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Arriva, arriva…è arrivato

Il "decreto Competitività" è stato finalmente varato ed ha come primario obiettivo dare una scossa alla nostra economia. La direzione presa sembra quella giusta. Ma sono poche le risorse in campo.

Il "Piano d'azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale", meglio conosciuto con il termine meno ampolloso di "decreto Competitività", è stato varato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 14 marzo per alcune disposizioni di carattere urgente e, per altre, rinviando ad un disegno di legge che seguirà il normale iter parlamentare e che dovrà vedersela con gli altri precedenti disegni di legge in coda, nei circa 70 giorni che, tolte le ferie e il tempo da dedicare alla sessione della prossima legge Finanziaria, rimangono per le votazioni d'aula prima della fine dell'attuale Legislatura.
Annunciato come "Collegato" alla Finanziaria 2005 per dare risposta a quell'esigenza (di cui i commentatori economici avevano iniziato a dibattere sulla stampa nell'agosto 2004) di dare una scossa alla nostra economia per farla uscire dalle secche, ci sono voluti un po' di mesi prima che il provvedimento del governo vedesse la luce. Alla fine è arrivato ed è stato giudicato un passo in avanti nella direzione giusta, quella di ridare competitività non solo al sistema produttivo, ma anche all'intero sistema-paese. Da qui alcune decisioni come quella di semplificare la vita dei cittadini nelle procedure di acquisto di auto e moto. E, ancor più, la possibilità di iniziare un'attività economica decorsi trenta giorni dalla presentazione della prescritta dichiarazione in base al principio del silenzio-assenso. Un taglio alla burocrazia che, comunque, non trova applicazione nei casi in cui entrino in gioco interessi "sensibili" come difesa, pubblica sicurezza, immigrazione, giustizia, finanze, salute pubblica, patrimonio culturale e paesaggistico, ambiente, oltre che per gli adempimenti comunitari. Un'altra novità che va nella direzione della semplificazione riguarda il diritto fallimentare: è stato dimezzato, da due anni ad un anno, il termine per la revocatoria, il che rende meno soggette a vincoli le operazioni nei confronti di imprese con problemi finanziari.
Poi, ci sono disposizioni indirizzate alla difesa del sistema produttivo e allo sviluppo, come l'inasprimento delle sanzioni per la lotta alla contraffazione: da mille a ventimila euro la multa per chi vende prodotti ingannevoli in merito all'origine o alla qualità delle merci, oltre ad una nuova sanzione pecuniaria fino a diecimila euro per chi, senza averne accertata la provenienza, acquista o intermedia merci che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti o quelle in materia di proprietà intellettuale.
Un'altra disposizione orientata allo sviluppo è quella che porta dal 25 al 49 per cento il limite di intervento partecipativo della Simest - la finanziaria pubblica per la creazione di imprese all'estero - nel capitale delle joint venture produttive. Per contenere la spinta a delocalizzare fuori dall'Italia le produzioni, è stato peraltro previsto che l'intervento di Simest sia subordinato al mantenimento in Italia della capacità produttiva. Sono stati previsti anche interventi per la diffusione delle tecnologie digitali nelle imprese, misure per lo sviluppo della produzione agricola, potenziamenti delle infrastrutture e altro ancora.
Un'altra novità è l'abrogazione della disposizione, introdotta nella Finanziaria 2005, che avrebbe portato a calcolare l'Ici anche su alcuni beni mobili per usi industriale, come turbine elettriche, carri-ponte e altri impianti. Si era trattato di un inasprimento tributario che, paradossalmente, andava nella direzione contraria all'esigenza della competitività. Invece, è rimasto l'aumento, anch'esso introdotto dalla Finanziaria, dei diritti per la registrazione dei brevetti. Il gettito stimato è di 1,2 milioni di euro e la richiesta di soppressione non ha potuto essere accolta proprio per motivi di finanza pubblica, il che dà la misura di quanto stretto sia il sentiero di manovra sul fronte fiscale.
Ciò spiega anche la ragione per la quale, in tema di incentivi all'aggregazione delle piccole imprese, per superare il cosiddetto "nanismo", è stato previsto un credito di imposta pari al cinquanta per cento delle spese di commercialista e notaio anziché, come ci si attendeva, un'agevolazione sul fronte della tassazione delle plusvalenze.
Del resto, la dotazione finanziaria per questa manovra sulla Competitività è modesta: circa 1,5 miliardi di euro in tre anni. Il fatto è che non ci sono risorse da mettere in campo. E ce ne saranno ancora meno se salterà l'Irap. Sembra infatti diventare consistente l'ipotesi di una bocciatura da parte della Corte di Giustizia Europea, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità dell'imposta con l'ordinamento comunitario. Con tale prospettiva, il premier Berlusconi ne ha subito annunciato la soppressione dal 1^ gennaio 2006 e il ministro dell'economia Siniscalco si è affrettato a dichiarare che sono già allo studio altri tributi per compensare il venir meno del gettito.
Le imprese guardano con estremo interesse a tale eventualità, dopo essere sempre state critiche nei confronti di un tributo definito una "tassa sugli occupati" che colpisce le imprese con un'impropria destinazione del gettito al finanziamento della Sanità. Che dovrebbe invece gravare sulla fiscalità generale.
Forse, per supplire al gettito dell'Irap, anziché pensare a nuove imposte, potrebbero essere ridotti gli aiuti al sistema produttivo, come aveva a suo tempo prefigurato Montezemolo nel giugno 2004 ("ad un euro in meno di incentivi deve corrispondere un euro in meno di Irap").
Forse, sarebbe un bene così. Più risorse potrebbero rimanere nella disponibilità delle imprese, le quali non avrebbero, probabilmente, molta nostalgia di quelle mezze misure agevolative che non sono certo decisive ai fini degli investimenti e che si sono spesso rivelate poco consistenti, una volta fatte le ripartizioni, per la numerosità dei soggetti richiedenti.
Anche questo aspetto fa parte, in fondo, dell'idea di uno Stato liberale nel senso più proprio del termine, meno burocratizzato, meno dirigista.

03/31/2005

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