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Nella Rocca delle bambole

L'edificio fortificato di Angera, a picco sul Lago Maggiore, accoglie migliaia di bambole e oggetti che hanno in comune il tema del gioco e dell'infanzia. In esposizione anche preziosi e datati capi di abbigliamento infantile.

Tra le ultime arrivate è anche lei, la mitica Barbie, la bambola d'acciaio, come la chiama il curatore del museo, Marco Tosa. E come poteva non esserci la veterana delle ultime reclute, l'americanina dalla faccia omologata e dalle gambone palestrate che ha fatto sognare tante generazioni di bambine oramai cresciutelle o già signore? Accanto alle rigide antenate in legno e cartapesta, e alle romantiche pioniere di questa ormai fantastica reggia arroccata sul Verbano, le raffinate, elegantissime bambole in porcellana e biscuit, uscite dalle più prestigiose manifatture d'Europa - firmate Bru, Jumeau, Steiner, Gaultier, Montanari, Kammer & Reinhardt, Simon & Halbig - accanto alle morbide e famose Lenci di Torino, alle sussiegose francesi Petitcollin o alle tedesche Anili, contrassegnate dal marchio della tartaruga, la Barbie ha ottenuto il posto che le spetta anche qui, come di diritto le spetta nella storia del giocattolo. Certo guadagnato, come s'ha da fare oggi, anche a colpi di fatturato, di pubblicità e di una popolarità tutta giocata sull'apparenza, di lustrini e paillette e immagini di un comfort di cui la Barbie, nel suo sconfinato mondo di abiti, accessori, mobili e oggetti, s'è andata sempre più dotando. Sotto sotto però, ci rimane una convinzione rassicurante: che la omologatissima Barbie, nelle mani di ogni bambina, si fa "quella Barbie", di quella bambina, che, seguendo l'antico gioco, la sveste e riveste come piace a lei, magari disegnandole anche i baffi sulla faccia plasticata o sacrificandole la troppo colorata chioma, maltrattandola e amandola come ogni sana bambina sa fare, anche quando la bambola s'atteggia a smorfiosa. E' questo anche il senso di un museo che, pur presentando oggetti unici, da collezione, più che voler mettere in risalto la preziosità del giocattolo, punta a quella, ben più alta, del gioco.
Nato nel 1988 dalla passione di collezionista della principessa Borromeo e dalla competenza dello stesso Tosa, anch'egli collezionista, ma soprattutto esperto di storia del costume e di restauri - con esperienza maturata nel settore Moda a Palazzo Fortuny e nell'insegnamento del restauro di monumenti all'Accademia di Venezia - il museo doveva principalmente corrispondere, al suo nascere, alla necessità di ridare nuova vita all'antico maniero dei Borromeo. La scelta di puntare sulla bambola e sul mondo dei giocattoli, temi ai quali Bona Borromeo e Tosa s'andavano già da tempo appassionando, ha premiato le attese, creando l'auspicato rilancio della Rocca, ormai visitata da milioni di turisti e da migliaia di scolaresche: la bellezza del sito, a picco sul lago, è incomparabile, il passato del luogo altrettanto importante.
Da ormai quasi tre lustri la Rocca di Angera accoglie dunque tra le sue antiche mura il Museo della Bambola, diventato nel tempo anche Museo della Moda Infantile. In esposizione nelle sedici sale sono migliaia di: mobili, indumenti e servizi da tavola in miniatura, pupazzi, libri e giornali, giochi di pazienza, trenini, carillon, strumenti musicali in scala ridotta, passeggini, seggioloni e cavalli a dondolo. I materiali sono legno e latta, cartapesta e ceramica, stoffa e pelo, celluloide e plastica, e via dicendo. Donati da numerosi collezionisti, sono andati ad affiancarsi al nucleo iniziale di Bona Borromeo, lungo un percorso cronologico che dagli inizi del XIX secolo - ma qualche bambola data dal XVIII secolo, a volte da prima ancora - arriva fino all'oggi e si snoda per le sale del castello occupando, accanto al primitivo percorso, l'Ala Scaligera. Proprio quest'ultima ala del castello, ove è stato portato l'ingresso al museo, ha permesso di accogliere l'esposizione di preziosi e datati capi dell'abbigliamento infantile, arricchendo l'originario percorso museale di un nuovo, affascinante e parallelo percorso, con oggetti rari e inediti: molti, la maggior parte, sono di provenienza della stessa Casa Borromeo. Registriamo per i curiosi del costume e della moda: abiti da neonato in tela batista o in taffetas di seta con tanto di cuffia, scarpine in piqué bianco o di coppale lucido con fibbie in argento, lenzuolini e coperte riccamente ricamati, completi da battesimo ornati con trine e merletti, sontuosi abiti in raso e velluto, da cerimonia, per bambini importanti, un lussuoso abito da comunione del 1935 in organza di seta e pizzo Chantilly, guanti e borsette a forma di sacchetto in filet di cotone. La raccolta offre naturalmente un interessante spaccato sul mondo della moda del bambino che, aldilà dell'apparente frivolezza, è vera e propria storia dell'infanzia e della sua evoluzione: specchio di un mondo la cui regia è, nel bene e nel male, nelle mani degli adulti che governano la vita dei piccoli protagonisti di un microcosmo all'apparenza bello e fantastico, in realtà non sempre del tutto facile e felice. E che, soprattutto in passato e in certi ambienti, ha tenuto conto, più che delle esigenze dei bambini, delle regole o delle preferenze degli adulti, facendo prevalere quasi sempre, sulla praticità e sul bisogno di libertà del bambino, i canoni dell'estetica e la necessità di rappresentare un ruolo. Discorso che s'allarga naturalmente, all'intero mondo dell'infanzia e del gioco. Se il percorso museale offre l'incanto delle sempre nuove invenzioni di tecniche e materiali dei migliori artigiani mondiali del giocattolo (un'apposita sala è dedicata alle "bambole dal mondo") e rinnova il piacere, che tutti abbiamo provato, di certi giochi sempre esistiti - fare la mamma con carrozzina e biberon e modellini di case o cucine in miniatura, giocare al negozio, a tombola, o a "dire messa" - la vista di certe bambole vestite da suora o da prete, mentre suscita il sorriso, rievoca il ricordo triste della piccola Gertrude di manzoniana memoria che coccolava solo pigotte simili. E vecchie foto di bambine, precocemente impegnate nella fabbricazione di bambole, fanno pensare ai troppo giovani operai di certi paesi del terzo mondo, alle prese con palloni e pupazzi con cui non avranno mai modo di giocare.

