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Com'è cambiata la geopolitica

I nuovi assetti dei rapporti internazionali. Com'è mutato il quadro della geopolitica mondiale.

Nel quadro dei rapporti transatlantici, la crisi irachena ha funzionato come "catalizzatore" di tendenze di mutamento emerse fin dalla seconda metà degli anni Novanta.
Si tratta, in primo luogo, del ridimensionamento dell'interesse geopolitico americano nell'Europa continentale. L'Europa è oggi soltanto una tra le quattro aree di "interesse vitale" individuate dall'attuale amministrazione americana. Le altre tre sono collocate sulla "piattaforma" continentale asiatica: si tratta, ai due estremi geografici del vasto continente, dell'Asia sud-occidentale (cioè del Golfo Persico) e dell'Asia nord-occidentale, con l'ampia fascia litorale imperniata sull'Oceano Indiano (cosiddetto East Asian Littoral) che funge da via di collegamento tra quei due sottosistemi regionali.
In secondo luogo, la cosiddetta "guerra al terrorismo", che è guerra di movimento e di anticipo, va portando con sé, almeno in certa misura, una crisi di funzionalità delle alleanze ad elevato grado di istituzionalizzazione (come la NATO). Aumenta invece il potenziale di efficienza strategica delle coalizioni ad hoc, costituite a seconda del perimetro geografico che si impone come fonte di instabilità/minaccia.
La crisi del rapporto transatlantico si è d'altronde risolta nella crisi del rapporto tra europei. Certamente, si è verificato un rafforzamento del "nucleo duro" franco-tedesco; e tuttavia l'instaurazione o riaffermazione di un "rapporto speciale" con gli USA è sembrata un'opzione politica remunerativa per quegli attori europei che sono tradizionalmente meno entusiasti dell'approfondimento del vincolo comunitario (come la Gran Bretagna), o che vedono nell'UE uno strumento strategico comunque insufficiente (si pensi ai futuri membri dell'UE in Europa orientale, tuttora preoccupati dall'egemonismo russo), o che sono semplicemente alla ricerca di status e "promozione" anche all'interno della stessa UE (si pensi alla Spagna).
La guerra avrà un impatto molto notevole anche sul mondo arabo. Già il conflitto del 1991 aveva evidenziato l'incapacità dei paesi arabi di garantire la sicurezza nella regione, sancendo la spaccatura, e la conseguente irrilevanza, della Lega Araba. La guerra all'Iraq del 2003 avrà effetti ancora più rilevanti. Molti paesi arabi sostengono infatti la guerra, ma lo fanno "clandestinamente": sono infatti soprattutto arabi i 15 stati che, secondo gli USA, fanno parte della "coalizione dei volonterosi" ma non vogliono essere nominati pubblicamente.
Si tratta di un sostegno altamente paradossale. Da una parte, i governi arabi non vogliono essere nominati perché conoscono l'ampiezza dell'opposizione popolare alla guerra. Dall'altra, s338 5337641ostengono la guerra sperando che non raggiunga gli obiettivi ad essa assegnati dai "neo-conservatori" statunitensi. Questi vedono la guerra come un grimaldello per diffondere la democrazia nei paesi arabi, una speranza condivisa da parte dell'élite intellettuale araba. Al contrario, le autocrazie arabe offrono il loro sostegno agli Stati Uniti sperando di mantenersi al potere. E' evidentemente una scommessa azzardata, il cui successo non è scontato.

03/27/2003

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