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Da mercanti a manifatturieri

Un nuovo saggio sulla storia dell'industria tessile lungo le rive dell'Olona, nella prima metà dell'Ottocento, mostra come il progresso dell'attività produttiva fosse andato di pari passo con l'allargamento della rete commerciale. Una sfida anche per l'oggi.

Sala telai, Cotonificio Cantoni di CastellanzaIn principio era il mercante, poi è venuto il produttore. E' uno degli aspetti più interessanti che si ricava da un nuovo saggio sulla storia dell'industria tessile locale scritto da Silvia A. Conca Messina, ricercatrice dell'Università degli Studi di Milano, intitolato “Cotone e imprese. Commerci, credito e tecnologie nell'età dei mercanti- industriali. Valle Olona 1815-1860” (Marsilio Editore), dedicato alla ricostruzione della fase storica che segnò il passaggio dalla proto-industria tessile nel Bustese e Gallaratese all'industria vera e propria. La tesi di fondo della ricercatrice è che il sistema di fabbrica è nato e si è strutturato al servizio delle case di commercio. In quell'epoca una nuova filatura meccanica avrebbe avuto, nella generalità dei casi, solo due possibilità per consolidarsi: o essere di proprietà di una ditta di mercanti-manifattori che aveva organizzato una propria struttura commerciale sufficientemente ampia; oppure ritagliarsi uno spazio affidandosi a un grosso mercante in grado di collocare le produzioni. L'obiettivo delle strategie delle imprese che guidavano il comparto era l'allargamento dello smercio e l'erezione di nuove fabbriche avveniva dunque in funzione dell'ampliamento delle strutture commerciali.
Il volume racconta anche di impresa a rete, impresa incubatrice, azienda-famiglia, autofinanziamento. Sono termini che, presi a prestito dal linguaggio degli economisti di oggi, identificano la presenza, già nella prima metà dell'Ottocento, di una realtà con le tipiche caratterizzazioni del distretto produttivo. Come dire che quell'area ha mantenuto, a distanza di quasi due secoli, un'impronta che, per essere rimasta tale, è da considerare evidentemente come la chiave del suo successo.
Che si sia trattato di successo lo dice non solo la storia successiva, quella del Novecento fino ai giorni nostri, ma lo evidenziano già i dati di quegli stessi anni: la filatura di cotone nella valle dell'Olona, con gli stabilimenti Borgomaneri, Cantoni, Candiani, Turati e Radice, Ponti, Ferrario e Ottolini, Schoch, Amman, ecc., passa dai 21.000 fusi del 1836 ai 50.000 del 1844, anzi 70.000 se si considerano gli opifici collegati come quelli dei Borghi a Varano, Ponti a Gallarate, Krumm a Carate Brianza. Un insieme di attività che rappresentava i 7/10 dell'intera industria di filatura lombarda, sorta sull'onda di intraprendenti commercianti che, come detto, iniziarono a soddisfare il fabbisogno della propria attività di intermediazione facendo produrre in proprio, dapprima avvalendosi della vasta rete di contadini-tessitori e successivamente, ma con molta gradualità, concentrando le produzioni negli opifici. Questi ultimi, ricavati in un primo momento nei mulini presenti lungo il fiume per sfruttare la forza motrice dell'acqua; poi in capannoni sempre più grandi e sempre più simili a quelli che ancora oggi punteggiano l'Olona, da Castiglione a Legnano. E che testimoniano il continuum di un'esperienza socio-economica che ritroviamo ancora oggi nei tratti del “distretto”. Eccoli.
