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A palazzo Bandera le "Visioni di un viaggiatore"

In mostra fino a fine febbraio le opere di Gaetano Pompa, seguendo un percorso intellettuale e artistico tra le opere dell'artista in una gran varietà e ricchezza di tecniche esecutive.

Nel 1973 Gaetano Pompa (1933-1998) espose le sue opere, alla galleria Rondanini di Mario Apolloni, in una mostra dal titolo "Visioni di un viaggiatore di altri tempi nel mondo di oggi". Ora, a cavallo tra il 2002 e il 2003 (fino al 28 febbraio) la città di Busto Arsizio dedica all'artista (con la collaborazione di ABB Industria) la prima antologica dopo la sua scomparsa. Aggirandosi tra le belle sale allestite nel palazzo della Fondazione Bandera, si ha, come prima impressione, proprio quella di compiere un lungo viaggio al seguito di una misteriosa, ma certo fantasiosa e ironica, guida. Le 140 opere di Pompa - dipinti, bronzi, maioliche, incisioni realizzate tra il 1960 e il 1996 - si rivelano infatti al visitatore, nel doppio percorso intellettuale e artistico della sua produzione, come "per incantamento", in un andare per mondi e tempi dagli indefiniti e sempre più remoti confini.
Quasi l'artista concedesse al visitatore il piacere d'intrufolarsi nel suo tempio creativo, o dietro le quinte del suo teatro, per osservarne i marchingegni, avvicinando il senso di una vita e di un'arte che suggeriscono infinite riflessioni, ma meglio sarebbe dire elucubrazioni: così si traduce del resto alla lettera il termine Mutmassungen, parola-chiave che rappresenta il fil rouge della mostra e che è anche operazione, ripetitiva fin quasi all'ossessione, fatta da Gaetano Pompa su stesso e sull'universale rappresentazione della vita e del mondo. Che cosa altro sta a significare quel libro di bronzo dal lungo titolo ("Mutmassungen dell'artista sopra la propria vita dall'ottobre 1958 all'ottobre 1978 raccontate a Dorothee") le cui pagine si possono sfogliare una per una, e che, anche per contenuto, è tra le più avvincenti sculture della mostra, se non la summa di una riflessione che s'apre e chiude guardando all'alfa e all'omega d'una esistenza d'artista?
C'è dunque almeno un doppio fascino nell'antologica e nell'arte fertilissima di Pompa: il fascino della possibilità di un'empatia, di una complicità immediata che lo stesso suscita nei confronti del visitatore e quello della riflessione sulla intangibilità del mistero. Un mistero, che è fondamentale elemento dell'arte di Pompa, che si fa continuamente scudo dietro gli ammiccamenti colti, o si sdrammatizza nell'ironia, o svia il visitatore, come le sirene di Ulisse, al seguito d'un ingannevole, poetico canto. Ma l'interesse dell'arte di Pompa, artista della Lucania nato a Fiorenza e romano d'adozione, ormai presente in molti musei del mondo (dal Moma di New York, all'Art Gallery of Toronto in Canada, dal Kunst Museum di Dusseldorf al John Herron Art Museum di Indianapolis, dai Musei vaticani al Museo d'arte Moderna di Genova) sta anche nella ricchezza, varietà e fantasia ch'egli ha saputo dispensare a piene mani nel suo lavoro.
Ricchezza di materia innanzitutto: nei tanti materiali usati, poveri come la creta, ma spesso preziosi, in primis l'oro, usato a profusione "come colore e come simbolo" e ricordo della "nobilissima scuola di Siena" che, raccontava, "tanto mi incantò quando ero giovanissimo". Ricchezza e varietà poi di tecniche: dalla scultura, alla pittura, alla maiolica, alle incisioni. Le sue incisioni, oltre che essere produzione separata della quale c'è ampia testimonianza nella mostra allestita a Busto Arsizio, entrano anche negli oli e nelle tecniche miste, impreziosendoli fino a debordare nelle cornici, il sui spazio è ancora