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Made in Italy apre o chiude?



Il recente acceso dibattito sul pericolo che i Paesi emergenti, in particolare quelli asiatici, rappresentano per la nostra economia sia per la loro forte competitività che per il massiccio ricorso a pratiche di contraffazione impone una riflessione che deve necessariamente andare oltre alla semplice constatazione. Urgono risposte concrete per fronteggiare una situazione che vede perdite di alcuni miliardi di euro l'anno per le imprese italiane a causa del commercio dei falsi e continue erosioni di quote sul mercato mondiale. Bisogna saper rivalutare le potenzialità che da sempre caratterizzano l'imprenditoria italiana, prime fra tutte la creatività e la capacità di innovazione, per riportare il sistema Italia in condizioni di vera competitività. Ma per farlo occorrono anche strumenti normativi chiari e decisi adottati non solo a livello nazionale ma europeo: alcuni passi in avanti ci sono già stati, altri dovrebbero essere compiuti, appianando le diversità di opinioni. Rilanciare il made in Italy si può e si deve fare. I primi segnali di ripresa ci sono già, spetta da una parte al Governo e all'Unione Europea e dall'altra alle imprese coglierli e farli fruttare.

Il rilancio dell'italian style ci sarà oppure no? La situazione è ancora piuttosto incerta.
Va constatato che gli ultimi riscontri sono piuttosto confortanti: il made in Italy oltreconfine sta registrando i primi segnali di ripresa dopo lunghi mesi di rallentamento con dati in passivo. I dati della bilancia commerciale, piuttosto preoccupanti fino al mese di febbraio, da marzo sembrano aver segnato un'inversione di tendenza: l'export italiano pare aver ritrovato un certo slancio soprattutto sui mercati extra-U.E. in tutti i settori, registrando una crescita del 13,5% su base annua (la più sostenuta dal giugno 2001). Dunque la ripresa "sembra" esserci, ma non bisogna nascondere le indubbie difficoltà in cui versa il prodotto italiano e che avevano portato ad un tanto prolungato bilancio negativo, in particolare dovuto alla forte competizione di nuove realtà economiche che si affacciano sui mercati mondiali.
Tra le cause di queste indubbie difficoltà vi sono senz'altro un calo di competitività dovuto al supereuro associato a una congiuntura italiana ed europea fiacca. Il rafforzamento dell'euro sulle maggiori valute e la sfavorevole composizione geografica della domanda internazionale - i paesi europei, primo mercato di sbocco dei nostri prodotti, crescono molto meno delle altre grandi aree, dal Nord America all'Asia orientale - hanno frenato le esportazioni italiane, determinando una erosione della loro quota sull'interscambio mondiale. Inoltre all'interno dei mercati europei esse risentono della concorrenza di prezzo dei prodotti di origine extra U.E, diventati via via più convenienti grazie anche al cambio forte. E' soprattutto l'aggressività dei concorrenti emergenti, in particolare quelli asiatici (Cina in testa) a mettere in difficoltà le aziende nazionali. Principalmente in due modi: attraverso una concorrenza asimmetrica, basata su basso costo del lavoro, scarse protezioni sociali, mancato rispetto degli standard ambientali, cambio vantaggioso, e attraverso una concorrenza sleale che si realizza con la contraffazione dei prodotti made in Italy. La Cina è competitiva non solo perché è in grado di copiare perfettamente un manufatto prodotto all'estero per poi rivenderlo sul mercato a prezzi notevolmente più bassi dell'originale, ma soprattutto perché ultimamente è stata capace di formare tre milioni di ingegneri all'anno, piazzandosi al terzo posto nella classifica mondiale OCSE sugli investimenti in ricerca e sviluppo. Questa strategia, unita a una politica monetaria con cui il governo cinese ha ancorato al dollaro la propria divisa nazionale (lo yuan), che si è deprezzata nonostante un Pil che galoppa al ritmo del 9% l'anno, rende il colosso asiatico quasi inattaccabile sui prodotti di fascia bassa.
