Varesefocus.
Unione degli Industriali della Provincia di Varese
Varesefocus

 
 

Una tassa sulla canna del gas

Valichi chiusi e melina francese, eco-punti austriaci, depotenziamento di Malpensa e ora anche l'idea di un dazio siciliano sul gasdotto che porta in Italia il gas algerino. Strani modi di concepire il federalismo con il risultato di isolare il Nord del Paese.

L'Italia ha perso 2,58 miliardi di euro in tre anni a causa della chiusura del traforo del Monte Bianco. Lo ha dichiarato il Ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi il giorno prima della riapertura del tunnel al traffico leggero, lo scorso 6 aprile. Un danno enorme per l'economia del nostro Paese, che già si profilava nelle conclusioni dell'indagine effettuata, nella primavera del 1999, dal Centro di ricerca sul management dei trasporti dell'Università Cattaneo, su commissione della società che gestisce il traforo. Il Frejus aveva assorbito il 98% del traffico merci che prima attraversava il Monte Bianco, con ricadute negative in termini di tempi di percorrenza e attese di circa due ore ai portali di ingresso. Calcolato sugli ultimi nove mesi del 1999 (l'incidente nel tunnel si era verificato il 24 marzo), l'aumento dei tempi di percorrenza era stato valutato in 45 milioni di chilometri, equivalenti a 3,4 milioni di ore.
I calcoli fatti da un altro centro studi, Prometeia, indicavano nel maggio 1999 in circa 240 miliardi di lire su base annua, la riduzione del Prodotto Interno Lordo in conseguenza dei maggiori costi di trasporto, a causa dell'allungamento dei tempi e dei percorsi e del conseguente incremento dei costi delle esportazioni e delle importazioni italiane. Allora, Prometeia aveva valutato in circa 1.000 miliardi di lire a prezzi 1999 la perdita complessiva su base annua derivante dalla somma tra gli effetti macroeconomici e gli effetti locali, quelli cioè subiti dalla Valle d'Aosta. In termini giornalieri, ogni giorno di chiusura del traforo del Monte Bianco sarebbe costato alla collettività circa 3 miliardi di lire. A conti fatti, i 2,58 miliardi di euro in tre anni indicati dal Ministro Lunardi hanno confermato quelle stime. Dal 6 aprile scorso il traforo è stato riaperto al traffico leggero, dall'8 aprile anche agli autocarri fino a 19 tonnellate, dal 13 maggio agli autocarri di peso superiore ma non a quelli muniti di rimorchio e agli autoarticolati. Finalmente, dal 25 giugno, in base agli accordi italo-francesi, la circolazione sarà libera con la sola eccezione dei mezzi che trasportano materiali pericolosi o inquinanti. Una riapertura a tappe che ha dovuto scontare le preoccupazioni del governo francese di fronte alle proteste degli ambientalisti e della popolazione del luogo. Riapertura sì, ma non prima delle elezioni presidenziali e dopo una melina durata parecchio tempo, risoltasi solo dopo la richiesta di intervento del Governo italiano al Commissario europeo ai trasporti Loyola de Palacio. Un atteggiamento, quello dei cugini d'oltralpe, che non è nuovo a manifestazioni improntate alla difesa degli interessi nazionali in contrasto con le regole della Comunità. Basti pensare ai comportamenti di Electricité de France, l'equivalente della nostra Enel, quando si è trattato di attuare la liberalizzazione del mercato dell'energia: disattendendo il principio di sussidiarietà, la privatizzazione è stata concepita come un'opportunità per acquisire quote di capitale di omologhe società estere in procinto di essere messe sul mercato. In questo, si deve peraltro riconoscere che la Francia ha fatto da apripista, perché l'esempio è stato subito seguito da Italia e Spagna e la circostanza pone qualche serio dubbio sulla coerenza tra le affermazioni di principio consacrate negli atti ufficiali dell'Unione Europea e le politiche che ogni Paese pratica poi in concreto. Uno strano modo di concepire e di costruire il federalismo.
