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L'antica tradizione dell'arte bianca

In provincia tre scuole gratuite e 390 panifici che producono 1.224 quintali di pane al giorno. Con un fitto calendario di feste, l'associazione dei panificatori raccoglie 15 mila euro l'anno per beneficienza.

Può essere arabo, al mais, alle noci, alle olive, alla cipolla, ai semi di sesamo, di cumino, di papavero, di finocchio e di girasole. Oppure a crosta soffice tipo biova e ciambella o piuttosto croccante, come il filone francese e la ciabatta. Che si venda nelle profumate panetterie d'una volta o nelle moderne e pretenziose "boutiques" delle grandi metropoli, Sua Maestà il pane è più che mai il re della tavola, dentro e fuori le pareti domestiche. Milioni d'italiani, infatti, pranzano a mezzogiorno con un veloce panino al bar.
Una recente indagine, realizzata da AcNielsen, spiega che gli italiani mangiano di preferenza il pane fresco durante i pasti principali (90,4%), ma è alta anche l'area di consumo fuori pasto (30,5%). Pochi invece mangiano biove e michette a colazione (17,4%). Varese vanta un'antica tradizione nell'arte bianca. I panifici in provincia sono 390 e producono 1.224 quintali di pane al giorno che, divisi per 816 mila abitanti, danno un consumo medio pro-capite di 150 grammi. Il pane non è un alimento caro, ma non si può dire che sia regalato: il costo medio dai nostri fornai è di 2,85 euro al kg. L'industria della pagnotta sviluppa un fatturato medio di 3.460.261 euro la settimana. In un anno, il giro d'affari è di 160 milioni di euro.
40 DIPLOMATI
Quello del panificatore è ancora un mestiere redditizio? Come si intraprende la professione e quanto costa aprire un forno? "Da vent'anni operano in provincia di Varese tre scuole professionali d'arte panaria e di pasticceria - spiega Giancarlo D'Agostino, direttore provinciale dell'associazione varesina - I corsi sono gratuiti. Nel capoluogo c'è il Centro di Formazione Professionale in via Monte Generoso gestito dalla Provincia, a Busto l'istituto Enaip è convenzionato con la Regione, così come la scuola Jalombardia a Saronno. Ad ogni biennio si diplomano una quarantina di allievi (70% panettieri, 30% pasticceri). E' difficile che i diplomati restino disoccupati: la metà di essi trova lavoro in provincia, un altro 20% in provincia di Como e di Milano. Aprire un forno costa 125-150 mila euro, senza contare gli affitti o la proprietà dei muri bisogna acquistare le attrezzature per preparare il pane (impastatrice, spezzatrice, tavoli di lavoro, cella di lievitazione ecc.). Una volta allestito il forno,
la professione richiede molto spirito di sacrificio, ma in cambio è abbastanza remunerativa. Il 30% dei forni ha un giro d'affari medio di 180 mila euro l'anno, il 50% di 350 mila, il 20% va oltre i 350 mila. Gli addetti alla produzione e alla vendita sono 1500 (più o meno la stessa percentuale tra uomini e donne), l'età media dei titolari è 45 anni".
CHI LO MANGIA
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è la michetta il pane più venduto in riva ai sette laghi. Due varesini su dieci acquistano il pane artigianale di grano duro, altrettanti il francese, appena uno su dieci la cara, vecchia michetta ("leggendaria" con il salame). Altri prodotti artigianali che vanno per la maggiore sono il pane di germogli di grano, ai cinque cereali, il pugliese e la baguette.
Non si lavora soltanto di notte. Due panifici su dieci continuano la produzione anche nella tarda mattinata, pane, pizza e focacce dalle 10 alle 11.30. L'orario di lavoro normalmente inizia alle 2.30 e va avanti fino alle 9.30. Otto panifici su dieci sono dotati di "ferma-lievitazione" (il pane è cotto il giorno successivo alla produzione). L'orario di vendita nei negozi è dalle 7 alle 19. Tutto il personale dipendente e i titolari frequentano i corsi di formazione previsti dalle leggi 626 sulla sicurezza e 155 sull'igiene-Haccp.
Il pane fa bene, su questo non ci sono dubbi. Ma a Varese fa anche… del bene. Con un fitto calendario di feste in piazza, l'associazione prealpina dei panificatori raccoglie qualcosa come 15 mila euro l'anno che versa in beneficienza. D'Agostino lo ammette con ritrosia: "Si è vero, abbiamo dato attrezzature e forni per fare il pane alla comunità Exodus di don Mazzi a Villadosia, all'associazione per la ricerca sul morbo di Alzheimer, alla comunità Gulliver di don Barban a Cantello e ad altri enti".
Ogni anno si svolgono sei, sette feste in piazza tra Varese, Luino, Saronno, Angera e Laveno Mombello. Tra le persone impegnate nelle feste, ci sono i volontari della notte (una ventina di panettieri che lavorano fuori orario per produrre il pane da mettere in offerta) e le "fornarine", una trentina di donne che si occupano della distribuzione. L'associazione è tradizionalmente presente alla Fiera di Varese, quest'anno con uno stand di 150 mq, due forni, laboratorio professionale e dieci ragazzi delle scuole di Varese e Saronno.

La michetta di Renzo Tramaglino? Non è più fatta "a regola d'arte"

Tutto o quasi come ai tempi di Renzo Tramaglino: il caro-pane, i milanesi esasperati, la città in subbuglio. Si è rischiata una "sollevazione manzoniana" la scorsa primavera in riva ai Navigli quando i panificatori hanno annunciato di voler aumentare il prezzo della michetta da 3,70 a 5 euro al chilo, con un ritocco del 35%. "E' il pane più caro d'Italia - ha protestato il Movimento dei consumatori - a Roma la rosetta (parente stretta della michetta) costa appena 1,90 euro al chilo". Unanime il coro dei lamenti, con le massaie e le associazioni a gridare allo scandalo. "L'aumento è necessario", si è difeso Antonio Marinoni, leader dei panificatori meneghini. Ma alla fine il rincaro non c'è stato.
La verità è che la michetta, il tipico pane dei lombardi, è in crisi. Negli ultimi dieci anni ha avuto un crollo dei consumi e di fatturato dal 40 al 10%. Troppo alti i costi di produzione. La michetta invecchia prima del pane fatto di grano duro. Non ha mollica, assorbe meno acqua e non si può congelare.
"Soprattutto - spiega il vicepresidente Angelo Canova - la michetta non è più fatta a regola d'arte come una volta. Il ciclo di produzione è lungo e richiede sacrificio. Bisogna incominciare a lavorare l'impasto-base di 50 kg di acqua, farina e lievito alle 9 del mattino e poi lasciarlo lievitare per 18 ore. Alle tre del mattino successivo, si procede al secondo impasto aggiungendo sale, malto, acqua e farina, si lascia riposare per un quarto d'ora e poi si taglia l'impasto in 37 pezzi da 55 grammi ciascuno. A questo punto la michetta viene stampata, girata sui telai, fatta riposare ancora per 40 minuti, rigirata sui telai e infine infornata a vapore tra 260 e 280 gradi. E' pronta dopo 18 minuti di cottura".
Un bel lavoro, non c'è che dire. Prepararla richiede professionalità, attrezzature e farine speciali. La resa è del 12-13%, cioè un quintale di farina rende appena 112 chili di michette (il pane di grano duro e le baguettes rendono invece il 15-18%). Il prezzo giusto è 2,6/2,9 euro al chilo.

09/25/2003

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