Sempre nel nostro paese, le attese che il processo di liberalizzazione e di privatizzazione venisse completato in tempi rapidi erano cresciute di fronte all'affermazione dei principi liberali e liberisti fatta, in occasione della campagna elettorale, da parte di quelle forze che sarebbero poi uscite vittoriose dal voto del 13 maggio 2001, quelle stesse forze che compongono l'attuale maggioranza di governo. Invece, quello che si registra dopo due anni e mezzo è una vera e propria stasi. Anzi, nel settore delle utility locali - i servizi forniti ai cittadini dalle aziende ex-municipalizzate - che, detto per inciso, così vengono indicate in quanto non si tratta più, per la maggioranza dei casi, di aziende pubbliche ma di società di diritto privato, con una caratteristica tuttavia importante: il loro capitale resta quasi sempre posseduto dagli enti locali - il governo ha fatto una vera e propria inversione di rotta.
L'articolo 35 della Finanziaria 2002 aveva previsto la possibilità di prorogare fino a sette anni la gestione diretta dei servizi pubblici locali a condizione che le ex-municipalizzate realizzassero delle forme di aggregazione tra di loro. Il rinvio delle privatizzazioni nel settore delle utility locali era necessario - si disse - in quanto occorreva, prima, rafforzare il potenziale industriale e patrimoniale delle ex-municipalizzate per evitare che, una volta messe sul mercato, queste ultime potessero diventare facilmente preda di colossi stranieri. In realtà, non è mai venuto meno il sospetto che gli argomenti addotti da chi frenava sulle privatizzazioni delle utility locali mascherassero la volontà di mantenere nella sfera pubblica delle posizioni di potere e di rendita. Ora, con la manovra Finanziaria 2004 si è tentato di rinviare ulteriormente nel tempo le privatizzazioni in questo settore, salvo essere costretti strada facendo ad escludere dal rinvio elettricità e gas (per i quali opera già una disciplina derivata, come ricordato, dalla Comunità) e limitarla così ai servizi restanti: acqua, rifiuti, farmacie, trasporti. Per questi servizi, l'articolo 14 del "decretone" collegato alla Finanziaria prevede tre modelli per la gestione dei servizi pubblici locali. Primo: la concessione ai privati dopo una selezione svolta mediante gara pubblica. Secondo: l'affidamento diretto ad una società mista in cui il socio privato sia scelto con gara. Fin qui, nulla da obiettare, anche se già la seconda ipotesi rappresenta una forma di privatizzazione spuria. La chicca sta invece nel terzo modello: l'affidamento diretto ad una società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti pubblici che la controllano.
Qui il concetto di privatizzazione si fa evanescente e si fornisce il supporto giuridico ad un processo che, peraltro, era già iniziato e che vede le ex-municipalizzate allearsi tra di loro nell'ottica di diventare sempre più grandi e sempre meno private. Come dire che, di fronte alla prospettiva di accrescere il business e di rafforzare così, in maniera indiretta, il potere politico degli enti pubblici di controllo, la proverbiale inerzia di questi ultimi si trasforma in improvvisa vivacità. Vengono meno i consueti campanilismi e ciò di per sé non sarebbe una cattiva cosa se non fosse che, dietro la corsa alle alleanze, si nascondono manovre tendenti a far guadagnare supremazia all'una o all'altra fazione politica. E' quanto traspare chiaramente dagli intrecci in corso tra le ex-municipalizzate delle più importanti città della penisola.
Di fronte ai tre modelli prospettati dal decretone viene da domandarsi quale sarà quello a cui faranno ricorso in maggioranza le amministrazioni locali. La risposta appare scontata, tanto più se si considera che i tre modelli vengono proposti in maniera paritaria, senza indicazioni di priorità sul loro utilizzo. Da notare, poi, anche la circostanza che il rinvio delle privatizzazioni, in questo settore, rappresenta sul piano giuridico una vera e propria forzatura, stante il fatto che sul ricordato articolo 35 della Finanziaria 2001 pende giudizio di legittimità davanti alla Corte di Giustizia Europea e per questo l'Italia rischia una procedura di infrazione.
Un bel pasticcio, insomma, che denota comunque la volontà di continuare, come nel passato, nella gestione diretta dei servizi pubblici, autentica gallina dalle uove d'oro, proprio perché si opera in regime di monopolio. La conseguenza di questo stato di cose è che ai cittadini viene di fatto impedito di poter scegliere il fornitore più economico o, meglio, quello con il migliore rapporto prezzo/qualità. I servizi pubblici locali continuano ad essere gestiti a condizioni tariffarie e con modalità di servizio non negoziabili. In prospettiva, a farne le spese saranno tutti gli utenti: cittadini, imprese, organizzazioni sociali di ogni genere. Ma c'è da scommettere che saranno i cittadini più deboli quelli che ne sopporteranno il peso maggiore. Perché, a parità di tariffe, sono proprio costoro quelli sui cui bilanci graverà maggiormente il costo dei servizi pubblici.
Nel frattempo, a livello locale si è iniziato ad esaminare il piano industriale della holding costituita tra le ex-municipalizzate di Varese, Busto Arsizio, Gallarate (città tutte guidate dalla medesima maggioranza politica). Le cronache riportano dichiarazioni che appaiono in inspiegabile contrasto con quello spirito liberista ricordato prima. Stando alle affermazioni riportate dal quotidiano locale La Prealpina, sarebbe stato detto senza mezzi termini che l'obiettivo principale dell'operazione che ha portato alla costituzione della holding è quello di mantenere nell'alveo pubblico settori come acqua, gas e nettezza urbana, che "rischiano una pericolosa privatizzazione".
Sono affermazioni che indicano un retro-pensiero comune a molta parte del mondo politico, non solo nella nostra provincia. Si tratta davvero - come ha sottolineato Sabino Cassese nell'editoriale del Corriere della Sera del 29 ottobre scorso - di una riscoperta del socialismo, in chiave municipale?

11/20/2003

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