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Villa Panza: uno spazio per l'anima

Giuseppe Panza ha impostato la sua collezione verso una bellezza assoluta ed emotivamente coinvolgente, fondata sull'etica. Un "bello" non legato alla moda, al gusto, a effetti spettacolari, ma inteso come espressione del "bene", dal quale soltanto può attingere validità universale.


Giuseppe Panza incominciò a collezionare arte contemporanea alla metà degli anni Cinquanta, subito dopo il suo matrimonio con Giovanna Magnifico. I mobili e i dipinti dell'Ottocento che arredavano abitualmente le case della borghesia lombarda non soddisfacevano né il suo gusto, volto alla ricerca di una bellezza assoluta per inclinazione naturale e formatosi grazie alla frequentazione di mostre e di musei, né la sua cultura, nutrita dalla passione per la filosofia, la scienza, la musica e soprattutto dal desiderio di trovare una risposta seria e appagante alle domande più antiche e ineludibili dell'uomo: il senso dell'esistenza, della gioia e del dolore, della vita e della morte. Una pittura di tipo narrativo o descrittivo, se non decorativo, appariva vanamente insignificante al suo occhio acuto e scrutatore. Trovandosi nell'impossibilità economica di acquistare capolavori ormai riconosciuti, grazie all'incontro fortuito con la riproduzione di un quadro di Kline su una rivista di ingegneria che immediatamente lo colpì per la sua forza espressiva e, in seguito, per mezzo di sempre più frequenti e mirati viaggi negli Stati Uniti che gli permisero di valutarne molto presto le realtà culturali, Giuseppe Panza si volse decisamente verso l'arte contemporanea.
Questa scelta corrisponde pienamente alle sue esigenze spirituali: la sua sete di verità, intesa come aspirazione verso valori universali ed eterni, si può esprimere liberamente nell'appassionata ricerca di artisti impegnati a dar forma ai suoi stessi sentimenti e ai suoi stessi interrogativi nella realtà contemporanea, cioè nell'attualità stessa della sua vita. La gioia della scoperta appaga la sete delle sue stesse domande e al tempo stesso le ripropone continuamente in forme nuove.
Pochissime persone sanno seguire quanto lui il rapidissimo evolvere del panorama artistico internazionale, cogliendo ogni volta l'importanza di nuove personalità emergenti e scegliendo sempre gli esempi qualitativamente migliori del loro lavoro. Non si lega a nessuna corrente, non si lascia fermare da preconcetti o pregiudizi, non lo toccano l'incomprensione generale che lo circonda, i giudizi derisori con cui viene schernito, i progetti continuamente vanificati dall'ottusità delle istituzioni italiane. La sua sete di verità e di assoluto continua a guidarlo e a sostenerlo con tenacia e lungimiranza.
Il basso valore commerciale degli artisti che lo interessano, non ancora riconosciuti dal mercato, gli permette di acquistare nel corso degli anni un altissimo numero di opere di straordinaria importanza e bellezza. La sua casa di Milano risulta ben presto troppo piccola per accogliere i lavori che compra in collaborazione con la moglie non per un semplice istinto di possesso, ma per poterli meglio capire, approfondire, meditare anche in tempi relativamente lunghi. Le opere di ogni artista sono oggetto di studio, di acute riflessioni, di impietose valutazioni.
La sua ricerca di una risposta alle domande esistenziali più profonde non è puramente speculativa.
L'uomo non è per lui soltanto spirito e raziocinio, ma un essere al tempo stesso fisico e spirituale, in cui la ragione convive con il sentimento e cede il passo all'irrazionale. Proprio per questo l'arte, grazie alla creatività e alla fantasia, può sintetizzare e anche superare per capacità espressiva il linguaggio, la pura speculazione, la razionalità del metodo scientifico. Ma le opere d'arte, con la loro intrinseca fisicità, hanno bisogno di un contesto adeguato, che permetta di coglierne il messaggio senza interferenze negative, utilizzando tutto lo spazio necessario, la luce, il silenzio, le presenze o le assenze di altri oggetti che di volta in volta ne condizionano al meglio la fruizione. La Villa Menafoglio Litta, acquistata dal padre di Giuseppe Panza alla metà degli anni Trenta, diventa così ben presto il luogo ideale per la collezione, non solo per la sua vastità, ma soprattutto per l'articolazione dei suoi spazi, la sua sobria e raffinata eleganza, le perfette proporzioni dei locali progettati dall'architetto neoclassico Luigi Canonica. Qui la sensibilità del collezionista ha modo di esaltare pienamente i valori del lavoro di ogni artista: le opere contemporanee esprimono con il loro linguaggio attuale e nuovo i valori assoluti che le accomunano al passato, a quanto già è diventato storia e patrimonio culturale comune. Nell'appartamento del primo piano l'accostamento con le statue di arte primaria, i mobili rinascimentali, i raffinati intarsi e stucchi barocchi appare del tutto naturale, perché la tensione verso la bellezza prevale sulla diversità delle culture che li hanno generati. Il rigore assoluto delle opere che sono collocate nell'ala dei rustici vivifica i loro nitidi ritmi spaziali e al tempo stesso genera una sorta di risonanza armonica.