occupato dalla sua mano d'artista. Ma c'era in Pompa anche grande ricchezza di ispirazione: nella varietà dei soggetti, negli infiniti riferimenti ai maestri della storia dell'arte, ma anche alla storia e alla cultura in senso lato. Pompa prende e osserva ovunque, viaggia e ripropone attraversando mondi e tempi lontani, nel tempo e nella geografia. Nella sua arte c'è il medioevo e c'è il futuro (seppur sempre celato dietro le antiche armature che paludano i suoi personaggi), c'è l'essenzialità dell'uomo contemporaneo e c'è il manierismo colto del miniaturista, c'è l'angoscia dell'Occidente e c'è la calma saggia della cultura d'Oriente. La sua produzione è stata e continua ad essere accostata all'arte raffinata di Pisanello, le sue insistite geometrie ricordano Paolo Uccello, così come l'ambientazione degli enigmatici personaggi conduce alle atmosfere metafisiche di De Chirico. Né mancano i rimandi letterari alla letteratura epica, ai romanzi cavallereschi, alla ricerca kafkiana, alla poetica di Pound, amatissimo da Pompa, che lo ha più volte celebrato in alcune tra le sue più raffinate opere. Una per tutte: il nono dai 10 quadri su una canzone di Ezra Pound, del 1960. Si tratta di una tecnica mista su tela - olio, creta, colla e tempera - che richiama, per la felice commistione di essenzialità e fantasia, a Mirò. Anche la musica è tra i temi fondamentali della ispirazione colta di Pompa, come è testimoniato in mostra da un'intera sala dedicata al tema. Pompa si diverte a proporre l'inebriante musica di Mozart e Stravinskij, così come quella intensamente vissuta nella passione degli uomini del jazz Cootie Williamas e Ray Brown, Lester Young e Bessy Smith. Li fissò, tutti quanti, in una gustosa serie di ritratti realizzati a china, acquerello e olio su carta nell'87. "La musica - spiegava l'artista - è stata sempre la compagna del mio lavoro fin dalla prima giovinezza. Interveniva quando la solitudine e il silenzio dello studio diventavano solidi".
Ma c'è anche, ricorrente in Pompa, la memoria dell'arte più antica, con il gusto per il mito e un interesse dichiarato per l'archeologia. Tarquinia e Roma, città nelle quali Pompa crebbe e studiò, gli hanno ispirato un profondo incanto per l'antichità, così come la Germania e Monaco di Baviera, dove visse dal 1958 al 1961 e incontrò la compagna della sua vita, Dorothea Leendertz, contribuirono a forgiare la sua cultura musicale e la sua attenzione per il gotico.
L'uomo protagonista dell'arte di Pompa è insomma un uomo universale, che non conosce confini culturali e di tempo e assomma e rappresenta in sé tutto il bene e il male del mondo. E dunque va sempre raccontato e rappresentato con l'ironia necessaria, sia Don Giovanni, maliziosamente visto in un giorno di riposo (1965), sia Papageno, imprigionato nella gabbia per uccelli, sia il simulacro di un cavaliere senza tempo, per metà santo, per metà guerriero.
Tra le novità la mostra di Busto Arsizio propone, accanto ai dipinti astratti degli anni Sessanta - quelli legati alla galleria romana l'Obelisco - anche la famosa Porta di bronzo, Mutmassungen dell'artista su se stesso, la Crocifissione, esposta alla IV Biennale di Parigi nel 1965, che tanto piacque a Malraux e, per la prima volta, il Trittico del 1964 in olio, tempera e oro.

Gaetano Pompa
Bronzi, dipinti, maioliche, incisioni dal 1960 al 1996
A cura di Guido Cerotti e Alberto Ganna
con la collaborazione di Adriano Pompa
Fondazione Bandera per l'Arte Busto Arsizio
Da martedì a domenica (fino al 28 febbraio):
10.00-12.30/15.30-19.00
Catalogo Nomos Edizioni - Busto Arsizio - con testi di Vittorio Sgarbi, Enzo Carli, Fortunato Bellonzi, Renzo Margonari

01/16/2003

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