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L'opinione: Aspettando Godot

Perché in Italia, qualunque sia il governo in carica, si fatica a fare riforme strutturali?

E' facile attribuire alla classe politica, ai partiti e ai politici di mestiere la responsabilità delle mancate riforme strutturali di cui l'Italia ha certamente bisogno. E, sicuramente, i politici di mestiere non hanno dato e non danno buona prova di se' nella formulazione e nell'attuazione di simili riforme. Però, quando si scopre che neppure gli imprenditori-fattisi-politici, i grandi tecnici e i professori riescono nell'impresa, appare opportuno cercare una spiegazione strutturale ovvero un ventaglio di spiegazioni strutturali alle mancate riforme.
La prima di queste spiegazioni si trova tutta interna alla dinamica politica e consiste nell'eterogeneità delle coalizioni di governo, non soltanto delle attuali Casa delle Libertà e Ulivo/centro-sinistra, costrette ad essere eterogenee dal sistema elettorale, ma anche, a suo tempo, delle tre coalizioni: centrismo, centro-sinistra e pentapartito.
Da coalizioni eterogenee, nelle quali ciascuna delle componenti protegge e promuove la sua identità, spesso rivolta, al passato, e specificità, non ci si può aspettare nessuna riforma strutturale che, per definizione, deve rompere con il passato e aprire ad un futuro non tutto conosciuto, non tutto prevedibile. Tuttavia, sarebbe sbagliato ritenere che i dirigenti politici e i partiti delle coalizioni di governo e d'opposizione abbiano agito e agiscano nel modo sopra descritto esclusivamente per egoismo e per autoreferenzialità, vale a dire che pensino soltanto ai loro interessi di breve periodo e corto respiro e li difendano. Paradossalmente, invece, oggi come ieri, i partiti più egoisti e più autoreferenziali sono i partiti che non si coalizzano e che mantengono un loro orgoglioso e presuntuoso isolamento. I partiti coalizzati spesso desiderano le riforme, ma debbano fare i conti sia con gli altri partiti della coalizione sia con il loro specifico elettorato. Proprio se e quando vogliono essere rappresentativi e attuare quello che ritengono sia il mandato ricevuto dal loro elettorato, si troveranno in difficoltà per due ragioni. La prima è che i costi delle riforme strutturali sono immediatamente visibili, mentre i vantaggi sono sempre collocati nel futuro e avrebbero bisogno di un elettorato, per così dire, presbite e paziente (che non punisca subito i partiti e i dirigenti riformatori). La seconda ragione è che la società italiana è, a sua volta, molto diversificata, molto frammentata, incapace di darsi un obiettivo mobilitante, restia a rischiare, molto propensa a chiedere ai suoi rappresentanti politici vantaggi immediati, anche clientelari.
Poiché, nonostante, pareri contrari, partiti e dirigenti conoscono la società italiana e l'elettorato che ne scaturisce, sono molto cauti nel proporre riforme strutturali che potrebbero avere dei contraccolpi sul loro seguito e sui loro voti: primum vivere deinde philosophari (cioè progettare riforme strutturali). Infine, quand'anche la coalizione fosse riuscita a conseguire una sua omogeneità su un progetto, quand'anche i partiti avessero deciso di guidare la società e di cercare di convincere il loro elettorato, anzi tutto l'elettorato che le riforme sono importanti, utili, vantaggiose e che daranno frutti in tempi relativamente brevi e che, governando per un paio di mandati, si potranno fare riforme davvero incisive, rimane il problema ovvero il labirinto dell'assetto istituzionale. Non siamo inglesi.
Il Presidente del Consiglio italiano non è un Primo ministro (inglese), ad esempio, non può minacciare e ottenere lo scioglimento del Parlamento per punire la sua riottosa maggioranza parlamentare o semplicemente i parlamentari indisciplinati e assenteisti. Nessun governante ha la certezza che il suo disegno di legge contenente riforme che, se sono strutturali, certamente scontentano qualcuno/molti, veleggerà nel mare di un sistema bicamerale paritario e confuso, senza essere stravolto dagli emendamenti, pervenendo alla riva dell'approvazione in tempi decenti e in condizioni accettabili.
Quand'anche fosse così, rimangono due ulteriori ostacoli. Il primo consiste nell'ormai probabile tira e molla fra governo centrale e governi regionali per acquisire competenze (senza pagarne, da parte delle regioni, l'inevitabile prezzo). Il secondo consiste nell'inadeguatezza complessiva, fatte salve alcune eccezioni, della burocrazia che rallenterà l'attuazione di qualsiasi riforma mentre, spesso, il ridotto tempo d'attuazione è cruciale per il successo delle riforme, e, poiché insicura a causa della sua non elevata e non aggiornata preparazione, si rifugerà in comportamenti difensivi (e magari d'ostacolo rispetto alle riforme e ai riformisti che non gradisce).
Di nuovo, non siamo inglesi.
Potremmo, però, diventarlo. Fino ad allora, le riforme strutturali (che, fra l'altro, ci consentirebbero di iniziare la nostra "anglicizzazione") saranno, se non del tutto impossibili, sicuramente molto, molto difficili e altrettanto rare. Per tutte queste ragioni, aspettare le riforme strutturali in Italia è come aspettare Godot.

09/25/2002

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