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Il Guggenheim nel mondo, un omaggio alla libertà artistica

I pittori rifiutati dall'Europa delle dittature furono i primi a potersi esprimere grazie ai poli culturali realizzati a New York e a Venezia.

Quando, nel 1937, Salomon R. Guggenheim fondò, a New York, il Museo che si conosce come suo, diede a tutto il mondo un segnale preciso di un ragguardevole progetto umanistico-culturale: raccogliere ed esporre le più significative testimonianze dell'arte moderna astratta degli artisti di tutto il mondo.
Ciò prendeva corpo in un momento critico, alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, quando già il clima sociale e culturale era ammalorato, e fu segnale di una determinata coscienza del valore dell'arte moderna che le allora imperanti dittature, di Hitler e di Mussolini, tendevano a mettere in disparte se non a cancellare. Nel 1933 si erano avviate le persecuzioni naziste in Germania contro gli artisti ”degenerati”; nel 1936 era iniziata la Guerra di Spagna e nel 1937, mentre le opere d'arte moderna venivano tolte dai musei tedeschi, Picasso dipingeva Guernica.
Considerando, poi, dove esso nacque, in una terra libera, crogiolo di diverse culture, sia americane sia europee, fu segnale di un impegno che se già di per se stesso era illuminante, ancor più diventava sostanziale in quanto si costituiva come una pietra di paragone sulla quale condurre a fare le prove gli artisti in fase di crescita proprio mentre altrove si negava loro libertà di espressione.

Ma alla già inquietante novità del progetto, in piena coerenza di stile, Guggenheim accompagnò un altrettanto lungimirante progetto, del tutto complementare del primo: far costruire una sede appropriata incaricandone un grande architetto "moderno". Fu così che Frank Lloyd Wright disegnò e costruì l'edificio, tra il 1943 ed il 1959, monumento esemplare nel suo stesso esistere.
U. Boccioni "Dinamismo di un cavallo in corsa + case", 1914-15, guazzo, olio, legno, cartone, rame e ferro dipinto. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)U. Boccioni "Dinamismo di un cavallo in corsa+case"
Erano segnali che, per concludere, attestavano la nascita di un nuovo umanesimo, che veniva alla ribalta dalle terre degli States e che doveva presto diventare se non modello per l'Europa, almeno un esempio da intendere e da incarnare nelle singole nazioni avviate a riprendersi dopo la Seconda Guerra.
In tal senso, come avevano fatto i mecenati del Quattrocento italiano, cardinali o signori che siano stati, tra le finalità della fondazione vi fu, com'é tuttora, quella di incoraggiare il lavoro di giovani artisti di modo che, messi a confronto con le più significative testimonianze d'arte, ne esprimessero ed alimentassero nuove. Far sì, quindi, che persone così fatte nuove potessero trovare la propria vocazione.

Persone che, nel nostro caso, avevano come testi di riferimento opere fondamentali del linguaggio "moderno”, calate ed esposte in un'unità spaziale unica, in una sequenza temporale stringata che consentiva di documentare l'evoluzione del modo di vedere e di sentire dall'Impressionismo all'Espressionismo, alle Avanguardie: una sorta d'antologia della pittura e della scultura dal secondo Ottocento alla prima metà del Novecento.
Per dirla in breve, avrebbero potuto confrontarsi con Kandinskj, Klee, Picasso, Braque, Leger, Gris, Severini, Chagall, Mirò, Modigliani, Mondrian, Gabo, Calder, Archipenko, arrivando loro mediante le rivoluzionarie testimonianze di Manret, Degas, Van Gogh, Gauguin, Cézanne.
Dal medesimo imprinting, poi, la Raccolta Peggy Guggenheim a Venezia, allestita, però, con peculiari varianti ambientali.
Non un edificio fatto costruire apposta, ma una dignitosa dimora settecentesca:
Palazzo Venier dei Leoni, sulla riva destra del Canal Grande, progettata da Lorenzo Boschetti (1749), rimasta interrotta al piano terreno.
Un edificio servito da un magico giardino, immerso, poi, nella veramente straordinaria atmosfera di Venezia, irraggiungibile per la qualità della luce che tra le acque dei canali e l'aria del cielo trasfigura le opere degli artisti d'ogni tempo.
Infine, nella casa d'abitazione della fondatrice, con spazi tutti suoi.
Eppure questa Raccolta
costituisce il complesso più importante in Europa, che riunisce sistematicamente le testimonianze artistiche a partire dal 1910. Un'altra soglia sacra: l'anno nel quale venne alla luce, a Milano, il Manifesto dei pittori futuristi; si fondò, a Berlino, la rivista Sturm; Kandinskj dipinse il primo acquarello astratto; Nolde La Pentecoste; Delaunay La torre Eiffel; Leger espose i Nudi nella foresta e una grande mostra a Parigi celebrò Rouault.
Insomma la soglia al di là della quale le Avanguardie erano ormai pienamente consapevoli di aver superato la visibilità dell'arte ottocentesca verso quel modo di vedere ad occhi chiusi che Odilon Redon aveva indicato come via per attingere alla sensibilità moderna, col viatico delle fonti primarie: Van Gogh, Gauguin, Cézanne, Rousseau.

A. Modigliani "Ritratto del pittore Frank Haviland", 1914 olio su cartone. Collezione G. Mattioli (in deposito temporaneo presso la collezione Peggy Guggenheim, Venezia Più di trecento pezzi servono a testimoniare del Cubismo (Picasso, Braque, Gris, Archipenko); del Futurismo (Boccioni, Balla, Severini); dell'Astrattismo (Kandinskj, Malevic); del Dadaismo e del Surrealismo (De Chirico, Picabia, Ernst, Ray, Schwitters) oltre a una rilevante documentazione sull'arte astratta americana (Pollock, Still, Rothko, De Kooning), sull'arte del secondo Dopo guerra, senza dimenticare l'importante sezione delle sculture africane e dell'Oceania che sono state tappe fondamentali per scuotere il concetto del bello ed animare le "provocazioni” dell'arte del primo Novecento, a partire da Picasso nella elaborazione delle Demoilles d'Avignon.
Ed ora, dopo New York e Venezia, tocca a Varese.
Come nella città lagunare, anche da noi una splendida dimora settecentesca, con giardino di rare essenze e di misure illuministiche.

K- Malevich "Senza titolo", 1916 circa, olio su tela. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)Ancora: una casa di abitazione dei Panza, anch'essi mecenati di un progetto tante volte, ed ostinatamente, proposto, a partire dagli anni Settanta, alla comunità varesina, sempre messo in disparte e finalmente giunto in porto grazie alla fondamentale presenza del FAI.
Infine un Guggenheim locale, il conte Giuseppe Panza, la cui presenza ed il cui ruolo di protagonista sono garanzie di riuscita.
Ora che l'inquietante lezione dei due Guggenheim verrà accolta ed ascoltata a Varese, toccherà a noi di intenderla, considerarla con la dovuta maturità e farla crescere come prova provata di una sfida per la civiltà del Duemila.

09/04/2000

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