Impresa a rete. Prendendo ad esempio la ditta Turati, l'autrice evidenzia come l'azienda occupasse una posizione di impresa-guida, che coordina e controlla i flussi della materia prima e la produzione esercitando, col sistema del “lavoro a fattura” e con contratti di fornitura esclusiva, un indubbio condizionamento sulle scelte di molte imprese cotoniere. Il vantaggio era reciproco: coordinando una rete commerciale-industriale estremamente flessibile, nei periodi di espansione del mercato l'impresa committente ampliava i propri “confini organizzativi” senza essere costretta, entro un certo limite, a impegnare grossi capitali in immobilizzazioni e, se necessario, poteva ammortizzare per tempo le congiunture negative variando accordi e ordinativi. Gli opifici dell'indotto, dal canto loro, lavorando su commessa e assicurandosi contemporaneamente la fornitura del cotone sodo a un prezzo determinato, trovavano un partner affidabile e duraturo e un acquirente certo per il proprio prodotto.
Impresa incubatrice. Da un'azienda madre venivano gemmate aziende figlie sia per lo spirito imprenditoriale che animava i propri dipendenti, sia a volte dietro la spinta dello stesso imprenditore. Ancora riprendendo il caso. Turati, il volume informa che, dopo il trasferimento dell'impresa a Milano, egli assegnò un'ampia autonomia gestionale ai propri collaboratori incentivandoli attraverso una forma di “cointeressamento” e di retribuzione variabile, fondata sull'assegnazione di una responsabilità ben remunerata in proporzione ai risultati raggiunti dall'azienda nel suo insieme. In tal modo, l'impresa Turati ha funzionato da incubatrice, dando un importante contributo alla prima formazione di personalità di spicco della classe imprenditoriale della seconda metà dell'Ottocento.
Azienda-famiglia. Il riferimento, in questo caso è alla ditta Candiani, la cui organizzazione, con la precisa distribuzione dei compiti e delle responsabilità, l'attenzione meticolosa alle più importanti eventualità al fine di non arrestare lo svolgimento degli affari dell'impresa, sembravano differenziarla dalle aziende familiari, che presentavano solitamente assetti organizzativi scarsamente formalizzati. E' difficile determinare la natura dei rapporti quotidiani tra i soci-fratelli, ma la commistione tra impresa e famiglia sembra mettere al primo posto - probabilmente a causa dell'elevato numero di cointeressati - il primo dei due termini, cioè l'impresa.
Autofinanziamento. Distratte molte risorse verso la rendita pubblica, assenti i mercanti di banca e seta, le attività industriali e l'espansione commerciale del comparto cotoniero lombardo erano finanziate dalle stesse imprese di manifattura e commercio ricorrendo all'autofinanziamento, alle reti locali e, soprattutto, ai crediti di commercio dei fornitori. Concedere un credito era un rischio necessario, verificabile (tutti si conoscevano bene), vantaggioso finanziariamente e con rischi relativi poiché l'affidabilità del debitore e del suo patrimonio erano ben noti. Il credito commerciale era spesso subordinato a contratti di fornitura periodica (semestrali o annuali). Ciò probabilmente aiuta a spiegare la stabilità dell'industria cotoniera lombarda, che, persino nei casi di fallimenti, evitava quelle ripercussioni a catena che rappresentavano il rischio maggiore. Anche quando una fabbrica rischiava la chiusura, in realtà si trattava quasi sempre di imprese ancora solide e con prospettive di sviluppo: in effetti, erano quasi sempre rilanciate dai nuovi proprietari.
Questi ed altri elementi - l'origine dei protagonisti, la successione cronologica delle vicende imprenditoriali, la trasmissione della tecnologia, le strategie delle singole aziende e i loro rapporti gerarchici - portano alla luce sistemi di relazione tra le imprese molto complessi. Il coraggio, poi, nell'intraprendere direttamente l'importazione del cotone dagli Stati Uniti (anziché, come in precedenza, dal Levante) e di effettuare investimenti importanti anche nelle infrastrutture (si pensi alle cosiddette strade ipposidre), mostrano figure di imprenditori che smentiscono talune rappresentazioni degli imprenditori lombardi avversi al rischio, desiderosi di riposo e di liberarsi di ogni preoccupazione.

02/25/2005

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