IL FENOMENO DEI FALSI
I dati sulla contraffazione dipingono un commercio mondiale dove i colpi bassi diventano sempre più frequenti. Nell'ultimo decennio secondo le stime dell'Indicam (l'istituto del Centromarca per la lotta alla contraffazione) l'incremento di merci falsificate nel mondo ha raggiunto il 1.600% e il commercio dei falsi cresce a un ritmo tre volte superiore rispetto a quello regolare. La quota mondiale di vendite di merci contraffatte si avvicina ormai al 10% dell'intero commercio globale, vale a dire a un giro di affari di oltre 450 miliardi di dollari. L'industria più colpita è quella del software dove si calcola che oltre un prodotto ogni tre sia contraffatto ma il fenomeno incide pesantemente anche nei settori dell'audiovideo e dell'abbigliamento con quote di prodotti falsificati rispettivamente del 25% e 20%. Il danno arrecato dalla contraffazione alle sole imprese italiane è valutato in circa 4-5 miliardi di euro l'anno, causando una perdita di occupazione che negli ultimi dieci anni può essere quantificata in 40mila unità. Inoltre la contraffazione causa una perdita di introiti fiscali pari all'8,24% del gettito Irpef e del 21,3% del gettito Iva. Il fenomeno riguarda pressochè tutti i settori del made in Italy dall'abbigliamento e calzature agli apparecchi hi-fi, passando per pile elettriche, accessori per la telefonia, giocattoli e piccoli elettrodomestici. Sette prodotti clonati ogni dieci arrivano dal Sud Est asiatico dove Corea del Sud, Taiwan, Cina e Thailandia guidano la classifica della contraffazione. Il 60% della produzione asiatica di falsi ha poi come sbocco il mercato dell'Unione Europea e la falsificazione cinese si è spinta sino alla clonazione del marchio C.E. posto a garanzia dei prodotti fabbricati nel rispetto delle leggi europee. La quota rimanente di merce contraffatta proviene invece dal bacino del Mediterraneo e in particolare dall'Italia, primo produttore europeo di falsi e terzo a livello mondiale dopo Corea del Sud e Taiwan, sempre secondo l'Indicam.
LA PIRATERIA INFORMATICA, CINEMATOGRAFICA E MUSICALE
Un particolare aspetto della contraffazione è quello che va a colpire la proprietà intellettuale in campo informatico, cinematografico e musicale, che si realizza soprattutto attraverso Internet e che si è andato ancor più evidenziando con il crescere del mercato delle comunicazioni a banda larga e, soprattutto, con il recente sviluppo della fibra ottica come veicolo delle opere dell'ingegno. Ma anche il segmento dei prodotti offline ha trovato - insieme all'opportunità di un rapido sviluppo - significativi problemi nel crescere esponenziale della pirateria e delle organizzazioni criminali che vi si dedicano, pur in presenza di un solido assetto normativo. Per quanto concerne specificamente il cinema e l'audiovisivo in generale, l'anno scorso e quello corrente hanno segnato, insieme con lo scemare della pirateria delle VHS, una significativa ascesa della pirateria dei supporti DVD anche quale conseguenza del forte incremento nelle vendite di lettori e di supporti originali. Il totale dei "pezzi" sequestrati nel settore DVD, in Italia, nel corso dell'anno 2002 ammontava a un totale di 115.218 unità. Nel 2003 i DVD sequestrati sono saliti a quota 202.725, una cifra quasi doppia rispetto a quella dell'anno precedente e il trend è in costante crescita. Accanto a queste forme di pirateria vi sono nuove tipologie di contraffazione caratterizzate dallo sfruttamento della rete informatica fortemente rafforzata attraverso la diffusione dei cablaggi telefonici od ottici. In questi casi, tramite la creazione di siti, ovvero attraverso la riproduzione di opere tramite il cosiddetto file-sharing, vere e proprie organizzazioni criminali e orde di pirati in erba, cedono su supporti fisici o per lo scaricamento opere dell'ingegno protette dalla legge sul diritto d'autore. La duplicazione e la vendita illecita di opere dell'ingegno avvengono sia tramite una produzione parallela e clandestina gestita da organizzazioni malavitose, che attraverso l'attività di singoli soggetti, i quali alimentano la pirateria servendosi di apparecchiature "tradizionali", quali i masterizzatori e i videoregistratori, oppure attraverso l'impiego di apparecchiature elettroniche e informatiche (PC e periferiche). In tale contesto, assume sempre maggiore rilevanza il fenomeno di quella che può definirsi come la "pirateria online", ovvero quella forma di "contrabbando elettronico" che costituisce l'ultima frontiera della video-pirateria e che maggiormente necessita di un'azione di contenimento da parte delle forze dell'ordine, contrasto da attuarsi tramite l'impiego di adeguati