Museo della Bambola
Angera (Va) - Via Alla Rocca
tel. 0331 931300 - fax 0331 932 883
dal 27 marzo al 31 ottobre
Orari: marzo-settembre: 9.30-12.30 e 14.00-18.00
ottobre: 9.30-12.30 e 14.00-17.00

I Leonardeschi

Il museo propone ogni anno una mostra a tema. Questa volta in esposizione nelle sale dell'Ala Borromeo sono
"I Leonardeschi". Si tratta di dieci costumi ispirati all'opera di Leonardo da Vinci, evocativi della quotidianità tipica della vita a corte nel Rinascimento. Restaurati per l'occasione, provengono dalle Collezioni d'Arte applicata del Castello Sforzesco di Milano e raffigurano sia alcuni tra i più celebri ritratti di Leonardo da Vinci, sia personaggi significativi per la storia del costume, derivati da disegni conservati alla Royal Collection di Windsor. Tra i ritratti celebri sono presentati quelli della "Dama dell'Ermellino", l'immortale dipinto di Cecilia Gallerani che Leonardo eseguì per Ludovico Sforza, e quello dello stesso Ludovico e della moglie Beatrice d'Este, con i figli Ercole Sforza e Cesare Gallerani, rappresentati come sono nella celebre Pala Sforzesca della Pinacoteca di Brera. Infine il notissimo "Musico", custodito alla pinacoteca Ambrosiana. Tra i personaggi della quotidianità il museo ha invece proposto "la figura di vecchio", "la danzatrice", "l' attore" e " il viandante". Gli abiti, realizzati sulla base di una meticolosa ricerca del costumista Piero Tosi, noto per aver lavorato con Luchino Visconti, sono opera della celebre sartoria teatrale artigiana di Umberto Tirelli di Roma, fornitori del mondo del cinema e del teatro e delle Collezioni della Galleria del Costume di Palazzo Pitti.

