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Sorprese dai restauri di Villa Perabò

Ritorna alla luce l'antica cucina di Villa Perabò. Storia e spiritualità s'incontrano al De Filippi.


Sulla collina della Brunella, all'interno del complesso dell'Istituto De Filippi, si trova la cinquecentesca dimora conosciuta come Villa Perabò, nota per i coevi affreschi di sapore nordico, perfettamente conservati, che riproducono scene di festa e di caccia. I recenti lavori di ristrutturazione dell'edificio, firmati dall'architetto Alessandra Variani e dalla restauratrice Tiziana Carbonati - sostenuti dai Beni Culturali e dall'impegno della Fondazione Cariplo - hanno riservato la sorpresa della scoperta di una sala, originariamente adibita a cucina. Il restaurato e ritrovato spazio - ma altre scoperte degli antichi locali s'annunciano dalle indagini stratigrafiche effettuate - è stato battezzato "Sala Nicodemo". L'intitolazione ricorda il nome del fariseo, discepolo "notturno" di Gesù, che prese le sue difese nel Sinedrio e offrì l'unguento per profumarne il corpo dopo la morte. E richiama per estensione ai nicodemiti, quei cattolici che, nel XVI secolo, avendo aderito alle dottrine della riforma protestante continuavano a professarsi cattolici nascondendo, per timore delle persecuzioni, le proprie convinzioni religiose. La scelta del nome della nuova sala non è dunque casuale. L'ipotesi - confortata anche da varie indicazioni provenienti dall'avanzamento dei lavori di ristrutturazione - è, infatti, che la dimora, registrata per la prima volta nel Catasto Teresiano del 1755 come "casa da massaro" di proprietà dei fratelli Perabò, fosse stata edificata da un eretico e che potesse rappresentare, data la sua isolata posizione, sicuro ricovero per un gruppo di nicodemiti. E non è escluso che, morto il proprietario della casa, interventi successivi abbiano volutamente celato affreschi di opere artistiche, rappresentative del credo eretico, che potrebbero essere ancora presenti. Di fatto, saggi stratigrafici hanno evidenziato nella medesima sala degli affreschi al primo piano pitture sicuramente successive al periodo di esecuzione degli stessi - che furono eseguiti a fresco, nel 1540, su intonaco di calce. I primi a farsi una opinione in tal senso furono alcuni studiosi, guidati dalla sovraintendenza ai beni artistici e pittorici della Lombardia e dalla dottoressa Maria Teresa Binaghi Olivari, che nel 1972 si occuparono proprio del restauro della sala.
L'ipotesi è ancora tutta da verificare, ma si tratta di una bella sfida aperta per gli studiosi e gli appassionati del territorio. Alla buona volontà dei quali la dotta relazione di don Antonio Rimoldi, presente alla inaugurazione della nuova sala, ha porto alcune sostanziose tracce di ricerca, con preziose indicazioni di testi storici e di fonti archivistiche utili alle indagini.
Comunque sia, l'oggi offre al De Filippi un "Piccolo eremo" - com'è piaciuto dire al responsabile don Michele Barban - aperto sia di giorno che di notte, nel quale chi cercherà rifugio o consolazione potrà entrare, semplicemente dopo aver suonato il campanello.
Spiritualità e ospitalità saranno insomma la duplice risposta di uno spazio restituito anche alla sua originaria funzione, quella di luogo di raccoglimento domestico e familiare. Dell'antichissima cucina sono state riportate alla luce ampie e significative tracce: il grande camino, due vani adibiti a credenza, l'antico pavimento in battuto di calce, originario come l'intonaco delle pareti. E c'è anche la sorpresa di un pozzo, accessibile dalla cucina e dalla loggia, con acqua affluente da un falda ancora attiva.
Simbolo di una risposta all'antica sete di chi risale, come ieri, verso la collina?

03/27/2003

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