strumenti, sia tecnici che normativi. Il dato che emerge dall'esame di tale fenomeno nel primo scorcio dell'anno 2004 è dato dalla sempre maggior diffusione ed utilizzazione del web, quale strumento usato dal pubblico più giovane e tecnologicamente attrezzato, per il reperimento di opere cinematografiche di alta qualità, al costo della mera connessione. La pirateria online coinvolge anche altri settori, quali quello musicale (il primo terreno ove essa si è storicamente manifestata) e, come recentemente appurato, anche quello della televisione satellitare. Di recente, infatti, hanno cominciato a circolare i programmi che permettono di vedere, gratis e illegalmente tramite PC, i servizi e i bouquet televisivi offerti da Sky e da altri canali a pagamento europei, in totale assenza dell'erogazione dei corrispettivi che, per tali servizi, dovrebbero essere corrisposti dagli utenti. Il tasso di pirateria in Italia continua a essere uno dei più alti in Europa, arrivando a superare il 20% su tutti i prodotti protetti da copyright. Una tendenza difficile da invertire, poiché nel pubblico resiste la percezione culturale che la pirateria in sé non costituisca un grave danno e quindi non meriti di essere punita legalmente. Di fronte a questa situazione di grave incertezza circa il futuro della tutela della proprietà intellettuale si pone il problema dei possibili rimedi.
LOTTA ALLA PIRATERIA
Il Parlamento europeo ha adottato il 9 marzo scorso la relazione di Janelly Fourtou (PPE/DE, F) sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale. Essa ha lo scopo di armonizzare le normative nazionali relative agli strumenti volti a garantire il rispetto di tali diritti e di fungere da deterrente nei confronti di chi prende parte ad atti di contraffazione e pirateria. Si tratta, altresì, di garantire il buon funzionamento del mercato unico, dare impulso all'innovazione, proteggere le imprese, l'attività creativa e i consumatori, nonché assicurare gli introiti fiscali delle amministrazioni pubbliche e, non da ultimo, tutelare l'ordine pubblico contro le sempre più numerose organizzazioni criminali che operano in tale settore. Riguardo al campo d'applicazione della direttiva, il Parlamento ritiene che le misure da essa previste debbano essere applicate unicamente agli atti commessi "su scala commerciale", ferma restando la possibilità degli Stati membri di applicarle anche nei confronti di altri atti, compresi quelli configurabili come concorrenza sleale o attività simili. Ciò significa che gli atti commessi in buona fede dai consumatori - come lo scaricare musica da Internet a uso personale - non saranno perseguibili. Inoltre, i deputati si sono pronunciati contro l'applicazione di sanzioni penali, prevedendo solo provvedimenti amministrativi e civili al posto della lunga lista prevista dalla Commissione, che considerava anche l'introduzione di pene restrittive della libertà. Ciononostante, la direttiva non inficia le disposizioni nazionali degli Stati membri concernenti i procedimenti e le sanzioni penali per quanto riguarda le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, nonché gli obblighi ad essi incombenti in forza alle convenzioni internazionali (in particolare l'Accordo Trips sugli aspetti dei diritti di proprietà attinenti al commercio), inclusi quelli concernenti i procedimenti e le sanzioni penali. Sempre lo scorso marzo, a due giorni di distanza dalla direttiva europea, il Governo, su proposta del ministro dei Beni Culturali Giuliano Urbani, ha varato il "decreto cinema" contro la pirateria audiovisiva che prevede pene amministrative fino a un massimo di 1.500 euro per chiunque scarichi illegalmente film da Internet e assegna ai provider un ruolo di "guardiani" della Rete. Il provvedimento è stato però fermato dalla Camera dei deputati che ha approvato un emendamento di Verdi e Ds che sopprime l'intero comma 7 dell'articolo 1 del decreto, vale a dire l'obbligo per "i prestatori di servizi della società dell'informazione che siano venuti a conoscenza della presenza di contenuti idonei ad integrare le violazioni commesse per via telematica" a "informarne con immediatezza il Dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero dell'Interno o l'autorità giudiziaria". In sostanza, la Camera ha bocciato l'obbligo per i provider Internet di denunciare, qualora ne vengano a conoscenza, chi scarica e diffonde attraverso la Rete materiale audiovisivo "protetto" dal diritto d'autore. Il decreto Urbani è stato poi fortemente criticato dalle associazioni per i diritti civili in quanto in contrasto con la direttiva europea che dichiara "non perseguibile" il downloading domestico.
