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Recuperare si può

Mentre il dibattito su come far tornare a correre la competitività dell'Italia si fa sempre più ricco e articolato, qualcosa, nel concreto, inizia a muoversi, a partire dalle proposte per ridurre il costo del lavoro. Ma le decisioni tardano.

La copertina di "The Economist"Cosa si pensa di fare per rimediare alle debolezze dell'economia italiana? Mentre "The Economist" ha bacchettato l'Italia definendola il "Vero malato d'Europa" e raffigurandola retta su due stampelle, il dibattito su come far correre la competitività si fa sempre più ricco e articolato, ma si snoda comunque attorno a due punti: tagliare i costi impropri che gravano sul sistema produttivo e mettere in moto interventi strutturali che abbiano effetti sul lungo periodo.
Sul primo punto, da settimane il dibattito era ruotato intorno alla necessità di alleggerire il costo del lavoro eliminando l'Irap, un'imposta il cui gettito va a finanziare il servizio sanitario nazionale (che dovrebbe invece gravare sulla fiscalità generale) e che la Corte di Giustizia Europea sta per bocciare considerandola non compatibile con l'ordinamento della Comunità. Tutti d'accordo, sembrava. Fino al giorno in cui il Governo avrebbe dovuto, secondo gli annunci, deciderne la progressiva soppressione, nell'arco di qualche anno. Invece, tutto rinviato alla prossima legge finanziaria. Una dimostrazione di quella dannosa divaricazione tra i tempi della politica e i tempi dell'economia, lamentata ultimamente dagli imprenditori.
Il ministro del Welfare, Roberto Maroni, ha prospettato poi la possibilità di agire sul costo del lavoro anche abbattendo il contributo Inail dovuto dalle imprese a fronte di un netto avanzo nei conti dell'istituto di assicurazione sugli infortuni ottenuto grazie ad una sempre maggiore attenzione delle imprese al tema della sicurezza.
Altro costo su cui si sta puntando il dito oramai da tempo è quello dell'energia elettrica, per la quale imprese e cittadini italiani pagano un conto più salato di qualsiasi altro in Europa. Sta facendo discutere l'apertura verso il nucleare da parte di un eminente ambientalista americano, Stewart Brand, che ha ammesso i catastrofici effetti sull'ambiente delle produzioni di energia a carbone, spezzando una lancia a favore dell'atomo. Una produzione, quella atomica, che ha costi di produzione inferiori di un terzo rispetto a quelli delle centrali combinate a gas metano che sono anche le più diffuse in Italia. E, sebbene restino le perplessità circa i rischi di incidenti e smaltimento delle scorie, un recente sondaggio dell'Ispo di Renato Mannheimer ha rivelato che il 54% degli italiani direbbe sì all'energia atomica bocciata invece nel referendum del 1987. Su questo fronte c'è anche da registrare la recente intesa tra Enel e la francese Edf per lo studio e la sperimentazione di un prototipo di reattore nucleare di terza generazione: un passo questo che permetterebbe all'Italia di rimettere in gioco competenze e conoscenze abbandonate alla fine degli anni '80, dopo il referendum sul nucleare.
Ad incidere sulla competitività delle imprese italiane ci sono però anche altri costi che, per la loro natura indiretta ed occulta, sono difficili da quantificare in modo preciso, ma producono effetti tangibili. Si tratta dei costi legati alla inadeguatezza delle infrastrutture che penalizza sia le imprese del nord Italia, sia lo sviluppo di una risorsa importantissima per il sud del Paese, quella del turismo.
A toccare questo tasto è stato, recentemente, il governatore di Bankitalia nel corso dell'assemblea annuale dell'Istituto, dove ha richiamato l'attenzione sulla mancanza di fondi e sulle difficoltà decisionali che accompagnano l'avvio di nuovi interventi infrastrutturali nel nostro Paese. Le difficoltà di cassa dell'Anas sono cronaca degli ultimi mesi e, nonostante la Legge Obiettivo abbia definito le opere infrastrutturali considerate strategiche, l'approvazione dei finanziamenti da parte del Cipe procede a rilento. A livello locale poi, ci si mettono i veti e le opposizioni di cittadini e ambientalisti di fronte alle ipotesi di tracciato per nuove strade e ferrovie.
Il discorso dei tagli si lega a quello degli investimenti: gli occhi sono puntati sulla ricerca e sviluppo, vero volano di un'impresa più competitiva perché capace di innovare processi produttivi e prodotti. I dati, ancora una volta, non sono confortanti, anche se non mancano certo casi di eccellenza come Pisa (3,5% del Pil investito in ricerca) e Trieste (2,6%), ma nel complesso la ricerca è tabù per le imprese di minori dimensioni a causa della difficoltà nel reperire le risorse necessarie da investire. Un problema oggettivo, anche se, come in più d'uno ormai riconosce, la dimensione la si può costruire praticando la difficile via delle aggregazioni di scopo.
Dalle colonne del Corriere della Sera il presidente della Fondazione Politecnico, Giampio Bracchi, ha lanciato l'appello ad università, centri di ricerca, imprese e mondo finanziario a collaborare per sviluppare sinergie portando, in positivo, l'esempio della sua Fondazione che in due anni di attività ha realizzato un centinaio di progetti congiunti con le aziende. Inoltre, un accordo quadro tra Cnr e Federchimica, siglato il 20 maggio scorso, ha aperto una via di collaborazione molto stretta, una sorta di joint venture vincolante, tra le imprese e il centro di ricerca con tanto di royalties e penali per chi non rispetta gli accordi di ricerca.
Ma ancora prima della ricerca vi è il nodo dell'istruzione delle nuove leve che entrano in azienda: oggi la forza lavoro delle imprese manifatturiere è formata per l'80 - 85% da giovani con qualifiche tecniche e, nonostante la non piena occupazione, si stenta a trovare il modo di soddisfare il bisogno di figure professionali di questo tipo. Su questo fronte i giochi sono aperti dal momento che il Governo ha approvato il decreto legislativo messo a punto dal ministro Moratti per la riforma della scuola secondaria. Un riassetto che dovrà essere varato entro l'ottobre di quest'anno e che prevede l'introduzione del liceo tecnologico con otto indirizzi specifici che andrà a sostituire gli istituti tecnici. La scommessa è dunque aperta: qui dovranno confluire gli sforzi per preparare le generazioni future al lavoro in azienda, dando così ulteriore linfa alla loro capacità di competere.
Le strade percorribili verso la competitività, come abbiamo visto, esistono e sono molte. Basta avere la determinazione di percorrerle fino in fondo e senza indugi.

06/17/2005

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