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Una moto prima attrice

"Il selvaggio", "La grande fuga", "Easy Rider" hanno celebrato le due ruote come simbolo di libertà.

La motocicletta, in particolare nel periodo che va dal 1954 al 1969, è stata spesso protagonista al cinema.
Nel quindicennio preso in considerazione, i tre momenti "sulle due ruote" più importanti restano indubbiamente "Il selvaggio" (1954), "La grande fuga" (1963) e "Easy Rider", appunto del 1969.
Il primo dei film citati, per la regia di Laslo Benedek, si apre con una delle scene più inquietanti (per il vero, il seguito non è allo stesso livello) della storia del cinema hollywoodiano: la banda di teppisti, autodefinitasi "Black Angels", sotto la guida di Marlon Brando, avanza su una strada asfaltata della California come un minaccioso squadrone di cavalieri teutonici.
Il secondo, diretto dal grande John Sturges, propone alla guida della moto lo spericolato Steve McQueen che, anche nella vita reale, era un vero amante delle due ruote.
Mitiche ed indimenticabili le sue evoluzioni alla ricerca della libertà inseguito della Gestapo. Ricordo che la pellicola in questione racconta il tentativo di fuga da un campo di concentramento tedesco da parte di un buon numero di militari di varie nazionalità appartenenti alla truppe alleate.
scena del film "Easy Rider"Il terzo - per la regia del coprotagonista (con Peter Fonda e Jack Nicholson) Dennis Hopper - vede la motocicletta assurgere a vero simbolo di indipendenza, tant’è che nel cruento finale, quando un "cacciatore di uomini" a bordo di un camion uccide sia Fonda che Hopper a fucilate - a significare che gli esseri umani fondamentalmente rifiutano chi aspira davvero ad essere libero - quel che brucia sull’asfalto è proprio una moto.
Essendo io, peraltro, abbastanza refrattario alle due ruote e convinto che sia molto più stabile un veicolo che ne conti almeno tre, da sempre, amo i sidecar.
Anche questo strano aggeggio è stato immortalato molte volte sul grande schermo.
In particolare, in Italia, nel bel film di Luciano Salce "Il Federale" (1961) che propone un impagabile Ugo Tognazzi il quale, finalmente, lascia le macchiette dell’avanspettacolo per disegnare un personaggio a tutto tondo, e, in America, nel dimenticatissimo e splendido "Ero uno sposo di guerra" (1949), di Howard Hawks, pellicola nella quale Cary Grant raggiunge il vertice del suo istrionismo ben temperato accanto ad una sfavillante e travolgente Ann Sheridan.

02/15/2001

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