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Finanziaria di galleggiamento

Pressoché unanime il giudizio sulla Finanziaria 2004, ritenuta di piccolo cabotaggio. Finanziamenti a pioggia, entrate "una tantum" e riduzione degli stanziamenti per lo sviluppo.

Una manovra da 16 miliardi di euro, tra tagli e maggiori entrate, per ridurre il deficit pubblico nel 2004 al 2,2% del PIL. Prosegue dunque lo sforzo del governo di aggiustare la finanza dello Stato nel rispetto dei parametri di stabilità fissati a Maastricht. Uno sforzo che è in corso da anni e che assorbe notevoli quantità di risorse, in proporzione del resto alla profondità del "buco" che il nostro paese aveva scavato nei decenni scorsi. Un'autentica voragine, che impone maggiore severità di quella cui fanno ricorso altri paesi dell'Unione Europea e che spiega la ragione per la quale Francia e Germania si sono potute permettere di non rispettare quel patto senza venire censurate dalla presidenza di turno della Comunità, che guarda caso era italiana. Come dire: chi non ha colpe, scagli la prima pietra. Nonostante, tuttavia, l'intensità dello sforzo - che non è privo di conseguenze nella mancata ripresa economica italiana, in quanto assorbe una grande quantità di liquidità sottraendola ai consumi - siamo ancora al di sotto del punto di pareggio tra entrate e uscite. Continuiamo anno dopo anno ad accumulare deficit su deficit, ancorché l'entità di quest'ultimo si stia per fortuna assottigliando.
Ecco allora il perché di una Finanziaria che è stata definita debole, di piccolo cabotaggio, di galleggiamento, priva di coraggio. Sul piano "culturale" ne sono derivate due tesi, che potranno essere fatte valere peraltro solo a partire dall'anno prossimo e sempre che si riesca a farle condividere su un altro piano, quello politico, che riserva, come noto, difficoltà neppure paragonabili a quelle rintracciabili nel confronto sulle idee e sui principi. La prima tesi è che le spese per lo sviluppo - ossia gli investimenti in grandi opere - dovrebbero esulare dal patto di stabilità. Vedremo che cosa ne penserà l'Unione Europea. La seconda è che la legge finanziaria dovrebbe essere sottratta al consueto "assalto alla diligenza"da parte dei gruppi parlamentari o dei singoli deputati e senatori. Una finanziaria, dunque, come ha affermato il ministro per gli Affari regionali Enrico La Loggia, sul modello USA: il testo presentato dal governo al parlamento non è emendabile e, se viene bocciato, il governo cade.
Ma - ci si domanda - si poteva fare di più? Probabilmente sì. Due terzi dei 16 miliardi della manovra provengono (meglio sarebbe dire proverranno, se proverranno) da interventi una tantum come il condono edilizio e quello fiscale (esteso ai redditi anche del 2002). Interventi che si sperava di non rivedere più perché non risolutivi e, soprattutto, perché diseducativi, destinati a premiare i furbi e a penalizzare chi si è comportato onestamente. Oltre a questi interventi di corto respiro, sono ricomparsi i soliti aumenti delle imposte su alcolici, tabacchi, benzina, la rivalutazione onerosa dei cespiti aziendali, l'aumento del 10% delle rendite catastali. Ciò che appare però discutibile non è tanto la mancanza di fantasia nel ricorrere alle fonti di entrata, quanto la mancanza di coraggio nell'incidere in maniera strutturale sulla spesa corrente, oltre che nel resistere a richieste di ripianare falle nei bilanci di vari enti pubblici, che contrastano in modo stridente con la necessità di destinare risorse là dove ci sono esigenze da colmare nel campo, ad esempio, delle infrastrutture di trasporto o del risanamento idrogeologico. E anche questa Finanziaria, come le precedenti, è piena di stanziamenti a pioggia per una lunghissima serie di istituzioni, enti, fondi, tutti meritevoli di attenzione ma anche tutti in dovere di imparare a far quadrare i propri conti senza attendere il solito rimborso a pié di lista (come nel caso della sanità della regione Lazio, tanto per fare un esempio).
La fiducia posta, a più riprese, dal governo durante l'approvazione della legge non è dunque servita completamente a bloccare le istanze particolaristiche e l'impianto della Finanziaria, già scarsamente incisivo nella sua formulazione originaria, ha accentuato tale impronta nella versione definitiva. Così, sono stati, ad esempio, ridotti di circa 35 milioni di euro i finanziamenti ad un settore trainante come quello delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, mentre i fondi per rifinanziare la ricerca saranno probabilmente sufficienti a coprire soltanto le domande già presentate. Allo stesso modo, sono stati ridotti da 125 milioni di euro per il prossimo triennio a 75 milioni di euro i fondi per la campagna di promozione straordinaria del made in Italy e, soprattutto, sono state ridotte di circa 600 milioni di euro le nuove risorse per le grandi infrastrutture (quelle della cosiddetta "legge obiettivo") che nel disegno di legge originario erano previste in circa 5 miliardi di euro per il biennio 2005-2006.
Il continuo rinvio del potenziamento delle infrastrutture avrà conseguenze pesanti per l'economia. La Federazione delle associazioni industriali della Lombardia (Confindustria Lombardia), in un recente convegno, ha reso noto che, sulla base di simulazioni effettuate dall'Osservatorio Infrastrutturale per il Nord Ovest:

