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Dopo lo sciopero, riparte il dialogo (forse)

Dopo lo sciopero riparte la questione sulla riforma del mercato del lavoro. Toni meno aspri e una certezza condivisa: l'urgenza del rinnovamento


Lo sciopero generale del 16 aprile di Cgil, Cisl e Uil non ha fatto cambiare posizione alle parti impegnate in un braccio di ferro che oramai si trascina dall'autunno dell'anno scorso. Ma va sottolineato un segnale positivo, vale a dire un deciso abbassamento dei decibel di una polemica che poteva alimentare un pericoloso clima di rissa indice di uno scontro sociale più vasto. Per fortuna questo non si sta verificando e i protagonisti hanno ridotto i toni nella convinzione che interesse di tutti è trovare una via d'uscita a uno stallo che rischia di trascinarsi troppo tempo con inevitabili conseguenze negative per l'intera economia ancora alla ricerca di una solida ripresa.
Non a caso c'è già chi comincia a fare i conti della conflittualità (le ore perdute a causa dei conflitti nel primo trimestre 2002 sono cresciute del 584,9% rispetto allo stesso periodo del 2001) e a "pesare" gli effetti negativi sulla produzione e sul Pil.
La sera del 16 aprile appariva legittima la preoccupazione espressa nelle settimane precedenti lo sciopero da Savino Pezzotta: "Il vero problema - osservava il leader della Cisl - è cosa fare dopo lo sciopero generale". Il sindacato ha riproposto le "vecchie" condizioni per la ripresa del confronto, vale a dire la richiesta di togliere dal tavolo la riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Lo sciopero non ha fatto cambiare idea neanche al Governo che ha considerato irrinunciabile la riforma del mercato del lavoro di cui le nuove norme sui licenziamenti sono un "pezzo" di un'operazione di modernizzazione più complessiva.
Ma niente ultimatum: il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il Ministro del Welfare, Roberto Maroni, rilanciano il metodo del dialogo con le parti sociali per realizzare una marcia di avvicinamento al traguardo delle riforme. Come fare è ancora in discussione, ma intanto si comincia a puntare con maggior convinzione sulla questione degli ammortizzatori sociali, un argomento meno lacerante nei rapporti con le parti. Svelenire il clima e rilanciare un confronto a tutto campo (magari a tappe successive) rappresentano gli obiettivi immediati senza, però, accumulare ulteriori ritardi. Pochi giorni prima dello sciopero generale, il Presidente della Confindustria, Antonio D'Amato, aveva infatti lamentato - dalla tribuna delle Assise a Parma - un rallentamento del Governo sulla strada delle riforme. "La clessidra del tempo - aveva ammonito D'Amato - scorre inesorabilmente, la velocità dell'innovazione non può essere quella della politica italiana". Insomma c'è una sfasatura troppo forte tra l'esigenza del mondo produttivo di fare in fretta sul terreno della flessibilità, del fisco, delle liberalizzazioni e delle pensioni e l'andatura a cui è abituata la politica. Gli imprenditori, dunque, chiedono di accelerare per rendere il Paese più competitivo. Una sfida che ha costretto Berlusconi a promettere: "Non tireremo a campare".
La necessità di dare una sterzata è stata, nei giorni successivi, sollecitata da due rapporti a livello internazionale che - rivolti all'Italia - hanno lanciato lo stesso messaggio: accelerare le riforme perché la competitività è a rischio. Nel mirino sono ancora il mercato del lavoro e le pensioni. La prima raccomandazione arriva dalla Commissione Ue che nei Gope (Grandi orientamenti di politica economica 2002) ha ammonito: "Bisogna assicurare la piena attuazione del pacchetto di riforme del mercato del lavoro in modo da aumentare la flessibilità e promuovere una maggior adattabilità al posto di lavoro con l'obiettivo di facilitare l'accesso all'occupazione". I punti deboli indicati dalla Commissione Ue sono sempre gli stessi: forti squilibri territoriali, basso tasso d'impiego delle donne, elevata disoccupazione giovanile. Uno dei suggerimenti è di realizzare un sistema di contrattazione dei salari più decentrato per consentire una maggior differenziazione.
Stessa musica nel rapporto dell'Ocse: l'Italia non deve ritardare le riforme del mercato del lavoro altrimenti si rischia di vanificare anche gli sforzi fatti in passato. "Comunque - sottolineano gli esperti di Parigi - gli effetti delle riforme più recenti potrebbero indebolirsi e le resistenze interne possono ritardare l'implementazione dell'indispensabile prossima fase di riforme. A dispetto dello sviluppo dell'occupazione, il tasso d'impiego in Italia è ancora basso e al di sotto della media dei Paesi dell'euro".
E proprio questa situazione era descritta nel Libro bianco elaborato da Marco Biagi, assassinato a Bologna il 19 marzo dalle Brigate Rosse. L'urgenza di nuove regole è imposta dalla distanza del mercato del lavoro italiano rispetto ai concorrenti dell'Europa. Adesso tutti, ad esclusione della Cgil che ha guardato quel documento con una certo sospetto e una certa distanza, chiedono di ripartire dal Libro bianco per proseguire nel cammino verso una modernizzazione del mercato. I temi sul tappeto sono tanti e la soluzione dei singoli problemi può aiutare a raggiungere gli obiettivi. Collocamento, nuovi assetti contrattuali, flessibilità in entrata e uscita sul mercato del lavoro, revisione dell'attuale sistema degli ammortizzatori sociali: da qui bisogna cominciare. Una volta consumati tutti i riti (non ultimo quello di uno sciopero generale che mancava da vent'anni) è venuto il momento di riprendere il dialogo e di entrare realmente nel merito delle questioni, abbandonando pregiudiziali e slogan buoni soltanto per i propri iscritti, per centrare quelle riforme non più rinviabili per assicurare competitività al sistema-Italia.

05/09/2002

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