La Rocca

La Rocca angerese, sorta probabilmente sul sito di un'antica fortificazione romana, fu possesso arcivescovile a partire dall'XI secolo. Data la posizione di dominio sul territorio, favorita dall'alto sperone roccioso su cui era stata edificata, era possibile ai suoi possessori controllare i traffici e la navigazione sul lago. Di proprietà dei Visconti dalla seconda metà del '300 fino alla morte di Filippo Maria (1402-1447), fu da loro ampliata e abbellita, come si può ancora rilevare dagli affreschi conservati nella Sala detta della Giustizia o dello Zodiaco, al piano superiore dell'Ala Viscontea, nell'edificio più antico del complesso monumentale. Opera di autore ignoto del secolo successivo, gli affreschi raccontano con vivacità di colori e di ritmo la vittoria di Ottone su Napo Torriani e il rientro del vincitore. Che, smessi i panni del guerriero e recuperati quelli vescovili, pur mostrando ai vinti il volto della pietà (ma la storia dimostra che non fu proprio così), non dimentica tuttavia il suo nuovo ruolo di Signore di Milano: l'arrivo di Ottone è visto dall'artista quale tripudio di una popolazione festante e devota. Lo stesso pittore ha espresso la sua fantasia e il suo vivace gusto cromatico anche attraverso una teoria di pianeti e segni zodiacali, dipinti sulle lunette, e di motivi geometrici e di raffigurazioni mostruose o grottesche illustrati sulle volte della sala.
Nel 1499 il consiglio dei Novecento della repubblica Ambrosiana assegnò definitivamente la Rocca e la sua pieve a Vitaliano I Borromeo, che l'acquistò per 12.800 lire imperiali. Gli Sforza contestarono in seguito tale possesso e tentarono di ottenere la proprietà - facendo pressioni anche sulla vedova di Giovanni III Borromeo, Madonna Cleofe Pio di Carpi - con le maniere forti. Ma i Borromeo seppero ben resistere. L'attuale edificio consta di diversi corpi: la parte più antica è la torre, realizzata assieme alla cinta muraria dai Visconti tra la fine dell' XI e l'inizio del XIII secolo. Il piccolo palazzo denominato Ala Scaligera, in onore della moglie di Bernabò Visconti, risale anch'esso alla prima metà del XIII secolo. Della stessa epoca è la già citata Ala Viscontea, mentre la vicina torre fu edificata da Giovanni Visconti, durante il suo episcopato (1350 circa). L'ala più recente, cosiddetta dei Borromeo, al terzo livello, rimaneggiata in diverse riprese, cui si accede per il grande scalone, accoglie, dopo la galleria degli antenati, il Salone delle Cerimonie, con alcuni affreschi del palazzo milanese di piazza Borromei scampati ai bombardamenti del 1943, e la stanza da letto di San Carlo.
Nel Salone dei Fasti si celebra la gloria di Vitaliano Borromeo. Seguono le sale del Bon Romano, di Guido Reni, la Sala della Umilitas e uno spazio riservato alle esposizioni temporanee. Dalla Galleria degli antenati si accede anche alla Sala della Giustizia, e da lì, salendo per una piccola scala in legno, è possibile arrivare alla sommità della torre e godere di un panorama unico sul lago. Ai piedi della Rocca e al riparo delle sue spesse mura sono in vista i filari dell'uva, che da sempre i Borromeo coltivano per offrire il loro speciale vino agli ospiti. Il vecchio torchio secentesco, che s'incontra appena giunti al maniero, lo testimonia.

05/17/2001

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