Giuseppe Panza non è il collezionista che esibisce quanto di importante e prezioso ha acquistato e raccolto, né l'intelligente autore di un allestimento, esemplare per coerenza, che dedica uno spazio specifico ad ogni artista e trasforma il suo palazzo in un museo; non è neppure colui che con nobiltà d'animo dona la sua casa per offrire alla fruizione pubblica i suoi raffinati ambienti domestici. Mi sembra piuttosto che egli crei una grande Wunderkammer, un luogo di meraviglie grande come tutta la villa e il suo giardino, dove le bellezze naturali, paesaggistiche, architettoniche, artistiche, artigianali si esaltano reciprocamente in continui rimandi. Il rigoroso e impegnativo restauro che il FAI ha realizzato per rendere possibile l'apertura al pubblico dell'intero complesso ha compiuto perfettamente l'opera intrapresa dal collezionista: offrire alla gente comune - troppo spesso oppressa negli spazi angusti dei condomini, nell'anonimato dei luoghi di lavoro, nella desolazione di paesaggi devastati da un'urbanizzazione disordinata e invadente o di periferie degradate - un luogo diverso dove riscoprire, attraverso la forza della bellezza, la grandezza della dignità umana e l'armonia ancora possibile tra l'uomo e il mondo in cui vive.
La donazione di una collezione o di un edificio di grande rilievo, anche in presenza di eredi diretti, credo abbia essenzialmente due motivazioni, che possono mescolarsi inconsciamente in diversa misura caso per caso: il piacere di affidare alla comunità la memoria della propria persona o del proprio casato, perché le tramandi anche in un futuro remoto, vincendo così il timore della dispersione, dell'oblio e della morte, oppure il senso civile di un valore morale positivo, dotato di una forte valenza educativa e rigenerante, che debba essere condiviso con la comunità sociale in quanto patrimonio non di un singolo individuo, ma di tutto il genere umano. In questo caso la donazione diventa una scelta obbligata, l'unica capace di corrispondere alla responsabilità nei confronti della società stessa, che viene vissuta dal donatore come più forte di quella per la propria stretta cerchia familiare. Nella donazione al FAI della Villa Menafoglio Litta Panza prevale in modo evidente la seconda motivazione, in quanto connaturata sia con le scelte precedentemente operate dal collezionista, tutte nella direzione di una fruizione pubblica delle opere da lui raccolte tramite il MOCA di Los Angeles, la Fondazione Solomom Guggenheim di New York e il Museo Cantonale di Lugano, per citare solo le più importanti, sia con le motivazioni stesse che hanno informato la nascita e la crescita della raccolta.
Da queste premesse si possono dedurre gli aspetti che caratterizzano la collezione Panza in generale, nei suoi vari nuclei dislocati in luoghi vicini o lontani e nel gruppo di opere esposto a Varese.
In primo luogo, l'aspetto internazionale della collezione stessa, che a Varese presenta tre artisti italiani (Franco Monti, Ettore Spalletti e Vittorio Tavernari), un tedesco (Hubert Kiecol) e numerosi statunitensi appartenenti a diverse regioni. Per Giuseppe Panza l'arte ha un significato e un valore universali e quindi è un fenomeno internazionale, che scavalca per sua natura ogni inquadramento rigidamente geografico o cronologico.
In alcuni luoghi e in alcuni periodi - come può essere avvenuto, ad esempio, nella Grecia del V secolo a.C., nell'Italia del Rinascimento, a Parigi fra il 1860 e il 1930 - si sono create delle situazioni particolarmente favorevoli alla produzione artistica. La ricerca del collezionista è volta quindi ad approfondire le situazioni a lui contemporanee, che si mostrano qualitativamente più rilevanti, individuandole in qualsiasi area geografica.
In secondo luogo, la collezione Panza non ha un'impronta e una finalità di tipo storico. Anche se accoglie e rappresenta a volte in modo eccezionalmente esaustivo molti dei principali movimenti artistici degli ultimi cinquant'anni, il suo scopo non è quello di definire storicizzandoli i gruppi o gli artisti contemporanei in modo da contribuire a scrivere la via percorsa dalla "Storia dell'arte" negli ultimi decenni. La Pop Art, il Minimalismo, l'Arte concettuale, la Land Art, il Movimento Monocromatico o quant'altro, non sono presenti nella collezione in quanto prosecuzione di una linea che va dal Rinascimento al Barocco, al Neoclassicismo, al Romanticismo, agli Impressionisti, ai Cubisti, ai Futuristi, agli Astrattisti, come in manuale scolastico o in un museo in cui una scansione di questo tipo corrisponde ad una volontà didattica che pretende, schematizzando, di risultare esaustiva. Le scelte di Giuseppe Panza appaiono, soprattutto a distanza di qualche decennio durante il quale le valutazioni hanno avuto modo di incominciare a consolidarsi al di là delle mode effimere, estremamente precise e lungimiranti su quelli che sono stati i massimi artisti contemporanei (bastino per tutti i nomi di Franz Kline, Robert Rauschenberg, Mare Rothko, Dan Flavin, Richard Serra, Carl Andre, Richard Long, Bruce Nauman). Tuttavia, esse hanno escluso, in un modo che potrebbe stupire e che molto spesso ha sollevato critiche presso gli addetti ai lavori, artisti come Andy Warhol o interi movimenti come la Transavanguardia e la Body Art.
