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Formazione manageriale in monastero

Strategie d’impresa insegnate in un luogo insolito, attraverso la rilettura della Regola di San Benedetto: un modo per riportare l’uomo al centro dei processi e i processi al servizio dell’uomo.


Ora et labora è la Regola Benedettina, che per secoli ci ha tramandato una cultura di spiritualità, senza disattendere la nobiltà del lavoro manuale. Una regola che non parla di schemi o di statistiche, ma solo di uomini che cercano insieme la perfezione, sostenendosi con il solo dono del silenzio e la forza dell’umiltà intorno ad un capo democraticamente eletto, l’abate del monastero.Che cosa hanno in comune la Regole Benedettina e il monastero con i manager e le imprese?
Da qualche anno un monaco inglese, Padre Dermot, che fino all’età di 46 anni è stato manager in un’impresa alimentare, per poi abbandonare tutto e diventare monaco, ha trovato nella Regola Benedettina uno strumento valido per la formazione dei manager, i quali oggi più che mai, di fronte ai rapidi cambiamenti imposti dalle leggi della globalizzazione e dall’avvento di nuove tecnologie, sembrano vivere un momento di incertezza.
Il modello di Padre Dermot è stato portato anche in Italia da Paolo Bianchi, esperto di formazione che dopo un soggiorno in un monastero e dopo aver conosciuto il monaco inglese, ha deciso di organizzare dei corsi che coniugassero diversificate tecniche tradizionali alla novità degli insegnamenti di Dermot.
Nella sua permanenza in monastero e da un’attenta lettura della Regola, Paolo Bianchi è rimasto colpito dal modo in cui i benedettini organizzano le loro giornate, dal modo in cui riescono a conciliare il lavoro con la preghiera; essi con la loro quotidianità, sono un esempio concreto dell’equilibrio tra lavoro pratico e crescita spirituale. E se ci pensiamo bene, non possiamo forse considerare San Benedetto da Norcia, vissuto nel VI secolo dopo Cristo, come il primo amministratore delegato della storia, che dirige il monastero secondo una precisa gerarchia, avendo sotto di sé il priore, che possiamo paragonare ad un direttore generale, il cellerario che opera come un direttore finanziario, il maestro dei novizi come un responsabile della formazione, i decani come dirigenti e così via fino ai settimanali o i lettori come funzionari di servizio? In fondo proprio a San Benedetto si deve la prima organizzazione gerarchica, con la precisa suddivisione dei compiti nei monasteri, a lui il primo trattato di management aziendale con la Santa Regola. E ai Benedettini si deve il fattivo contributo dato alla riorganizzazione del tessuto socio-economico nell’Alto Medioevo, in Europa, dopo lo sgretolamento dell’Impero Romano e le devastazioni dei barbari. A loro si deve la ripresa dell’agricoltura con tecniche di rotazione agraria, la bonifica di regioni insalubri, il sistema di irrigazione capillare in pianura padana, l’invenzione di nuove tecniche di vinificazione e di produzione della birra. Non per niente, San Benedetto è Patrono d’Europa.
E allora perché non formare i manager delle imprese in un luogo che sembra essere l’antesignano di tutte le imprese? La vita del monastero non è solo preghiera, insegna a darsi una regola esistenziale quotidiana, che consente di staccarsi dalle cose contingenti per potersi così concentrare su quelle necessarie, come la preghiera e il lavoro per i monaci, e come gli impegni quotidiani e le relazioni con gli altri per i manager. Inoltre la permanenza nel monastero obbliga a sviluppare un certo spirito di adattamento: niente sigarette, niente telefonini (in alcuni monasteri condivisione delle stanze e del bagno), riflessione durante i silenzi e i lavori manuali e per chi crede anche preghiera.
I corsi in monastero durano tre giorni e prevedono la partecipazione di cinque o sei persone al massimo, che si “rinchiudono” nel monastero e seguono tutte le regole dei monaci. Gli ospiti devono integrarsi nella vita del monastero, senza disturbare, c’è il tempo del lavoro manuale, quello dello studio in cui si insegnano le strategie d’impresa con i principi di San Benedetto, e il tempo della preghiera. La preghiera non è obbligatoria, chi non prega sta in silenzio e medita e il monastero ben si presta per meditare, è un luogo adatto per aiutare i manager a ritrovarsi in un’epoca di cambiamenti.
I corsi si sviluppano in tre momenti fondamentali: lo studio, la vita comunitaria e la vita lavorativa.
Il primo, lo studio è il momento formativo che prevede la trattazione di tematiche quali la conoscenza di sé nella leadership, il cambiamento, il problem solving, la comunicazione con un metodo completamente inusuale: attraverso la lettura, molto lenta, della Regola (Lectio Divina) i manager sono invitati a discutere e trarre insegnamenti. Durante i corsi, la Regola è il manuale di studio dei manager: essa è una fonte di spiritualità, ma soprattutto di indirizzi pratici e di indicazioni che, dalla gestione del monastero, possono essere, con tutti gli adattamenti del caso, traslate alla gestione delle imprese e delle risorse umane. “Fa tutto consigliandoti e a fatti compiuti non te ne pentirai” dice la Regola, e sembra quasi che questo insegnamento sia stato scritto per un manuale del perfetto dirigente, per consigliare al dirigente stesso di ascoltare di più i suoi collaboratori; oppure quando la Regola parla dell’Abate, dicendo che “deve guidare i discepoli con un duplice insegnamento: ai discepoli ricettivi deve spiegare a parole, a quelli più lenti a capire con le sue azioni” sembra un ottimo consiglio per un direttore del personale.
I partecipanti al corso però non imparano solo dai momenti d’aula, anche durante la vita comunitaria e durante il lavoro manuale possono trarre utili insegnamenti da applicare al loro ritorno in azienda. Durante i pasti sono chiamati al silenzio e alla meditazione, per una ricerca di sé, per imparare ad ascoltare gli altri e perché “mentre tocca al maestro parlare e insegnare, al discepolo convengono il tacere e l’ascoltare” monito più che mai attuale in un mondo in cui tutti vogliono solo insegnare.
Insomma un corso per aiutare i manager soprattutto a riflettere, a riconsiderare il proprio ruolo e le relazioni con gli altri, un metodo nuovo per cercare di riportare l’uomo al centro dei processi e i processi al servizio dell’uomo.

01/18/2002

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