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Asparagi, lavarello o faraona?

Paolo Castellini, delegato di Varese-Busto Arsizio dell'Accademia Italiana della Cucina, sta lavorando al recupero dei piatti tipici varesini. Ecco le ipotesi più accreditate.

Paolo Castellini premia gli studenti della Scuola Alberghiera del Collegio De Filippi di VareseIl piatto tipico di Varese? Potrebbe essere il lavarello in carpione, fritto e coperto di verdure cotte in aceto e vino, un tipico modo di conservare il pesce sulle sponde dei nostri laghi quando non c'erano i frigoriferi (un po' come le veneziane sarde in saor). Oppure la zuppa di castagne, rape, porri e orzo, una ricetta contadina delle nostre valli, cucina povera dei secoli passati. O ancora, perché no?, la faraona alla creta, una ricetta assai diffusa nel Varesotto un tempo ricco di fornaci, dove gli operai usavano cuocere polli e volatili nei cocci della farinosa varietà di calcare.
Paolo Castellini, 67 anni, delegato di Varese-Busto Arsizio dell'Accademia Italiana della Cucina, è tra gli esperti che stanno lavorando all'idea di recuperare i piatti tipici della gastronomia varesina: "Qualche ipotesi c'è già, ma non voglio sbilanciarmi - spiega - diciamo che il filetto di pesce persico è forse più tipico del Lario. Così come l'ossobuco con il risotto è una specialità di Milano. Gli asparagi di Cantello? Sono troppo stagionali, la loro produzione dura appena due mesi. In ogni caso non c'è fretta, troveremo ciò che cerchiamo".
Castellini, raffinato gourmet e storico del cibo, proviene da una famiglia della buona borghesia milanese che ha dato all'Italia anche uno dei Mille, il maggiore dei bersaglieri Nicostrato Castellini. E' sposato, padre di tre figli (Vittorio, Roberta e Alex) e vive a Cerro di Laveno, a due passi dalla casa in cui una lapide ricorda che abitò Alessandro Manzoni.
INDIANA JONES
“Prima di diventare un Indiana Jones dei sapori e dei saperi gastronomici - spiega - mi sono occupato per quarant'anni dell'azienda di famiglia, la ditta tessile Braghenti di Malnate, in attività dai primi del '900, oggi Ratti di Como. Nei suoi anni d'oro, arrivò ad avere oltre 400 operai". Come imprenditore, nella sua attività associativa, fu uno degli esecutori della fusione fra l'Associazione degli Industriali della Provincia di Varese e l'Unione Bustese degli Industriali.
Poi è arrivato il momento di abbandonare le cariche operative e di dedicare maggior impegno nell'Accademia Italiana della Cucina. Nel 2002 ha sostituito ai vertici provinciali Vito Artioli, che per vent'anni era stato delegato di Varese e Busto Arsizio e che oggi coordina le delegazioni lombarde. Attualmente l'Accademia ha una trentina di accademici, professionisti, medici, avvocati, notai e imprenditori.
“In provincia di Varese non esiste un piatto tipico immedesimato con il territorio: poiché è importante che ci sia, stiamo lavorando insieme ad altri operatori del settore proprio per trovare una o più ricette, legate alla tradizione, che riescano a creare questa identità gastronomica del territorio".
SLOW FOOD
Quali caratteristiche debbono avere i piatti?
“Una cosa è certa, se devono essere tipici di Varese, è necessario partire da alcuni punti fermi: le ricette devono essere legate a una tradizione locale, non essere già il simbolo d'altre zone d'Italia, devono essere piatti graditi a tutti, non troppo stagionali e facili da eseguire, in casa, da ogni brava massaia".
Anche nel Varesotto c'è un rinascente interesse per i prodotti tipici…
“Sui prodotti tipici si fanno molte chiacchiere, forse troppe - spiega Castellini - e come in tutte le cose non bisogna esagerare. Slow Food, per esempio, che ha il grande merito di aver saputo creare questo interesse, promuove con fini commerciali anche prodotti talmente di nicchia che poi non si riescono a trovare sul mercato e finiscono per essere dei monumenti virtuali ad un prodotto che non c'è. Il ristorante che non ha il lardo di Colonnata o di Arnad si sente meschino, quando in Italia ci saranno decine e decine di “lardi" altrettanto squisiti: e la domanda concentrata fa lievitare i prezzi e fa aumentare le sofisticazioni e allora la campagna di promozione sfrenata non ha fatto bene ai destini della ristorazione".
I BRUSCITTI
I prodotti tipici del Varesotto, come per esempio i formaggi caprini delle Valli del Luinese, gli asparagi di Cantello, il vino del basso Verbano che si sta tentando di rilanciare, devono meritare il successo che hanno, non per una campagna mediatica, ma per una effettiva qualità, riconoscibilità e affidabilità del prodotto nel tempo e con quantità ragionevoli.
Per tenere vive le tradizioni gastronomiche, l'Accademia è spesso invitata a tenere conferenze presso varie istituzioni quali le Università della terza età, i Lyons, i Rotary, la Fidapa, l'associazione delle donne professioniste ed altre associazioni culturali locali. Collabora con l'istituto De Filippi, con le scuole alberghiere e organizza cene (per esempio in occasione della donazione al Comune di Varese dell'Opera del cuoco rinascimentale varesino Bartolomeo Scappi, nel febbraio 2004, in collaborazione con Palazzo Estense).
“Lo scorso anno - aggiunge il delegato - abbiamo ufficialmente codificato, davanti al Notaio e depositato in Camera di Commercio, la ricetta dei bruscitti insieme al Magistero di Busto Arsizio. Le cene sociali sono dedicate ad argomenti della tradizione come i funghi di primavera (le morchelle o spugnole), specialità costosissime, vere prelibatezze. Di recente abbiamo celebrato la cucina lombarda al castello Pusterla di Tradate. La prossima iniziativa? Una guida pratica alla raccolta e consumo delle erbe commestibili selvatiche per la quale contiamo sulla collaborazione dell'Università dell'Insubria".

Da Orio Vergani a Mc Donald's
L'Accademia Italiana della Cucina nacque nel 1953 per iniziativa di alcuni personaggi importanti della borghesia milanese, guidati da Orio Vergani, che vedevano una deriva pericolosa in Italia per il gusto della buona tavola. Allora non c'erano ancora i fast-food, l'invasione dei ristoranti cinesi e dei Mc Donald's, ma le tradizioni italiane già scricchiolavano e, per statuto, la nuova organizzazione si proponeva di difenderle.
L'Accademia riunisce persone di buona cultura accomunate dalla passione per la cucina e disposte a darsi da fare in questa direzione. Nel 2003, in occasione del cinquantenario di fondazione, è stata riconosciuta dal Ministero dei Beni Culturali come Istituzione Culturale della Repubblica Italiana, come le Accademie dei Lincei e della Crusca. Che cosa fa concretamente? Studia i problemi di gastronomia, fornisce pareri ad uffici ed associazioni pubbliche e private, promuove convegni e ricerche storiche e le divulga attraverso la propria rivista mensile e i libri: fra i tanti titoli, autentiche chicche come “A tavola nella Roma dei papi", “La cucina rinascimentale di corte", “Insubria a tavola" ecc. e si propone, fra le altre cose, di aiutare la pubblica opinione a conoscere quegli esercizi che offrono una certa garanzia di osservare la tradizione mediante la pubblicazione della “Guida ai ristoranti dell'Accademia".

03/31/2005

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