La pura denuncia di un disagio, di una sofferenza o persino di uno scandalo che passano sotto i nostri occhi indifferenti e ai quali in vari modi - anche esasperati, scioccanti o violenti - gli artisti ci vogliono richiamare, non interessa a Giuseppe Panza se non porta anche il segno di un superamento dell'aspetto negativo, se non ci offre almeno un brandello di dubbio, di speranza e soprattutto di poesia. Inoltre, in un contesto culturale in cui la categoria del "bello" è considerata troppo soggettiva, culturalmente condizionata, percettivamente relativa e quindi troppo generica per poter definire e qualificare un oggetto, in cui la critica specialistica ha bandito dal suo vocabolario l'aggettivo "bello" riferito ad un manufatto artistico (in cui, cioè, le Belle Arti sono diventate arti e basta, con la "a" minuscola finché non approdano sul palcoscenico di aste miliardarie), Giuseppe Panza ha scelto di dirigere il timone della sua barca decisamente controcorrente, verso una bellezza assoluta, evidente, emotivamente coinvolgente, in quanto fondata non sull'estetica, ma sull'etica: un "bello" non legato alla moda, al gusto, a effetti spettacolari, ma inteso come espressione del "bene", dal quale soltanto può attingere validità universale.
Infine, mentre molti teorizzano la "morte dell'arte", equiparano le arti visive ad una delle tante forme di comunicazione o si interrogano su quale significato l'arte possa ancora avere oggi, quando dei suoi scopi tradizionali - rappresentare la realtà, celebrare i potenti, offrire immagini di culto, decorare in modo raffinato e piacevole le dimore dei ricchi - sembra sopravvivere soltanto la realtà di status simbol, Giuseppe Panza risponde con coraggio spendendo tutto il suo tempo, le sue energie e il suo denaro (spendendo, cioè, la propria vita) alla ricerca di un'arte che aiuti l'uomo a sollevare il capo dalla propria personale miseria, dall'affanno del quotidiano, che lo tragga dall'anonimato della folla e della massificazione per aiutarlo a ritrovare se stesso nella solitudine di spazi nuovi, magici, dove la percezione fisica risulta inconsueta e lo spinge a sperimentare zone inesplorate del proprio essere. Questa è l'esperienza di chi entra nelle stanze dei rustici dedicate a Dan Flavin e percorre il suo "Varese Corridor" installato nell'ala del Canonica, mentre nella "Varese Room" di Maria Nordman del 1976 è piacevole ritrovarsi soli a meditare, perché quella solitudine non è un buio angoscioso e vuoto, ma si anima pian piano grazie ad una sottile lamina di luce che lascia intravedere dimensioni appena percettibili, finché non si ritorna al mondo esterno con gli occhi abbagliati e con un cuore da bambini. In "Sky Space I" di James Turrell, pure del 1976, la bellezza del colore del cielo, incorniciato da un'apertura quadrata nel soffitto della stanza bianca, non permette di sfuggire al dialogo personale con quello che gli antichi chiamavano il trono di Dio. Altri luoghi dove poter ritornare a sentirsi intimamente parte della natura, con i suoi ritmi eterni e le sue leggi matematiche misteriose e perfette, sono il viale di carpini nel parco con la sua affascinante fuga prospettica, cresciuto nel tempo secondo le forme geometriche della potatura, ma anche le scuderie con le sculture di Martin Purear, in cui il legno continua ad essere materia viva capace di generare forme emblematiche. In un contesto in cui l'arte contemporanea è sempre più oggetto di dispute critiche fra addetti ai lavori e sostenitori di interessi commerciali, con un'immagine pubblica che attira folle incuriosite e desiderose di risposte alle proprie irrinunciabili esigenze interiori, ma che poi le allontana per i suoi modi espressivi ermetici, ricacciandole nell'adorazione dell'Impressionismo come ultima spiaggia di una bellezza ancora condivisibile, Giuseppe Panza e il FAI si impegnano ad offrire al pubblico una esperienza che rinnova i canoni abituali, con la fiducia che le parole antiche della villa e degli arredi e le parole nuove delle opere offrano ai visitatori delle risposte vive ed attuali.


Le precedenti puntate:

11/15/2001

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