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L'antico Contado del Seprio

Ecco le richieste che i segretari delle principali forze politiche del Varesotto fanno ai futuri parlamentari.

Preambolo, e non introduzione, perché intendendosi proporre una specie di guida ai luoghi d'arte della provincia di Varese, conviene che prima di andare in giro, latinamente di ambulare, si dica come attrezzarci per partire, dove andremo e con quali avvertenze farlo: muniti, cioè, di quali strumenti, materiali e culturali, per non trovarci in difficoltà davanti ad ostacoli non previsti o a monumenti che, pur considerando familiari, potrebbero invece riservarci non poche sorprese una volta affrontati cogliendo tutte le loro peculiari caratteristiche ed intesi quasi tutti i messaggi che ci mandano tuttora.
Chiesa di S. Maria foris porta a CastelseprioCiò anche per sfatare presso una schiera di lettori attenti ed intelligenti, ma distratti dalle loro professioni, la inveterata nomea che fa della nostra terra varesina un luogo dove non ci sono né storia né arte, come se nessuno ci fosse mai vissuto, e che soltanto l'erba del vicino sia più bella e verde della nostra.
Un incarico impegnativo ma, ne sono sicuro, alla fine gratificante se avrete avuto la pazienza di ambulare con le nostre pagine.
Fanno parte delle predette avvertenze due punti messi apposta nel sottotitolo, sui quali soffermarci qualche riga.
Il primo è l'aggettivo "varesino", volutamente rimarcato perché il lettore deve sapere che, per comodità di viaggio, mi riferirò all'ambito dell'attuale provincia, istituita nel 1927, e quindi ad una entità territoriale inventata togliendo ed accorpando ora da quella di Como, ora da quella di Milano, uomini e terre che nei secoli passati erano stati soggetti a diverse dominazioni, fondamentale quella romana, senza aver mai potuto imprimere un proprio segno distintivo che non fosse quello del lavoro dei campi e del commercio di manufatti diversi, e perciò apprezzati ed utilizzati, coinvolti ed assorbiti dalle altrui egemonie.
La torre di guardia del Sacro MonteIl secondo è relativo all'arco temporale tra il V secolo d.C. ed il Mille, cioè quel corso di storia che solitamente si denomina Altomedioevo, da usarsi, come del resto qualsiasi altra definizione di diversi periodi, con prudenziali misure di metodo che potrei riassumere così: non considerare mai definitivi i termini posti per delimitare questo o quel campo, perché la storia non è un catasto di sedimi e di terreni; non ritenere un anno o un periodo di tempo limiti finiti ed insormontabili, perché la vita scorre e passa sopra certi margini che si fissano per convenzione, ma che non corrispondono ai tempi delle opere e dei giorni degli uomini, quasi fossero punti fermi, come neppure lo è, in certa misura, la morte di una persona la cui testimonianza supera l'evento e dura negli affetti e nelle cose ben al di là del fatto.
E' puntuale la testimonianza lasciataci dai Romani che avevano esteso la loro dominazione sulla pianura padana, dove le nostre terre si configuravano nella loro peculiare caratteristica di servire all'agricoltura ed all'allevamento del bestiame, benissimo rientrando nell'ambito del canto poetico sciolto da Virgilio nelle "Bucoliche" e nelle "Georgiche".
Terre, peraltro, che essendo prealpine costituivano l'ultimo approccio o il primo, a seconda di dove si viene, di chi saliva o veniva dalle valli alpine. Insomma, per intenderci, sul lavoro della terra e sulla cura degli armenti vigilavano soldati che dalle torri loro affidate segnalavano movimenti di uomini e cose, valutandone pericoli ed entità se fossero stati diversi dagli ordinari.
Chiesa di S. Giovanni a CastelseprioEcco spiccare luminosa una torre sulla cresta di un monte. E' ridotta nella sua mole, ma integra nel segnale che manda proprio per la sua originale funzione.
Sta sul monte Olona, che noi oggi chiamiamo Monte di Santa Maria o più sbrigativamente Sacro Monte, a guardia della valle che da Brinzio conduce alla Rasa e da lì alla pianura dove Varese non esisteva come tale, in quanto le genti dell'età romana abitavano terre più salubri ed alte, sui colli dove sarebbero state costruite le medioevali "castellanze" o sui pianori nella zona dell'attuale Ippodromo o verso le solatie campagne di Masnago e di Casbeno.
Era il punto di guardia della sottostante vallata, ma al tempo stesso di raccolta e di smistamento dei segnali luminosi che le giungevano dal piede del monte dove era insediata Velate e dove un'altra torre, di età romana, era allestita per fungere da "ponte radio" con la prima e con altre di pianura, in direzione del Lago di Gavirate.
La torre che dico si trova nel parco della Villa già Zambeletti e non va confusa con quella ben in vista a chi percorre la strada da Masnago a Casciago e viceversa, e che solitamente si chiama per l'appunto "di Velate", costruzione però di stile romanico, cioè del basso medioevo, oggi proprietà del F.A.I.