  • la mancata realizzazione del collegamento ferroviario al nuovo tunnel del Gottardo, che gli svizzeri completeranno entro il 2014, comporterà per il Nord Ovest costi di 2.367 milioni di euro, 2.356 dei quali per mancata crescita del PIL;
  • un solo anno di ritardo nella realizzazione della linea ad Alta Capacità ferroviaria Torino-Milano, dal 2007 al 2008, comporterà una perdita economica per il Nord Ovest di circa 233 milioni di euro;
  • la realizzazione del tunnel del Frejus sulla linea ferroviaria Lione-Torino nel 2015, anziché nel 2013, provocherebbe una perdita economica per il Nord Ovest di 1.261 milioni di euro;
  • la realizzazione del Terzo Valico ferroviario sulla linea Milano-Genova dal 2010 al 2013 comporterà una perdita di benefici per il Nord Ovest di 415 milioni di euro.
Giunto a metà del proprio cammino, il governo è atteso ad una prova decisiva: quella di saper mantenere la promessa di una politica non di sopravvivenza, ma di cambiamento.

Per le imprese arriva l'Ires

L'Ires, la nuova imposta sul reddito delle società, in vigore dal 1° gennaio 2004, reintroduce un sistema impositivo ad aliquota unica, nella misura del 33% (un punto percentuale in meno rispetto alla precedente Irpeg) eliminando la tassazione duale che veniva realizzata attraverso la dual income tax e sopprimendo l'imposta sostitutiva sulle operazioni di riorganizzazione delle attività produttive. La nuova imposta è articolata sulla base di alcuni principi che ispirano questa nuova riforma del reddito d'impresa:
  • introduzione dell'opzione di tassazione del reddito a livello di gruppo societario (consolidato nazionale e consolidato mondiale);
  • eliminazione delle interferenze fiscali sul bilancio civilistico (coordinamento del sistema fiscale con la recente riforma del diritto societario);
  • detassazione per le società di capitali del 95% dei dividendi incassati;
  • detassazione delle plusvalenze realizzate su partecipazioni sociali immobilizzate (participation exemption) e la simmetrica indeducibilità delle minusvalenze e degli altri costi relativi a tali partecipazioni;
  • limitazione della deducibilità degli oneri finanziari, soprattutto quelli legati ai finanziamenti dei soci (thin capitalization).

01/15/2004

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