PROMOZIONE DEL MADE IN ITALY E LOTTA ALLA CONTRAFFAZIONE: STRUMENTI NAZIONALI E STRUMENTI COMUNITARI
In uno scenario come quello che si è delineato le imprese italiane, soprattutto quelle di dimensioni medio-piccole che costituiscono la maggioranza del nostro sistema economico, si sentono aggredite e costrette a fronteggiare la concorrenza sleale. Un grido d'allarme che negli ultimi mesi si è concretizzato in una richiesta d'aiuto alla quale il Governo ha cercato di dare una risposta con le disposizioni sul made in Italy contenute nella Finanziaria 2004. Si tratta di una serie di misure che vanno dalla valorizzazione dei prodotti tipici e di qualità, all'inasprimento delle pene per chi commercializza prodotti recanti false indicazioni di provenienza, al finanziamento di campagne promozionali per il made in Italy, con stanziamenti di bilancio di 31,5 milioni finalizzati a rafforzare la tutela dei marchi italiani e la lotta alla contraffazione, potenziando la Guardia di Finanza.
In particolare il Ministero delle Attività Produttive ha approntato un piano che si articola in cinque punti: istituzione del marchio di qualità (rappresentato dall'uomo vitruviano di Leonardo), dell'etichettatura d'origine, del comitato anticontraffazione, di uffici di assistenza legale all'estero e una campagna di comunicazione contro la contraffazione. Il Governo italiano, sotto la spinta delle varie associazioni di imprese, sta poi facendo pressione presso la Commissione U.E. affinché si istituisca a livello comunitario l'obbligo dell'etichettatura di origine, tipo quella già adottata per i prodotti agroalimentari, su tutti i prodotti importati. Questa offrirebbe numerosi vantaggi, tra cui maggiore omogeneità e chiarezza sul mercato, minori possibilità di comportamento ingannevole da parte di produttori esteri e importatori e promozione dell'immagine dei produttori locali. Inoltre, in occasione dell'ultimo blitz alla dogana di Napoli - avamposto all'offensiva cinese con 250mila container all'anno made in China - il ministro del Tesoro Giulio Tremonti ha parlato di un piano d'azione, in Italia e in Europa, all'esame del Governo. Intanto un regolamento dell'Unione europea dello scorso luglio rafforza le misure anticontraffazione prevedendo l'intervento dell'autorità doganale nei confronti delle merci sospettate di violare la proprietà intellettuale e dando la possibilità alle autorità di sospendere, bloccare e distruggere le merci contraffatte. Nel gennaio dello scorso anno il Consiglio della U.E. ha anche approvato uno strumento di salvaguardia verso la Cina, il cosiddetto Tpssm che consente di difendere le imprese comunitarie attraverso l'introduzione di dazi di salvaguardia e quote oppure attraverso altri tipi di soluzioni negoziate con Pechino. Sempre a livello comunitario l'adozione di misure antidumping volte a contrastare la vendita di prodotti al di sotto del prezzo mondiale di mercato e le forme di concorrenza sleale che sfruttano le persone e l'ambiente (dumping economico, sociale e ambientale) potrebbe essere resa più agevole dall'approvazione l'8 marzo scorso di un regolamento europeo che introduce maggiore trasparenza, efficacia e prevedibilità nel loro utilizzo. Infine l'U.E. dispone di un'ulteriore misura di salvaguardia specifica per il tessile e abbigliamento che, fino al 31 dicembre 2008, consente di far fronte alle distorsioni del mercato provocate dai prodotti cinesi. A partire dal prossimo gennaio però verranno meno le quote stabilite per le importazioni, cosa che rischia di essere letale per l'intero settore del tessile-abbigliamento. Per questo i produttori stanno cercando di ricorrere allo strumento delle clausole di salvaguardia, invocando alla Wto, l'Organizzazione mondiale del commercio, una proroga di tre anni per l'apertura totale alle importazioni.