Segnali che venivano a loro volta inviati in direzione delle terre di Como, giungendo all'altra torre romana di Ròdero o da quella ricevendone, a scavalco del monte.
La leggenda, più che la storia, si incarica di farci intendere come quello specialissimo segnale di controllo militare del territorio, ben prima che avvenisse la caduta dell'Impero, sia servito a mandare altri messaggi, di fede.
Così il lettore riesce ad intendere per via di un esempio il senso delle prudenziali precauzioni sopra indicate e si accorge di come le vicende degli uomini si intreccino entro le mura di uno stesso edificio.
Sant'Ambrogio, arcivescovo di Milano, fortemente impegnato a sconfiggere l'eresia ariana, sulla cima di questo monte, con l'ausilio della Madonna, ne sconfisse le ultime resistenze, celebrò messa in questa torre e la Madonna della Torre da allora, dal secolo IV in avanti, attirò a sé sempre più pellegrini e devozioni al punto di far nascere la singolarissima ed esemplare storia del Santuario di Santa Maria, delle Beate Caterina e Giuliana, che, nel pieno Quattrocento, vi eressero attiguo il Monastero delle Romite Ambrosiane e delle secentesche Cappelle del Sacro Monte sopra Varese.
Non diversamente avvenne ai tempi delle invasioni barbariche, quando quelle genti riusarono costruzioni trovate già allestite ed al posto giusto o altre ne costruirono per servire al meglio agli scopi di difesa delle terre che avevano strappate ai Romani.
I Longobardi (559-774), che durarono sulle nostre terre per più di due secoli, consapevoli del ruolo che esse avevano ai fini della loro difesa, individuarono in Seprio e non in Varese il centro di un Contado che avrebbe assunto un ruolo rilevantissimo nella storia altomedioevale.
Varese a quei tempi pur esisteva, ma Seprio e l'Olona erano due entità di maggior risalto.
Il fiume, infatti, costituì la spina dorsale di un territorio che era la chiave di volta dei transiti da Bergamo a Novara, da Milano alle Alpi con i ponti sui quali vigilare ed altrettanto sui molini che da quelle acque traevano forza per le macine, per salvaguardare l'economia di un'ampia parte del territorio.
Un fiume: motore di una civiltà che si sarebbe connotata nei tempi immediatamente vicini ed in altri più lontani di esemplari testimonianze di storia e di arte, come il Monastero longobardo di Cairate ed il borgo monumentale di Castiglione Olona, corte quattrocentesca del mecenate Cardinal Branda Castiglioni.
Il sito: Seprio, dal celtico “rocca forte", da solo diceva di essere un luogo eletto e privilegiato. Esso sorgeva lontano dall'immediato esito delle valli, dove stava invece Varese; era incombente sullo snodo viario sopra detto, e si trovava isolato ed in alto su di un colle che sarebbe sembrato un alto monte tanto era inavvicinabile ed inespugnabile.
Ai piedi di quel colle era però una più antica emergenza monumentale; un segno dei tempi dei Romani: la torre di Torba (V-VI secolo d.C.), che diventa anch'essa testimonianza esemplare di come i nuovi dominatori dovettero tener buone le roccaforti dei vinti, perché troppo saldamente costruite ed erette nei posti giusti per servire ad un'efficace difesa di determinate porzioni del territorio.
Il Monastero di TorbaDa quel piede fortificato, massiccio ed inespugnabile, prese avvio la catena di muraglia che incluse il soprastante Castello di Seprio, vero e proprio centro amministrativo e giudiziario di un Contado il cui territorio si estendeva, in direzione nord-sud, dal Monte Ceneri ai dintorni di Parabiago; da est ad ovest, da Como e dalla Val d'Intelvi al Ticino e quindi al Lago Maggiore.
Un territorio che visto sulla cartina geografica sembra sovrapporsi a quello dell'attuale provincia di Varese, tolte le estrusioni verso il Canton Ticino ed il Lario, quasi a voler individuare una entità territoriale omogenea di uomini e mestieri il cui apporto alla storia sociale dell'arte sarebbe stato cospicuo con il riconoscimento delle maestranze dei famosi “Magistri Comacini" che avrebbero insegnato a costruire cattedrali e basiliche in tutta la Padania e giù giù verso la Toscana fino alla Puglia. “Magistri" in quanto maestri di muro, capimastri ed organizzatori formidabili di cantieri e di maestranze; “comacini" non soltanto perché originari della zona del lago, ma perché capaci di lavorare con le macchine, cioè con strumenti ed attrezzature idonei per erigere murature, per far girare le volte sulle navate delle chiese, per portare rilevanti pesi tanto in alto da porre in opera capitelli lavorati e serraglie scolpite senza danni alla costruzione.
Ma di questi uomini dirò più avanti. Alla prossima occasione sarà opportuno soffermarci sulle rovine del Castello e sulla chiesetta di Santa Maria foris portas, le cui immagini qui riprodotte servono di introduzione alla gita che spero di farvi compiere poco lontano dalle mura di casa vostra.


Su Varesefocus di maggio:
Le vestigia architettoniche di Castelseprio

03/15/2001

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