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Piano Energetico per l'Italia? E quando mai…

L'attuale crisi energetica ripropone il tema del Piano Energetico Nazionale. Quello elaborato nel 1988…

“Scopo della politica energetica è assicurare al Paese la disponibilità di energia nella quantità e qualità necessaria, vale a dire nel rispetto dell'ambiente e in condizioni di competitività dei prezzi finali in relazione alla concorrenza internazionale, assicurando per quanto possibile la stabilità dei prezzi”.
Bello, vero?
Forse, un po' zoppicante nell'italiano; ma – si sa – la chiarezza e la linearità linguistica spesso fanno difetto nel linguaggio burocratese.

Certo, perché la frase riportata sopra non è altro che l'introduzione al capitolo dedicato ai cinque obiettivi per l'immediato futuro del Piano Energetico Nazionale elaborato nell'ormai lontano 1988 da un pomposo Comitato Tecnico per l'Energia sotto la presidenza dell'allora Ministro dell'Industria Adolfo Battaglia e approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 agosto di quello stesso anno.

Un Piano Energetico Nazionale, dunque. Peccato che sia rimasto del tutto “lettera morta”: una novantina di pagine - fitte, fitte e piene di dati e grafici – che oggi, forse, si possono trovare in qualche biblioteca specializzata.

Uno spreco di risorse intellettuali, insomma. Tanto più che dall'analisi espressa in quel volume sarebbero dovute emergere le modalità per garantire al Paese proprio le risorse – in questo caso energetiche – indispensabili per lo sviluppo dell'economia e del benessere collettivo.

“La mancanza di materie prime, la vocazione manifatturiera del nostro Paese, la conseguente elevata dipendenza dalle esportazioni e la crescente competizione su mercati sempre più aperti, pongono l'esigenza di garantire la concorrenzialità del sistema economico italiano. Affinché questo obiettivo possa essere raggiunto, è necessario assicurare che i costi dei fattori impiegati nella produzione non siano superiori a quelli dei nostri concorrenti: in primo luogo l'energia, con un impiego diffuso orizzontalmente in tutto il sistema economico”.

Indovinato? Sono sempre parole di quel famoso Piano Energetico Nazionale del 1988, il primo, e ultimo, elaborato in Italia. Provate a chiedere a qualche imprenditore se è vero che oggi il costo dell'energia in Italia è inferiore a quello dei suoi concorrenti sui mercati europei…

Ma quali sono i cinque obiettivi individuati dal Piano? In primo luogo, il risparmio dell'energia “inteso non come compressione dello sviluppo, ma come efficienza nell'uso dell'energia… con i relativi effetti positivi sull'ambiente”. E, infatti, il secondo obiettivo è proprio quello della protezione ambientale “considerata non come vincolo, ma al contrario come un obiettivo della politica energetica”. Il terzo è, poi, quello dello sviluppo delle risorse nazionali “con l'incremento delle risorse di combustibili fossili”.

Il Piano del 1988 prosegue indicando come quarto punto la necessità della diversificazione nell'uso delle varie fonti e quella della diversificazione geografica e politica delle aree d'approvigionamento. Quinto e ultimo obiettivo è, infine, quello della competitività complessiva del sistema produttivo italiano.

Fin qui a livello nazionale. Per quanto riguarda, invece, gli enti locali, a che punto siamo nella programmazione della politica energetica? Qualche competenza, in verità, è stata attribuita a Regioni e Province sulla base del Decreto Bassanini del 31 marzo 1998.

I risultati, peraltro, devono ancora venire. Il Piano Energetico della Regione Lombardia è in elaborazione: la scadenza per la sua approvazione è fissata per il 2001.
Per quanto riguarda l'elaborazione, si sa che il Piano è stato suddiviso in due parti. Quella relativa alle fonti rinnovabili è stata assegnata alla
rete Punto Energia (costituita ormai in buona parte delle province lombarde), che avrebbe dovuto consegnare il suo lavoro entro la metà d'ottobre. Niente, al momento, è stato reso pubblico. Lo sviluppo della parte del Piano relativa, invece, a tutto ciò che è fonte non rinnovabile è stato affidato all'ENEA.

Fin dal febbraio di quest'anno, poi, l'Unione degli Industriali della Provincia di Varese ha contribuito alla predisposizione di un documento di Federlombardia (l'organismo che riunisce le Associazioni degli Industriali dei vari territori della nostra Regione), in cui si chiede che il Piano Energetico della Lombardia individui linee strategiche definite e coerenti con il massimo sviluppo del sistema.
“Affinché la liberalizzazione possa essere effettiva - si legge nel documento di Federlombardia - andrà valutata con attenzione la presenza di linee di trasmissione primarie e di centrali di produzione a servizio del territorio.
L'obiettivo che ci si deve porre è quello di assicurare la disponibilità, in loco, della quantità d'energia richiesta da un sistema sviluppato come quello lombardo.
Tale obiettivo andrà perseguito senza tralasciare alcuna forma d'iniziativa, sia essa legata alla realizzazione di nuove linee per il trasporto d'energia, oppure alla costruzione di nuove centrali produttive, o anche all'apertura alle forniture provenienti da territori confinanti”.

Insomma, visto che la Lombardia è una regione di confine, si pensi a potenziare le reti di trasporto energetico per aumentare l'importazione dai Paesi dove produrre energia costa meno.

E le Province? A loro la legge regionale n.1 del 2000 delega le funzioni relative al controllo sull'uso razionale dell'energia e all'adozione di programmi per la promozione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico. Sempre alle Province spettano, inoltre, l'attività di ricerca per lo sfruttamento delle risorse geotermiche locali, con l'attribuzione delle relative concessioni.
Al di là delle competenze nello specifico settore, viene peraltro spontaneo pensare ad un altro ambito, quello dello
smaltimento dei rifiuti. Qui le Province hanno attribuzioni più ampie e potrebbero utilmente giocarle in chiave energetica, con la cogenerazione.

11/06/2000

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