Altrettanto strano, nell'immaginare e nell'attuare il federalismo, è qualche comportamento che riscontriamo anche in casa nostra. Per rimanere al teme dell'energia, ora che grazie alla riforma del titolo quinto della Costituzione la materia passa sotto le competenze regionali, pare che una Regione intenda interrare le linee elettriche. Bene. C'è da scommettere che qualcuno accrediterà la tesi che l'inquinamento elettromagnetico si sarà trasmesso ai tuberi lì coltivati, con conseguenti distorsioni del mercato ortofrutticolo. La notizia più curiosa viene, peraltro, dalla Regione Sicilia, che ha pensato di istituire una tassa sul gasdotto che porta in Italia il gas proveniente dall'Algeria. E' dubbio se l'iniziativa andrà in porto, anzi è verosimile che verrà accantonata. Non si è trattato peraltro di una semplice idea, ma di una decisione consacrata in una determinazione politica, l'ultima legge finanziaria regionale. Il fatto è comunque indicativo di un modo di pensare. Per il bilancio regionale la stima è stata di un introito di 124 milioni di euro all'anno, che andrebbero ad incidere in ragione di 0,5 euro per ogni metro cubo di gas consumato nella Penisola. Mascherato da tributo ambientale, il dazio sul tubo del gas potrebbe chiamarsi "tubatico" e sarebbe il degno erede - come ha argutamente ricordato Jacopo Giliberto su Il Sole 24 Ore - di altri numerosi balzelli inventati dalle baronie siciliane nei secoli scorsi: "focatico" (imposta sui focolari), "plateatico" (occupazione del suolo), "testatico" (imposta personale), "pontitico" (pedaggio per attraversare un ponte), "stradatico" (idem, per percorrere una strada), "fenestratico" (sul numero di finestre di casa). Il federalismo all'italiana rischia altri inconvenienti seri, come per la legislazione in materia di lavoro. Anche qui le attribuzioni sono state passate alle Regioni e, quando il Ministro del Welfare Maroni ha annunciato l'intenzione del Governo di introdurre delle riforme, alcuni presidenti di Regione hanno subito messo le mani avanti minacciando contro-riforme da attuarsi con successiva legislazione regionale. Che una volta veniva definita "concorrente" e che ora rischia di "concorrere" ad una nuova Babele del diritto e, forse ancor peggio, a determinare situazioni di disparità di trattamento tra cittadini e imprese, con distorsioni delle condizioni di concorrenza. In tutto ciò, sembra di poter cogliere un elemento che deve far riflettere.
Il caso prima ricordato del Monte Bianco non è stato purtroppo l'unico vincolo gravante sul sistema economico italiano e del Nord, in particolare. Durante la chiusura del traforo valdostano ci sono state chiusure temporanee per incidenti stradali del Gottardo, del Frejus e del San Bernardino. Il passaggio attraverso il Brennero e gli altri valichi di frontiera con l'Austria sconta i sovra-costi determinati dagli eco-punti. Il passaggio attraverso la Svizzera è ancora più costoso. A queste strozzature si è aggiunta la riduzione dei voli di Alitalia su Malpensa e il rischio, non ancora del tutto svanito, di un ridimensionamento del suo ruolo di aeroporto hub a vantaggio di Fiumicino.
Il sistema dei trasporti nell'Italia settentrionale - la parte più industrializzata del Paese, quella che ha maggiori necessità di collegamenti per via della più alta intensità degli scambi commerciali - è al limite del collasso con la rete esistente e ancor più soffrirà nell'immediato futuro per i ritardi nella realizzazione di opere progettate da tempo, come ad esempio la linea ferroviaria ad Alta Capacità lungo la direttrice Torino-Venezia. Come se non bastasse, per le grandi opere, quelle della cosiddetta legge Obiettivo, siamo ancora nella fase della definizione delle procedure e, per le opere minori, c'è, all'interno della buona notizia che i lavori stradali sono raddoppiati nel primo trimestre del 2002 rispetto allo stesso trimestre del 2001, la constatazione che la parte del leone la stanno facendo il Centro (+895% in valore) e il Sud con le isole (+ 108%), mentre al Nord si è registrata una diminuzione del 35%.
Stretto tra i minacciati balzelli siciliani e la barriera alpina, la parte più dinamica del Paese rischia un'erosione di competitività che il Paese, nel suo insieme, non può permettersi. E se a Palermo non ci pensano, ci pensino almeno a Roma. Ma ci devono pensare anche a Bruxelles.
Il federalismo non può essere inteso come un ritorno all'Italia dei cento campanili, né come un premio all'Europa dei furbi.

05/09/2002

Editoriale
Focus
Economia
Inchieste
L'opinione
Territorio

Politica
Vita associativa
Formazione
Case History
Università
Storia dell'industria
Natura
Arte
Cultura
Costume
Musei
In libreria
Abbonamenti
Pubblicità
Numeri precedenti

 
Inizio pagina  
   
Copyright Varesefocus
Unione degli Industriali della Provincia di Varese
another website made in univa