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La funzione sociale della libera impresa Due opinioni a confronto sul tema delle relazioni tra impresa, etica e società. Un punto di vista laico e un altro che esprime invece il più attuale pensiero della Chiesa cattolica. Innocenzo Cipolletta, già direttore di Confindustria, attuale presidente della Marzotto e, prima ancora, docente di materie economiche nelle Università di Reggio Calabria, Firenze e LUISS di Roma. Flavio Felice, docente di "Dottrine Economiche: Scienza Economica e Dottrina Sociale della Chiesa" alla Pontificia Università Lateranense. Una base comune: l'impresa e il mercato racchiudono valori etici, nel rispetto delle regole e con al centro l'uomo. IL VALORE ETICO DELL'IMPRESA Innocenzo Cipolletta MERCATO E DOTTRINA CRISTIANA L'interpretazione dei nessi tra etica ed economia sembra costituire il percorso più originale per la comprensione, la critica e la proposizione di modelli socioeconomici in grado di rappresentare la complessità dell'agire umano, senza cedere alla logica barricadiera di certo ambientalismo e terzomondismo. Tale premessa implica il rifiuto di qualsiasi riduzione della dottrina sociale della Chiesa ad un elenco di norme e principi, mentre rappresenta un termine di riferimento per l'elaborazione di un'economia per l'uomo che sappia cogliere ed interpretare il senso più intimo dello spirito imprenditoriale. Allo stato attuale rileviamo che tali relazioni interdisciplinari sembrano suscitare un inedito interesse sia tra coloro che tradizionalmente si sono sempre occupati di etica, sacrificando volutamente lo studio della creazione e diffusione della prosperità, sia tra coloro i quali hanno sempre ritenuto non di loro competenza il come si produce la ricchezza. Concordiamo con l'opinione di chi sostiene che sebbene con la globalizzazione l'economia planetaria stia divenendo sempre più libera "economia imprenditoriale", tutto ciò non porterà a risultati positivi finché la cultura umanistica - soprattutto quella di ispirazione cristiana - non darà una mano. A tal proposito, intendiamo offrire una nozione d'imprenditorialità che ci permetta di inquadrare l'agire economico nel più generale dinamismo dell'agire umano, evitando di oscillare tra un moralismo ottuso ed un razionalismo dogmatico. Alla luce dei più recenti documenti sociali della Chiesa, l'imprenditorialità ci appare come la virtù che rivela la soggettività creativa della persona, che le permette di porre in essere nel tempo presente un'organizzazione del lavoro produttivo, in considerazione delle condizioni incerte di un futuro ignoto; ovvero l'attitudine a gestire (oggi) i flussi produttivi presenti sul territorio, facendoli interagire con il principale fattore di produzione: il capitale umano, per la realizzazione di beni e servizi da destinare al mercato (domani). Nel rispetto del principio di sussidiarietà, spetta alla complessa rete della società civile - dunque necessariamente anche all'impresa - il ruolo di scopritore ed educatore del più affascinante, produttivo e raffinato tra i fattori di produzione, il capitale umano, un complesso di virtù che Giovanni Paolo II nella Centesimus annus ha chiamato capacità d'imprenditorialità, una sorta di fattore Don Chisciotte che presenta qualche similitudine con la nozione di "prontezza" cara all'economista Israel Kirzner. Potremmo dire, parafrasando un'immagine suggestiva offertaci dallo stesso Kirzner, che la capacità d'imprenditorialità ci consente di vedere in mezzo all'oceano, sulla linea dell'orizzonte, il profilo tracciato dalle terre emerse, lì dove altri, per secoli, avevano visto sempre e soltanto le nuvole. Alla base di tale riflessione troviamo la consapevolezza che l'altro, piuttosto che un concorrente in lotta per la conquista dei mezzi scarsi, è la chiave attraverso la quale possiamo dischiudere lo scrigno prezioso e segreto che è in noi e scoprire l'immenso tesoro di cui Dio ci ha fatto dono. II mercato, piuttosto che essere un "luogo" uno "spazio sociologico" da occupare, dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa, rappresenta un processo relazionale, è l'insieme delle relazioni mediante le quali ciascuno cerca di soddisfare i propri bisogni ricorrendo ai bisogni dell'altro: che ciò avvenga mediante il baratto, la pecora, le conchiglie o la moneta, la logica che ne governa i processi non muta di una virgola. In un mondo complesso, segnato inevitabilmente dall'ignoranza, dalla fallibilità e dal pluralismo delle intenzioni, la libera economia di mercato, regolata da norme certe che tutelino i diritti di proprietà e la trasparenza dei contratti, è, nello stesso tempo, lo strumento più umile - giacché non contano il censo o la casta - e più efficace - poiché fa leva sul limite umano e, di conseguenza, sul bisogno reciproco - che ci consente di procedere per tentativi ed errori nella direzione di un prudente e realistico processo di sviluppo stabile, diffuso e duraturo. Il presupposto della libertà, come afferma Giovanni Paolo II nella Centesimus annus, ha il merito di evidenziare l'elemento essenzialmente positivo della moderna economia di mercato e che sta alla base di ciò che chiamerei personalismo metodologico. La riflessione sin qui svolta si propone di offrire gli elementi per la discussione intorno ad una dottrina economica che faccia leva sulla libera economia d'impresa la cui eticità emerga dalla stessa razionalità, un'alternativa alle classiche teorie che tentano di spiegare la miseria del Terzo Mondo a partire da un'idea di sviluppo come un gioco a somma zero, in cui la ricchezza è un dato da distribuire (l'economia di Robin Hood), piuttosto che un processo dinamico di genuina creazione di valore attraverso l'opera imprenditoriale. L'auspicio di chi scrive è che sempre più gli economisti cattolici, almeno quelli disposti a non farsi distrarre da certe logiche barricadiere, si inseriscano in questo dibattito e che colgano l'occasione per ricercare in modo creativo le vie da intraprendere per eleborare e "sostenere" modelli di sviluppo duraturo (piuttosto che "sostenibile"), in base ai quali, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, storicizzare - per usare le parole del Santo Padre che si interroga "sul modello che bisogna proporre ai Paesi del Terzo Mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile" - un'autentica "economia d'impresa" o "economia di mercato" o, semplicemente, "economia libera" (Centesimus annus, n. 42). Ossia, uno sviluppo economico intensivo, diffuso e stabile; caratterizzato dall'opera creativa degli imprenditori per l'accumulazione decentrata e partecipata del capitale, dal ruolo delle organizzazioni sindacali impegnate affinché gli imprenditori perseguano il reinvestemento produttivo dei loro utili e dalla lotta ai monopoli (tanto pubblici quanto privati), favorendo la crescita della concorrenza all'interno di un chiaro quadro normativo. Flavio Felice
09/25/2002
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