MADE IN… ITALY, U.E. O U.E./ITALY? DIVERSITA' DI OPINIONI
La questione è piuttosto complessa non solo per l'intreccio tra norme italiane ed europee ma anche per diversità di opinioni che si registrano all'interno del nostro Paese tra le varie associazioni che rappresentano i diversi settori produttivi. Non c'è accordo per esempio sull'etichettatura d'origine dei prodotti: ritenuta indispensabile da alcuni per tutelare le nostre imprese e addirittura nociva da altri in quanto molte delle materie prime utilizzate e trasformate in Italia sono frutto di importazioni. Ci sono idee differenti anche per quanto riguarda il marchio "made in…": c'è infatti chi sostiene il made in Italy, chi preferirebbe un unico marchio comunitario made in U.E. e chi opterebbe per un'associazione dei due (made in U.E./Italy). Contrasti di pensiero si sono anche verificati all'interno del Ministero delle Attività Produttive: è sorta infatti una polemica tra Adolfo Urso, vice ministro con delega per il Commercio Estero, e il ministro Antonio Marzano. Urso ha affermato di rallegrarsi per il varo del decreto sul Made in Italy ma di non condividere le modifiche apportate da Marzano al suo testo. Il vice ministro, in particolare, dissente sull'uso del fondo per l'assistenza legale del comitato anticontraffazione e sulla istituzione del marchio di qualità (logo dell'uomo vitruviano), che può creare confusione rischiando di dividere i prodotti in serie A e serie B.
PROSPETTIVE
Serve dunque una reazione decisa per superare il diffuso pessimismo e riportare il sistema Italia in una situazione di maggiore competitività. "Le azioni difensive da sole non bastano per tutelare e promuovere la nostra produzione e le esportazioni", sostiene il vice presidente della Fondazione Edison Marco Fortis. "Occorre affiancarle a misure d'attacco che devono provenire soprattutto dalla politica economica italiana ed europea, come sostegni all'internazionalizzazione per le imprese italiane che puntino a conquistare nuovi mercati esteri, politiche per favorire lo sviluppo di marchi aziendali (o di distretto), canali di distribuzione autonomi per le imprese minori, aumento di finanziamenti destinati alla ricerca". Ma anche le imprese possono e devono continuare a fare la loro parte. Come? "Puntando sull'innovazione tecnologica e la creatività tipica della nostra imprenditoria, sull'internazionalizzazione e la ricerca di nuovi sbocchi nei mercati emergenti, cercando di aumentare le proprie dimensioni, solo così - secondo il vice ministro Urso - il "made in Italy" potrà riconquistare quote di mercato e distanziare gli altri competitor nel mondo". Inoltre, bisogna cercare di cogliere anche le opportunità insite nella crescita del mercato cinese. Quello che è comunemente reputato un "pericolo" può essere, infatti, trasformato in una nuova occasione di business dall'impegno attivo e unitario di imprese e istituzioni. Di questo è convinto Cesare Romiti presidente della Fondazione Italia Cina. Così anche Claudio Rotti, presidente dell'Associazione Italiana Commercio Estero, sottolinea che "se da un lato l'affermarsi della Cina può generare concorrenza per le nostre imprese, dall'altro essa è oggi un mercato più accessibile e ricco di opportunità".